
A fronte di questa situazione, le fonti scritte a nostra disposizione per studiare il periodo altomedievale sono di due tipi fondamentali. Da una parte ci sono le grandi cronache scritte da autori ecclesiastici (per avere autori laici bisognerà attendere l’inizio del secondo millennio). Molte di queste cronache raccontano la storia dei regni barbarici postromani: la Storia dei Goti di Giordane, la Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, la Storia dei Longobardi di Paolo Diacono, la Storia degli Angli del Venerabile Beda, ed altre ancora. Ad esse si possono aggiungere le cronache dei grandi monasteri (in Italia: Montecassino, S. Vincenzo al Volturno, Farfa); queste ultime assumono talvolta – è il caso ad esempio gli Annali del regno dei Franchi – anche la forma di annali di storia generale. Poi ci sono le raccolte delle vite dei vescovi delle sedi più importanti: nel caso del Liber pontificalis, il libro che contiene le vite dei papi, siamo di fronte anche ad un prezioso strumento per conoscere la storia della città di Roma nell’alto medioevo. Ci sono infine, e sono importantissimi, i documenti d’archivio: vendite, permute, contratti d’affitto, donazioni, lasciti testamentari, che concernono soprattutto beni fondiari; e i documenti pubblici, sia diplomi regi, sia documenti giudiziari, ai quali si possono accostare pure i testi contenenti le leggi emanate dai sovrani.
Si fa spesso riferimento ai secoli che vanno dal VI al IX come a “secoli oscuri”: è realmente così?
Si tratta ovviamente di un pregiudizio, che però è profondamente radicato nella cultura non solo italiana ma anche europea e americana. Tutto nasce dalla venerazione per il passato romano: da ciò discendeva la considerazione che un’ epoca, nata dalle rovine di una civiltà ritenuta “perfetta”, non poteva che essere un periodo di barbarie. Ma oggi sappiamo che il passaggio da un periodo all’altro non fu così netto, al contrario si trattò di una progressiva trasformazione della società romana in qualcosa di diverso. Certo, la società altomedievale era più povera di quella antica, perché essa si formò a partire dalla grande crisi economica che colpì il Mediterraneo tardo-antico, e in un periodo per di più caratterizzato da un profondo disordine politico-militare; inoltre essa non ebbe per lungo tempo – almeno fino al periodo carolingio, tra VIII e IX secolo – una classe dirigente capace di esprimere un’élite intellettuale di alto livello. Tuttavia non si trattò di una ripartenza da zero, ma della rielaborazione del passato romano in un contesto radicalmente mutato: alla luce cioè del contatto con culture parzialmente diverse – i barbari stanziati lungo i confini dell’impero e oltre – e in presenza del pieno dispiegamento del cristianesimo e della maturazione delle strutture ecclesiastiche che ad esso facevano riferimento. La costruzione, al termine di questo primo periodo, dell’impero carolingio segnò un primo momento di consolidamento e di crescita della società medievale, in un ambito territoriale che nel frattempo era profondamente mutato e che si era allontanato dal Mediterraneo per espandersi verso nord e verso est.
I documenti di quei secoli presentano figure diverse, gente comune e personaggi famosi: come sono giunte sino a noi queste evidenze e perché questa dicotomia?
Di solito le grandi cronache, alle quali facevo riferimento prima, mettono in primo piano solo le vicende dei re, delle regine, dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica. Rappresentano quindi una storia politica, degli avvenimenti, che riguarda quasi esclusivamente le élites. Fra i documenti d’archivio, anche i diplomi regi riguardano le aristocrazie; al contrario, i documenti privati (ed è questa la loro importanza) non solo consentono di fare una storia dell’economia (agraria, ma anche mercantile) del periodo, ma soprattutto mettono in campo spesso gente comune, consentendoci quindi di fare una storia della società che dai vertici scenda anche ai livelli più bassi. I documenti della gente comune sono arrivati fino a noi perché le terre che sono oggetto dei documenti (che erano di loro proprietà, oppure sulle quali essi erano stanziati) ad un certo punto sono entrate a far parte dei patrimoni di chiese e monasteri, che quindi li hanno conservati nei loro archivi. A metà strada fra le cronache delle élites e i documenti privati, i documenti giudiziari invece possono riguardare sia le élites che, come in qualche caso che ho analizzato nel libro, persone comuni.
Nel Suo testo, Lei racconta le origini di Venezia e tratta del “primo doge”
Studiare le origini di Venezia è particolarmente difficile, non solo perché le fonti a nostra disposizione sono poche, ma perché è tale lo spessore delle leggende che si è depositato su di esse che è difficile orientarsi e discernere i pochi dati certi. Oggi riteniamo che Venezia si sia formata, nei secoli successivi alla conquista longobarda dell’Italia e poi durante il periodo della dominazione carolingia, a partire dalla trasformazione di un antico ducato bizantino, che occupava il nord-est dell’Italia e che si era formato proprio per resistere ai Longobardi e ai Franchi. All’interno di questo ducato, via via territorialmente più ristretto fin quasi a limitarsi al solo spazio lagunare, nei decenni successivi all’800 sulle isole dell’arcipelago di Rialto si formò la vera e propria città di Venezia. Stando così le cose, possiamo considerare il “primo doge” semplicemente il primo duca (doge è una deformazione di dux, duca, che era il titolo portato dall’ufficiale bizantino che comandava il ducato) eletto localmente e non nominato da Bisanzio: non Paulicio, come vorrebbe la tradizione, bensì probabilmente un certo Orso, eletto dall’esercito del ducato veneziano intorno all’anno 730, in occasione di una forte crisi politico-religosa con Bisanzio.
Sempre nel Suo testo, Ella affronta un caso particolare di damnatio memoriae: la vicenda della pseudo-Ermengarda, sposa ripudiata di Carlo Magno
La storia della caduta del regno longobardo nelle mani dei Franchi di Carlo Magno nel 774 è sempre stata presentata come un atto inevitabile, dovuto alla necessità da parte del re franco di intervenire per salvare il papato dalle mire dei Longobardi. In realtà, questa è semplicemente la narrazione dei vincitori: i Franchi stessi, che a partire dalla conquista del regno longobardo metteranno le basi per costruire un impero, e il papato, che, partendo dagli eventi di questo periodo, riuscirà a costruire al tempo stesso la sua dominazione territoriale e la sua posizione dominante all’interno della chiesa occidentale. Ma non era inevitabile l’intervento di Carlo, né fu dovuto alla necessità di salvare il papa da un nemico ostile o persino pagano: infatti quella longobarda era una monarchia cattolica come quella franca, e l’ultimo re longobardo Desiderio era un fondatore di chiese e monasteri come del resto i suoi predecessori. Quella di Carlo fu dunque una scelta politica, e una scelta molto grave, proprio perché si trattava di aggredire un altro regno cristiano. Per questo, a posteriori, tutta la storia fu ammantata di una forte sovrastruttura ideologica e di propaganda. In questa chiave non era possibile ammettere che, solo tre anni prima della conquista del regno longobardo, Carlo fosse alleato di Desiderio e ne avesse sposato la figlia. Tutto l’evento doveva essere cancellato: e a tal fine la maggiore vittima fu proprio la principessa longobarda, di cui – a differenza delle sue tre sorelle, i cui nomi ci sono noti – fu cancellato il nome (Ermengarda è un’invenzione del Manzoni) e, in parte, anche il matrimonio. Ma qui il tentativo non riuscì del tutto, e almeno la realtà del matrimonio possiamo affermarla con sicurezza; il nome, invece, è perso per sempre.