“Winckelmann. L’uomo che ha cambiato il modo di vedere l’arte antica” di Federica La Manna

Prof.ssa Federica La Manna, Lei è autrice della biografia di Winckelmann. L’uomo che ha cambiato il modo di vedere l’arte antica, come recita il titolo, edita da La nave di Teseo: che importanza riveste, per la storia della critica d’arte, la figura di Johann Joachim Winckelmann?
Winckelmann. L'uomo che ha cambiato il modo di vedere l'arte antica, Federica La MannaLa sua importanza sta proprio nell’averci insegnato il dialogo con l’opera d’arte; a soffermarci per imparare a vedere. Questa è infatti una delle frasi che ricorrono più spesso all’inizio del periodo romano di Winckelmann, quando, appena arrivato dalla Germania, scopre la città eterna e i suoi tesori e afferma: “Sono venuto a Roma solo con il progetto di vedere”. Quello che ci ha donato attraverso pagine dedicate all’interpretazione delle opere antiche è un nuovo modo di osservare, potremmo dire, soprattutto ciò che non è immediatamente percepibile, ciò che si cela dietro la forma levigata della statua. Si pone, di fronte alla pietra, quasi come di fronte a un essere umano, cercando di leggere i segni sul volto, le sofferenze sul corpo, facendo sì, che dalle sue descrizioni, la materia inerte prenda vita e ci racconti delle storie. Caso esemplare è quel capolavoro di descrizione del Torso del Belvedere che non è soltanto una magistrale descrizione d’arte, ma che rappresenta un capolavoro letterario e poetico. Nella descrizione di una pietra alla quale mancano le parti più significative, Winckelmann dà una voce che ricrea le parti mancanti, chiede anche uno sforzo al lettore affinché osservi anche lui il prodigio. E in questo modo dà vita a una delle pagine letterarie più dense e immaginifiche della sua produzione.

In realtà, quindi, l’importanza di Winckelmann non è solamente, per la storia della critica d’arte. La sua figura è fondamentale nella storia dell’arte, nell’archeologia, nella nascita di un nuovo gusto e, non da ultimo, nella riscoperta da parte della letteratura tedesca coeva di un modello nuovo. Johann Joachim Winckelmann, infatti, ci ha anche insegnato un nuovo modo di guardare l’arte che certamente tiene conto delle specifiche caratteristiche del manufatto, ma che va al di là della materia inerte che ha di fronte. Un caso famosissimo è proprio quello, ad esempio, della descrizione del famoso gruppo marmoreo del Laocoonte. Qui, in una prosa straordinariamente levigata, Winckelmann ci mostra non soltanto la statua, ma ci indica la sofferenza che si manifesta sul corpo del protagonista della scena, ci invita a vederne il dolore che si evidenzia nella contrazione dei muscoli, ci obbliga a osservare la statua come se fossimo di fronte a un essere umano.

Quali vicende ne scandirono l’esistenza?
La sua vita sembra già quasi un romanzo. Figlio di un umile ciabattino, poverissimo per gran parte della sua esistenza, ma caparbio e con doti eccezionali, nato in un piccolo paese nel Nord della Germania, giunse poi a Roma per ricoprire, negli anni, cariche importanti fino a diventare Prefetto delle Antichità di Roma e frequentare l’ambiente cardinalizio. All’apice del suo successo decise allora di intraprendere un viaggio per tornare a rivedere la sua patria, verso nord, ma interruppe il viaggio improvvisamente per incontrare un’orribile morte a Trieste, mentre aspettava di trovare una nave che lo riportasse ad Ancona e poi verso Roma.

La parabola dell’esistenza di Winckelmann è già strutturata come una tragedia classica. La sua vita percorre un arco impressionante. Un’impresa che all’epoca era impossibile. Un arco perfetto che, a prima vista, sembrerebbe frutto di un destino già segnato.

In realtà, ci sono stati degli appuntamenti nella vita di Winckelmann, dei punti di svolta che ne hanno condizionato le scelte e indirizzato il percorso.

Inizia la sua modesta carriera di insegnante e precettore, tra il proprio disagio e l’insoddisfazione dei suoi superiori. Poi, viene rimproverato perché passa il suo tempo a leggere Omero, il suo più grande amore. Indispettito per il rimprovero, decide di rischiare e di abbandonare la strada dignitosa e sicura dell’insegnamento, per diventare bibliotecario a Dresda. E qui ecco che scopre la galleria d’arte di Dresda. Un colpo di fulmine. La scoperta dell’arte, del suo linguaggio, della forza che l’arte può avere per l’esistenza quotidiana. Questa scelta e questo incontro determinano la sua nuova ambizione.

A Dresda entra in contatto con i prelati romani, che svolgono alla corte la funzione di diplomatici. Nuovamente la possibilità di uno strappo. Andare a Roma. Incontrare nella città che conosce dai suoi libri, le opere d’arte che ha studiato e che conosce per sentito dire. Ricordiamo che all’epoca anche l’illustrazione di un’opera d’arte non era un materiale facilmente reperibile.

Andare a Roma significa rompere con la sua vita presente. Rinunciare a tutte le certezze e addirittura convertirsi al cattolicesimo. Ma la sua determinazione è così grande, il richiamo delle antichità così forte, che dopo un tormentato periodo di indecisioni e rimandi, Winckelmann parte per Roma e lì, la sua carriera prende il volo.

Qual era la sua personalità?
È difficile definire la personalità di chiunque, in poche parole, anche se lo conosciamo. Certo, Winckelmann era una persona minuziosa, orgogliosa, dalla volontà forte e determinata. Le vicende di cui abbiamo appena parlato ne sono chiara testimonianza. Rinunciare a ciò che si ha, per rischiare in luoghi nuovi e in contesti sconosciuti è un sintomo chiaro di questa determinazione. Ma è ovvio che questa determinazione è presente anche in tutti gli aspetti della sua vita. Insomma, non doveva avere un carattere facile, disponibile alle critiche o alle contestazioni.

L’altro elemento caratteristico della sua personalità è stata la costante lotta tra l’aspirazione alla libertà e le necessità materiali. Conosceva l’indigenza e apprezzava gli agi. Sapeva, in modo molto pratico, che senza denaro tutte le speranze rimangono dolorose illusioni. Eppure mai una volta è sceso a patti, si è sottomesso senza lottare. La ricerca dell’indipendenza è stata il motore di tutta la sua vita. Un’indipendenza che si è riversata anche nel suo pensiero, tanto da permettergli di realizzare delle opere di indiscussa novità per il periodo in cui visse.

Forse umanamente pagò questa ambizione all’indipendenza. La libertà che desiderava così tanto poteva anche essere un ostacolo nei rapporti con gli altri, perché suscitava la competizione degli amici, l’invidia de colleghi, il giudizio severo dei rivali.

Come maturò la sua fama?
Quando Winckelmann era a Dresda pubblicò un piccolo volumetto in cinquanta copie: i Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura. Era il risultato degli studi di molti anni. Quest’opera però inaspettatamente fu un successo non solo tedesco, ma addirittura europeo. All’interno di questo prezioso studio c’è quel passaggio che tanta fortuna avrà sulla storia letteraria e artistica successiva: “Infine, il generale e principale contrassegno dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza”. Con la stessa rapidità la sua esistenza ha un’improvvisa accelerazione, può partire alla volta di Roma per poter trovare là la libertà e l’indipendenza che stava cercando e soprattutto per poter vedere ciò che fino a questo momento aveva descritto sulla base forse di incisioni. A Roma conoscerà un mondo completamente diverso da quello al quale era abituato; avrà la possibilità di descrivere le opere dal vero, di conoscerle, potrà intraprendere scavi, potrà permettersi finalmente di essere al centro del mondo sognato e desiderato. Fino al 1764, quando sarà nominato Prefetto delle Antichità di Roma, un incarico particolarmente prestigioso e pubblicherà anche la sua monumentale Storia dell’Arte.

La sua fama, insomma, è legata in parte alle decisioni prese in controtendenza, ma soprattutto alle opere realizzate, a un pensiero nuovo e dirompente, modellatosi su uno studio attento e scrupoloso, su grandi capacità e soprattutto su una forza di volontà non comune. Nel periodo, ad esempio, in cui lavorava nella scuola a Seehausen, un piccolo luogo vicino alla sua città di origine, dedicava la giornata all’insegnamento e poi, di sera, alle dieci, quando tutti andavano a dormire, Johann Joachim rimaneva alzato almeno fino a mezzanotte per leggere i suoi amati testi e per studiare; andava poi a riposare per alzarsi quattro ore più tardi e, prima di cominciare una nuova giornata, dedicava ancora qualche ora allo studio. Non potendosi permettere l’acquisto di libri, inoltre, si dedicava a una pratica che era molto comune: quella di ricopiare i passaggi più rilevanti, esercizio che conservò per tutta l’esistenza, anche quando le sue condizioni di vita era migliorate e avrebbe potuto finalmente permettersi il lusso di acquistare libri. Vedere i suoi appunti, con una scrittura fitta, che sfrutta ogni spazio, è emozionante. Si riesce a immaginare questo giovane caparbio che copia con avidità e fatica i testi che gli danno così tanta gioia.

In quali oscure circostanze avvenne la sua morte?
Winckelmann morì assassinato a Trieste. Il mistero della sua morte non è legato alla dinamica dell’omicidio o all’identità dell’assassino, ma al movente del delitto. Si sono fatte tante illazioni sul motivo per cui un oscuro personaggio, molto al di sotto del suo rango, lo abbia accoltellato nell’albergo in cui risiedeva. Ipotesi di carattere privato o sentimentale, ricostruzioni di complotti internazionali, supposizioni su un maldestro tentativo di rapina. Tutte congetture suffragate da indizi, testimonianze e interrogatori. Il lettore si divertirà, spero, a percorrere tutte queste trame, che sono state anche al centro di una vasta letteratura di finzione, in particolare nei primi decenni del Novecento. Certo dovrà interrogarsi sul perché il Prefetto dell’Antichità abbia interrotto improvvisamente il viaggio verso la Germania, dopo tanti anni di assenza; dovrà desumere la ragione per cui si sia trattenuto a Trieste sotto falso nome e, infine, domandarsi il perché la mattina dell’8 giugno 1768, nella stanza numero 10 della Osteria Grande di Trieste, un uomo che diceva di chiamarsi Arcangeli lo abbia pugnalato a morte. Se vogliamo, e naturalmente è un esercizio di immaginazione, il delitto e tutte le circostanze della sua morte sono come quel Torso, la cui descrizione lo ha reso famoso. È tutto lì, anche se invisibile. Mancano delle parti eppure, osservando bene, sembra quasi di poter scorgere la figura intera, il quadro complessivo di quella tragedia, le trame del caso che l’hanno provocata.

Federica La Manna è professore di Letteratura tedesca all’Università della Calabria. Ha collaborato all’edizione commentata dell’opera di Wackenroder (2014) ed è autrice di svariati contributi sull’opera e sulla ricezione di Winckelmann. Tra le sue pubblicazioni: Più solitario di un lupo. Tipologia del melanconico nel Settecento tedesco (2002) e Sineddoche dell’anima. Il volto nel dibattito tedesco del Settecento (2013).

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