
Mai elezione fu più incerta. Il libro si ferma con un piede sul crepaccio del coronavirus, di cui anticipa gli scenari drammatici.
Soltanto sei mesi fa stavamo commentando un’economia invincibile, una disoccupazione azzerata e una strada praticamente dritta e spianata verso la riconferma di Donald Trump alla Casa Bianca.
Oggi la partita è stravolta, certo dalla vicenda virus, ma proprio in queste ore anche e soprattutto dalle proteste che infuriano attorno alla morte dell’afroamericano George Floyd.
Siamo al cospetto di una vera e propria orgia di imprevisti che evidentemente complicano la corsa del tycoon, ma che al tempo stesso per analisti e lettori collocano la partita elettorale del prossimo 3 novembre tra le più avvincenti di sempre.
Riguardo ai sondaggi nello specifico, invece, sarei cauto nell’incentrare la discussione attorno a percentuali che, come ampiamente dimostrato dalla débâcle di Hillary Clinton, davvero lasciano il tempo che trovano. E che, a seconda del committente, da strumento di informazione si convertono facilmente in strumento di propaganda.
Trump ha mantenuto le promesse elettorali?
Oggettivamente sì. È stato spesso deriso, persino caricaturizzato, ma completamente travisato proprio riguardo alla sua relazione con il suo elettorato.
Ha fatto cioè storcere il naso per tutta una serie di provvedimenti e di maniere che in realtà hanno aderito perfettamente, anche nel linguaggio anti politically correct, con quella che era stata la sua piattaforma 2016.
In generale ha seguìto con fare quasi ottuso il registro sintetizzato dallo slogan “America First”, con tutte le difficoltà del caso, ad esempio nel tentativo di invertire la rotta della globalizzazione, ma anche con qualche risultato concreto. Alle volte, gli è bastato alzare la voce più che firmare ordini esecutivi per incidere sulle scelte di certe multinazionali che si sono viste costrette a ripensare almeno parte delle loro manovre di delocalizzazione.
Una partita colossale, naturalmente tutt’altro che vinta.
Ma un presidente cui va riconosciuto non soltanto l’aver ascoltato le grida del suo popolo, ma anche l’aver provato a farle in qualche modo valere.
Chi bolla tutto come “populismo”, con fare saccente ed evidentemente distaccato dalla quotidianità della gente, non solo non ha capito nulla di Trump, ma non ha capito nulla dell’America in generale.
Questo libro non sposa né le ragioni degli uni né quelle degli altri.
Si propone invece come uno strumento rapido ed efficace per provare a comprenderle, sfuggendo una volta per tutte a quelle narrazioni faziose che allontanano sia dalla verità del personaggio che, peggio ancora, da quelle della “sua” America.
Biden è il candidato giusto da contrapporre a Trump?
Joe Biden è un candidato tradizionale. Volendo prendere un termine a prestito dall’informatica, di “default”.
Il che potrebbe rivelarsi pure un aspetto positivo, da contrapporre a tutto ciò che di assolutamente anti tradizionale rappresenta Trump.
A sinistra però, come accaduto già troppe volte in passato (fatta eccezione per la storica fase Obama), è mancato il coraggio. Il coraggio di scommettere su qualcuno, non per riprendersi le redini del potere e basta, ma per cambiare davvero l’America. Nelle sue diseguaglianze sociali, nei suoi timori sanitari, nella sua relazione con il mondo intero.
Confesso un debole per Bernie Sanders che avrebbe potuto incarnare questo spirito di vera e propria rivoluzione.
Tuttavia, le logiche della politica sono altre. La stessa politica, però, deve stare attenta: perché della cosiddetta “vecchia politica” la gente è stanca. Anche e soprattutto a sinistra, dove i cuori battono più di riformismo che non di poltrone.
Come sono cambiati gli USA sotto la presidenza Trump?
Cambiati? Io non credo che la società americana sia granché cambiata. È cambiata semmai la narrazione. Ciascuna parte del sistema politico-mediatico gioca ad enfatizzare pregi e difetti sulla base dei propri interessi. Penso ad esempio all’accento di comodo posto sul razzismo. Ma in realtà gli Stati Uniti sono sempre gli stessi. Del razzismo evidenziano delle componenti quasi intrinseche, ma meno gravi di quelle percepite dal grande pubblico, che spesso l’America manco l’ha mai vista. Peraltro con delle differenze geografiche enormi: un conto è parlare di società multietnica a New York, altra cosa è azzardare il discorso in Texas. Detto questo, gli Usa forse sono più consapevoli. Della loro grandezza, delle sfide di questo tempo (la Cina), della loro Patria. Questo anche grazie a un presidente cui si possono appiccicare addosso tutti i difetti del mondo, ma non certo quello di non essere patriottico.
Quale impatto avrà sulle presidenziali, a Suo avviso, la pandemia di Covid-19? Dobbiamo attenderci colpi di scena da qui a novembre?
Torno al punto di partenza: mai elezione fu più incerta. Le strade sono due, e si sovrappongono perfettamente sia in chiave coronavirus che proteste.
O l’America sceglie di affidarsi alla figura dell’uomo forte, e allora in questo caso tra ottimismo misto a “legge e ordine” la strada di Trump torna dritta e spianata.
O viceversa proprio a Trump imputa tutte le colpe e sceglie dunque chiunque fuorché lui, e allora in questo caso via libera a Biden, per quanto non sappia cosa sia il carisma di un leader.
Mai elezione fu più incerta. E, chissà, forse più affascinante da raccontare e da ricordare.
Luca Marfé, papà di Laerte, napoletano, classe 1980. Laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Orientale di Napoli, master in Relazioni Internazionali alla SIOI di Roma, giornalista professionista dal 2013, titolare della cattedra di Storia Contemporanea all’Universidad Central de Venezuela di Caracas. Forte di un’esperienza ventennale di vita all’estero, collabora con Il Mattino di Napoli, Vanity Fair Italia, Radio 1, Radio Kiss Kiss, Babilon e altre testate in qualità di esperto di Stati Uniti e America Latina.