
L’Autore ripercorre le tappe che lo hanno condotto alla scelta di abbandonare, nel 2012, il suo impiego nell’ufficio marketing & business development di una private bank italiana, partendo dalla convinzione maturata sin da quando era un giovane studente: «il denaro è sempre stato importante non nel suo valore intrinseco ma nella sua trasferibilità: nel suo potere di essere scambiato per permetterci di acquistare cose»: «Finché si muove il denaro è in grado di generare scambi e rapporti tra le persone, serve al suo scopo e «funziona». Ogni volta che rimane per qualche motivo fermo, smette di essere utile come strumento e si trasforma in qualcosa di sterile, se non di dannoso.»
Dalmasso analizza il perché nel nostro Paese gli strumenti di pagamento elettronici siano poco diffusi e utilizzati e come mai «pagare un caffè al bar con la carta può trasformarsi in una tragicommedia»: «Le ragioni per cui effettuare piccoli pagamenti con la carta di credito in Italia è più complicato prendono avvio da qui: in Italia, nella stragrande maggioranza dei casi, quando si effettua un pagamento verso un negozio, bar, ristorante, si tratta di un’attività a conduzione familiare, con un solo punto vendita e senza la capacità negoziale della multinazionale nel richiedere commissioni più contenute sui pagamenti elettronici.»
Una ragione ulteriore risiede nel fatto che «la carta di credito è nata offrendo la possibilità di acquistare attraverso il credito e infatti negli USA e nei paesi anglosassoni le persone spendono non quello che hanno sul conto, ma ciò che avranno, ciò che guadagneranno: sono economie molto dinamiche anche per questo motivo. Di conseguenza nei paesi anglosassoni gli esercenti sono obbligati ad accettare le carte di credito; se non lo facessero non potrebbero accedere alla capacità di spesa degli americani.»
In Europa, invece, esiste un approccio culturalmente diverso, improntato ad una maggiore morigeratezza nei consumi: «si tende, soprattutto le generazioni più anziane, a risparmiare e «andarci piano». Non è un caso che le carte più utilizzate siano qui quelle di debito (il circuito Bancomat, per intenderci), che prelevano solo i soldi che sono già disponibili sul conto.»
La rivoluzione negli acquisti rappresentata dall’e-commerce ha certamente contribuito al successo dell’app: l’e-commerce in Italia si è diffuso più lentamente che in altri paesi in parte proprio per la «minore diffusione di strumenti di pagamento elettronico. Non è un caso che negli ultimi vent’anni siano prosperate le carte prepagate: una soluzione intermedia, attraverso la quale anche chi non possiede una carta di credito, o non si fida a usarne una online, può acquistare o vendere sulla rete».
C’è voluto molto tempo perché si giungesse a semplificare anche i pagamenti: «La svolta in positivo c’è stata circa sette anni fa, quando l’evoluzione tecnologica e normativa in Europa ha creato i presupposti per far nascere nuove soluzioni. Dal punto di vista tecnologico c’è stata la diffusione dello smartphone, che ha reso internet molto più fruibile per tutti. […] Anche dal punto di vista normativo c’è stato un grande balzo in avanti. Dato che due terzi dei pagamenti elettronici in Europa sono gestiti da Visa, Mastercard e PayPal, l’Unione Europea ha emanato direttive che hanno consentito la nascita di nuovi intermediari, come gli istituti di moneta elettronica, e nuovi standard di pagamento.»
E così, i due fondatori, Alberto Dalmasso e Dario Brignone, decidono di dar vita a Satispay impegnando i propri risparmi: «la cifra di partenza che avevamo messo insieme nel 2013 (120.000 euro) era, sì, maggiore rispetto a quanto si è soliti investire come fondatori in una start-up ma non era in sé risolutiva; era piuttosto il simbolo del nostro impegno a dedicarci interamente al progetto e a rischiare direttamente, sia con il nostro tempo – lasciando altri lavori –, sia con il nostro denaro. Per fortuna raccogliemmo subito l’interesse di amici e conoscenti che […] ci chiesero più volte di investire con noi, nel nostro progetto», seguiti da un business angel.
I due diedero vita ad un vero e proprio crowdfunding realizzando un video in cui spiegavano il loro progetto e inviandolo a 60 amici: 52 di essi confermarono la loro volontà di investire, diventandone così i primi «ambassador»: «così raccogliemmo i primi 300 000 euro da investitori esterni. Satispay stava partendo davvero.»
Il resto è storia nota: «Con Satispay abbiamo reso possibile a chiunque possieda già l’app controllare quali sono gli esercenti vicini a sé, selezionarne uno e pagare, anche se in quel momento si è ancora al bancone del bar, al tavolo del ristorante o fuori dal camerino del negozio di abbigliamento, senza bisogno di essere fisicamente di fronte alla cassa e senza bisogno di toccare nulla al di fuori del proprio telefono. In parte ci siamo addirittura fatti ispirare dalle modalità d’uso del contante, consentendo al consumatore di digitare la cifra del pagamento […] Siamo poi andati ancora oltre nel tentativo di rendere il pagamento più «personale» e meno freddo possibile, facendo comparire sul dispositivo che l’esercente utilizza per accettare i pagamenti, il nome di battesimo del pagatore.»
Forte della Sua esperienza di successo, Dalmasso auspica ora che sia possibile «dare vita a una società del denaro come mezzo, dell’impresa come mezzo; a un’economia in cui non importa il cognome dell’imprenditore, in cui non è l’eredità la principale possibilità di arricchirsi ma in cui le storie di successo si moltiplichino e influenzino le ambizioni altrui; a un tessuto in cui proliferino continuamente imprese più grandi dei loro fondatori, società solide e dinamiche, capaci di arrivare sui nuovi mercati internazionali prima e meglio degli altri, e di dare vita a sempre più competenze e posti di lavoro, ispirando nuovi imprenditori e nuovi finanziatori.»