
Permettetemi di dire che sono molto orgoglioso che il mio vocabolario sia uscito in una versione in inglese (2015, 2018), una in greco moderno (2016) e una in tedesco (in corso di stampa), perché è la prima volta nella storia che un vocabolario italiano viene “tradotto” in altre lingue. Importante è sapere che l’editore della versione inglese, il famoso Brill, presenta anche una versione elettronica on line, che viene frequentemente aggiornata grazie al fatto che questo strumento offre praticamente uno spazio illimitato, senza le costrizioni di un volume a stampa o anche di un CD.
In che modo il Suo Vocabolario si discosta dallo storico Rocci?
Tutti i vocabolari invecchiano, non soltanto quelli delle lingue moderne. Una visione superficiale, tipica di chi non è competente in questo campo, è quella di chi si chiede se ci sia bisogno di rinnovare i vocabolari del greco antico e del latino: si dice che sono lingue morte (una definizione che peraltro io rifiuto alla radice) e dunque il loro vocabolario non cambia più. Ma chi è competente può facilmente obiettare che il greco e il latino, pur essendo lingue non più usate da una comunità attiva di parlanti, con gli anni in verità cambiano. Spieghiamoci. Stiamo parlando di un vocabolario bilingue, che bisogna distinguere da un vocabolario monolingue, come quello della lingua italiana per un madrelingua italiano, della lingua inglese per un madrelingua inglese, e così via. L’uso e lo scopo del vocabolario bilingue e del vocabolario monolingue sono evidentemente diversi (certe volte è necessario usarli entrambi). Tre fattori entrano in gioco nel definire e qualificare un vocabolario bilingue: la lingua ignota o poco nota da capire e tradurre, in cui sono scritti i messaggi che entrano in gioco, quindi il progresso nelle conoscenze relative a questa lingua; la lingua di traduzione, cioè quella che fornisce gli elementi per capire e tradurre i messaggi di cui si tratta; infine la veste editoriale e grafica, che cambia con i gusti e le tendenze nel corso del tempo. Nel nostro caso, la prima è il greco antico; la seconda è la lingua moderna; e poi c’è il progresso nell’uso e lo stile del layout tipografico: chiunque segua un po’ queste cose sa bene che un libro di oggi ha un aspetto diverso rispetto a un libro di decenni fa, e questo vale particolarmente per i libri scolastici. Ciascuno di questi tre fattori non può non segnare una differenza con un vocabolario nato negli anni Quaranta del secolo scorso.
Quali difficoltà presenta la redazione di una simile opera?
Le difficoltà sono definite dai tre fattori che ho appena individuato: vediamoli uno per uno. In primo luogo bisogna tenere conto dei progressi negli studi sul greco antico: soprattutto le nuove edizioni critiche dei testi, che entrano in gioco nell’aggiornamento delle citazioni delle opere; e poi i nuovi testi che vengono pubblicati, con il loro portato di parole nuove. Bisogna soffermarsi un poco su quest’ultimo aspetto. È vero che nel greco antico non si producono nuovi messaggi, ma siamo ben lontani dal conoscere e utilizzare tutti quelli che sono stati prodotti e sono stati conservati. Ci sono centinaia di codici manoscritti che devono essere verificati, consultati e riediti, o quanto meno utilizzati bene e a fondo per nuove edizioni dei testi. E poi pochi dei non addetti ai lavori sanno che ci sono migliaia di frammenti di papiro ritrovati in scavi, soprattutto in Egitto, che attendono di essere decifrati e pubblicati: per esempio, di recente nuovi versi di poeti come Saffo, Stesicoro, Archiloco sono stati ritrovati e resi noti. Ogni anno le nuove edizioni di papiri ci portano nuovi testi, il che significa anche spesso nuove parole. Tenere dietro a tutto questo non è facile e segna la differenza di un vocabolario aggiornato. Si capisce che del mio vocabolario, uscito in prima edizione nel 1995, siano già state fatte tre edizioni, l’ultima delle quali è del 2013 ed è già stata di nuovo aggiornata nel 2016: ognuna delle edizioni contiene aggiunte e aggiornamenti, sia per le edizioni critiche delle opere che per le nuove parole. A questo scopo segnalo che ho creato un sito web accessibile liberamente (Word in Progress) nel quale con i miei collaboratori cerchiamo di registrare le parole non incluse nei dizionari del greco antico in uso.
Non meno importante è la lingua di traduzione. Sappiamo bene come le lingue moderne mutino rapidamente nell’uso: l’italiano di oggi, come l’inglese, il francese, il tedesco, sono ben diversi da quelli di alcuni decenni fa. È uno degli aspetti che bisogna assolutamente aggiornare, altrimenti si crea un ostacolo in più al giovane utente che affronta il problema postogli dal greco antico: se un ragazzo si trova a usare uno strumento che gli parla in un italiano arcaico e desueto, lontano da quello che usa ogni giorno, non è certo incoraggiato e aiutato, anzi trova un ostacolo in più perché ha difficoltà a capirlo.
Infine, la veste grafica, sulla quale ho già anticipato l’essenziale. Per un vocabolario, il layout tipografico è ancora più importante e decisivo che per gli altri libri scolastici. Oggi nei vocabolari si usano ampiamente accorgimenti grafici per aiutare la consultazione e facilitarne l’uso: strutturazione dei lemmi con lettere e numeri, lemmi-aiuto di vario genere. uso del corsivo e del neretto, persino del colore.
Aggiungo qualche considerazione. Il mio vocabolario di greco comprende 140.000 lemmi circa, il che dà una prima misura dell’impegno dell’opera. Poi teniamo presente che si considera un arco temporale che va da Omero fino a VI sec. d.C., quindi materiali lessicali molto vari per epoche, generi letterari, opere, autori. Oggi è impossibile pensare a un simile lavoro compiuto da una sola persona: è senz’altro necessario un lavoro di équipe e l’autore di un vocabolario oggi deve assolutamente saper guidare un gruppo di lavoro. E deve anche saper usare e far usare i mezzi informatici a disposizione anche per lo studioso del greco antico: mi piace dire che le lingue antiche camminano molto bene e volentieri sulle gambe moderne.
Quale funzione svolge, nello studio del greco, l’esercizio di traduzione?
La traduzione è assolutamente essenziale ed io ne sono un accanito e convinto sostenitore. Solo traducendo ci si rende ben conto del sistema di pensiero e del significato di un brano in una lingua diversa dalla nostra: trasporre da un sistema semantico a un altro senza tradire il significato di un passo è il risultato più alto che si attinge nella conoscenza di una lingua. È un esercizio intellettuale che dà un senso allo studio di una lingua. Credo si possa dire che non tradurre significa non capire. E se non ci si pone l’obiettivo di capire, a cosa serve studiare una lingua, leggere le grandi opere che sono state scritte in questa lingua, studiare la cultura che si è espressa in essa?
Enzo Mandruzzato affermava che «quando occorrono cinque anni per tradurre quindici righe in quattro ore con il vocabolario, e ancora senza piena soddisfazione degli esperti» evidentemente qualcosa non va: quali sono, a Suo avviso, i limiti della didattica contemporanea del greco antico?
Evidentemente sono molti, ma l’opinione e il giudizio di Mandruzzato qui citato riflette quella che è senz’altro una utopia. Di fatto i migliori allievi non hanno questa limitazione, almeno non in misura assoluta, e in tutte le discipline ci sono ovviamente i più bravi e i meno bravi. Certamente non tutti gli studenti di fisica sono in grado di capire a fondo la teoria della relatività generale o la meccanica quantistica. Quando gli studenti di un Liceo arrivano all’Università, la differenza nella capacità di capire il greco diventa ben visibile. Purtroppo il punto è che i veramente “bravi”, i migliori, sono sempre meno numerosi e ci sono all’Università molti studenti di Lettere Classiche che, di fronte a un brano di un autore greco antico, annaspano senza capire. In verità ogni anno in un corso universitario ci sono uno o due fuoriclasse: ma questo non può bastarci.