
Il pensatore tedesco soggiornò per lunghi periodi nella Penisola, esplorandone il paesaggio e conoscendone le opere d’arte: l’Italia del Nord nel viaggio di maturità del 1912; Capri e Napoli nel 1924-1925, dove si aggregò alla nutrita colonia di intellettuali espatriati dalla Germania, comprendente tra gli altri Ernst Bloch a Theodor W. Adorno; la Toscana (Volterra, Siena, San Gimignano) alla fine degli Anni Venti; San Remo nel decennio successivo, ospite della ex-moglie Dora che gestiva una pensione nella località balneare ligure.
Nella sua biblioteca Benjamin possedeva traduzioni tedesche del Decameron di Boccaccio, della Commedia di Dante, dei Pensieri di Leopardi, dell’epistola Posteritati di Petrarca e dei Promessi Sposi di Manzoni; leggeva inoltre testi in lingua originale, come testimoniano le sue traduzioni da Gabriele d’Annunzio.
Gli studi condotti sulle relazioni di Benjamin con la cultura italiana si sono sinora concentrati sull’analisi di singoli casi. È stata sottolineata l’importanza degli scritti di viaggio riferiti all’Italia, con particolare attenzione per il sovvertimento dei tradizionali clichés legati alla penisola. Studi monografici hanno esaminato la ricezione benjaminiana di autori italiani, classici (Dante, Leonardo, Vico, Leopardi) e contemporanei (D’Annunzio, Croce); a sua volta, la ricezione di Benjamin in Italia è stata oggetto di ricerche di taglio bibliografico e filosofico-politico tendenzialmente esaustive, per quanto ormai necessarie di aggiornamento. È tuttavia ancora lungi dall’essere compiuta una mappatura capillare della sua influenza in chiave latamente culturale e letteraria in particolare, ambito nel quale ci si è limitati ad alcuni puntuali ma incoraggianti sondaggi su Montale, Debenedetti, Sereni, Pasolini, Calvino. Così come mancava una ricerca espressamente dedicata allo studio della presenza della cultura italiana nell’autore.
Quale frequentazione intrattenne Benjamin con il paesaggio e la cultura italiana?
Il paesaggio italiano è per Benjamin tutt’uno con il patrimonio artistico della Penisola, secondo un’idea di armonia tra natura e cultura che egli eredita da Goethe. Sempre dal massimo poeta tedesco egli trae l’attenzione alla vita delle classi popolari, alla quale imprime una peculiare curvatura l’incontro, a Capri, con la regista teatrale di origine lettone Asja Lācis, determinante per la sua adesione al marxismo. Questa attenzione antropologica si traduce anche in un’inedita sensibilità per il paesaggio sonoro, per le “botole acustiche” (l’espressione è usata in un appunto redatto in Toscana) nelle quali risuona la lingua di Dante.
Oltre alla vita del popolo, in Italia Benjamin si interessò all’arte del passato e alla cultura del tempo. I suoi scritti rivelano una predilezione, ad esempio, per l’arte paleocristiana e per quella del Rinascimento. Egli si mostra poi curioso nei confronti del Futurismo (tra le altre cose, durante un soggiorno a Capri partecipa a un thé nella villa di Marinetti) e, in seguito, per le opere di Pirandello, in particolare i Quaderni di Serafino Gubbio operatore.
Quali sono gli esempi più significativi di tale rapporto?
Delle tante occasioni offerte da una frequentazione così intensa e duratura, i saggi raccolti nel volume Walter Benjamin e la cultura italiana approfondiscono alcuni snodi fondamentali, a cominciare dalla redazione a Lugano di Schicksal und Charakter, contestualizzata da Nicola Emery sullo sfondo del dibattito sul binomio destino/carattere nella filosofia germanica del tempo, ma anche di alcune notazioni sul genius loci, soprattutto di carattere meteorologico, che sembrano interpretarne i motivi profondi.
Il saggio di Sigrid Weigel, tra i più noti studiosi benjaminiani a livello internazionale, è dedicato all’Italia come scena (Schauplatz) dei Denkbilder (immagini di pensiero) benjaminiani, ovvero come luogo di preconiazioni visive che, anche a distanza di decenni, germinano in immagini di pensiero. Alla cultura visuale dell’autore, con particolare riguardo alle riflessioni sul collezionismo e sul museo, è dedicato anche il saggio di Carla Mazzarelli imperniato sulla ricezione benjaminiana del Musée des copies di Charles Blanc, progetto all’interno del quale la pittura italiana rivestiva un ruolo preminente.
Altri due saggi sono dedicati al Benjamin teorico della letteratura: il primo, a mia firma, si sofferma sulla coincidenza, storicamente fondata, di un Denkbild (il camino acceso) nella teoria del romanzo di Alessandro Manzoni e in quella di Benjamin; il secondo, di Roberto Gilodi, riprende la delicata questione del rapporto con Benedetto Croce dall’inedita prospettiva della teoria dei generi letterari.
Chiude il volume un intervento di Corrado Bologna, che, intrecciando autobiografia intellettuale (il suo primo intervento di argomento benjaminiano risale al 1973) e ricostruzione bibliografica, pone le basi per un ulteriore capitolo dell’indagine, dedicato alla ricezione dell’autore nella cultura italiana nel suo complesso.
Marco Maggi è professore straordinario di Letterature comparate e teoria della letteratura e direttore del Master in Lingua, letteratura e civiltà italiana all’Università della Svizzera italiana. Oltre a numerosi articoli e curatele, ha pubblicato le monografie Modernità visuale nei “Promessi Sposi”. Romanzo e fantasmagoria da Manzoni a Bellocchio (Bruno Mondadori, 2019) e Walter Benjamin e Dante. Una costellazione nello spazio delle immagini (Donzelli, 2017). Tra le sue ultime pubblicazioni le curatele del fascicolo Fototestualità («Versants», 69, 2021) e del volume Walter Benjamin e la cultura italiana (Firenze, Olschki, 2021). È membro del comitato scientifico della rivista Arabeschi. Rivista di studi su letteratura e visualità e delle collane Crossovers (ESCL/SELC / ibidem Press Berlin) e dell’Istituto di studi italiani (USI / Olschki). È responsabile del fondo della germanista e comparatista Lea Ritter Santini presso l’archivio della Fondazione Centro studi storico-letterari Natalino Sapegno. Collabora regolarmente a “L’Indice dei Libri del Mese”.