
Si, ho trascorso due anni e mezzo raccogliendo le testimonianze di alcuni coraggiosi cittadini di Mosul che hanno vissuto loro malgrado un’esperienza terribile. Il libro vuole essere la testimonianza dei civili che vivevano in città, l’ho scritto per dare loro voce e raccontare quanto hanno vissuto in prima persona. Si tratta di cittadini sunniti che per varie ragioni familiari o personali sono stati costretti, o hanno scelto, di restare in città malgrado l’arrivo degli uomini di Al Baghdadi, inizialmente molto temuti perché considerati terroristi.
Essi infatti nel 2014 nel nord dell’Iraq non vennero visti come invasori, essendo sunniti e inizialmente in gran parte arabi iracheni, ma piuttosto considerati pericolosi terroristi poiché nati dai gruppi jihadisti più o meno ricollegati ad Al Qaeda che a partire dall’ “invasione” statunitense del 2003 (così definita da tutti quelli con cui ho parlato) avevano piazzato bombe per anni, provocando la morte di tantissimi civili.
I cittadini di Mosul assistettero terrorizzati al loro arrivo in città, e poi alla loro amministrazione, che inizialmente molto efficiente, pian piano li soffocò, mentre la città si sgretolava sotto le bombe della coalizione internazionale anti-Islamic State.
Cosa è successo in quegli anni? Qualcosa che noi in Occidente neanche immaginiamo: la città ha continuato a vivere.
Lo ha fatto sotto regole ferree e una crescente repressione in caso di inosservanza di tali regole, ma ha continuato a vivere e, per molti aspetti, inizialmente è anche “rifiorita”, nel senso, mi è stato spiegato, che tanti aspetti della vita cittadina sono tornati ai livelli pre-2003, e quindi a quando sotto il regime di Saddam gli abitanti di Mosul vivevano felici e sereni, in una città governata da un regime militare ma efficiente e con tutti i servizi funzionanti, ove non esisteva quell’inefficienza e quella corruzione che dal 2003 al 2014 hanno reso la vita invivibile, soprattutto per i cittadini onesti.
Dal racconto emerge l’incredibile brutalità del Califfato ma anche l’efficienza della sua amministrazione.
Si, esattamente: tutti mi hanno parlato di una incredibile brutalità, spesso gratuita, ma di una altrettanto inimmaginabile efficienza.
Se infatti fino ad oggi abbiamo avuto in Occidente solo i racconti delle minoranze scappate dalle terre del c.d. Califfato autoproclamato da Al Baghdadi, che hanno subito indicibili persecuzioni, o di qualche foreign fighter che cercava di rivendicare le proprie azioni o di apparire egli stesso come una vittima dell’indottrinamento o addirittura della costrizione fisica, nulla sappiamo di quello che è realmente accaduto in città, poiché tutti i civili che rimasero hanno paura delle ritorsioni degli uomini di IS ancora presenti nell’area o delle fin troppo frettolose condanne a morte che le autorità irachene stanno comminando per “collaborazionismo” con gli uomini in nero.
In cosa consisteva questa efficienza? Si vedeva in tanti aspetti e settori: dal sistema scolastico, totalmente riformato, a quello giudiziario, basato sulla Shariah e per questo in fondo ritenuto da tutti giusto; dal sistema sanitario, non solo molto efficiente, ma anche totalmente gratuito per tutti, alla manutenzione delle strade.
Questi sono ovviamente solo alcuni esempi, ma si consideri che, come un orologio perfettamente funzionante, ogni aspetto dell’Amministrazione pubblica funzionava alla perfezione fornendo servizi efficienti e gratuiti, e aumentando conseguentemente la qualità della vita per i cittadini, agli occhi dei quali fecero inizialmente di tutto per essere accettati.
Rovescio della medaglia erano però le regole ferree che iniziarono a regolare ogni aspetto della vita, fino a soffocarla, e rendendo per alcune categorie di cittadini la vita quasi insopportabile. Ma tutto ciò avvenne molto gradualmente, tanto che per mesi nessuno immaginò i livelli di brutalità cui si sarebbe arrivati, mentre la maggior parte delle persone ha dichiarato di non aver mai compreso i livelli di persecuzione cui vennero sottoposte alcune minoranze, in realtà poco presenti in città.
Com’era la vita quotidiana sotto il Califfato?
Fino a quando la realtà bellica non rese la città invivibile, la vita quotidiana è stata quella di una qualsiasi città mediorientale, salvo per la graduale imposizione di un enorme numero di regole e, soprattutto, di divieti.
Non vi era settore della vita nel quale gli uomini di IS, nella loro interpretazione della Shariah, non classificavano tutto in modo dicotomico come lecito o proibito (haram). Era ad esempio proibito fumare, bere alcolici, ma anche vendere o acquistare beni definiti haram, fossero cibi, vestiti o oggetti. Alle donne era consentito uscire, guidare la macchina, studiare e lavorare, ma era vietato mostrare in pubblico anche un solo centimetro del proprio corpo, così come non potevano stare in un luogo chiuso (stanza o macchina che fosse) con uomini che non fossero della propria famiglia.
Malgrado ciò, la vita continuò in ogni suo aspetto, ma venne pian piano resa sempre più difficile, mentre veniva distrutta dall’alto dai bombardamenti e dal basso dalla più cieca interpretazione iconoclasta, che fece distruggere beni e monumenti millenari (mentre sottobanco molti vennero anche venduti).
In che modo il loro racconto ci aiuta a comprendere l’Islamic State, le sue idee e i motivi che hanno spinto migliaia di giovani a unirsi ad esso nella costruzione del Califfato?
Il loro racconto ci aiuta perché parlando con i cittadini di Mosul ho compreso il loro malessere per ciò che da un secolo avvertono come imposizione occidentale, dalla nascita degli Stati sovrani alla definizione dei loro confini dopo la Prima Guerra Mondiale, fino agli usi e costumi che non sentono come propri, compresi quelli che per noi sono valori fondamentali, quali la democrazia, che diviene una parola vuota di significato se da anni i più basilari servizi (compresi acqua e corrente elettrica) non vengono garantiti con regolarità. In tal senso il Califfato spazzò via il concetto occidentale di Stato e tutto ciò che è stato introdotto dall’Occidente, e buttò fisicamente già quella “linea nel deserto” che per un secolo aveva diviso Siria e Iraq, disegnata senza tener conto di divisioni etniche o religiose.
A tutto ciò si aggiungano anche la voglia di rivalsa e supremazia sugli sciiti e alcune delle altre minoranze presenti nell’Area, profondamente sentite nella sunnita Mosul, ed ecco che il sogno del Califfato si materializza.
Migliaia di giovani, partiti da ogni continente, si sono uniti agli uomini di Al Baghdadi per realizzare un sogno, inseguire un’utopia, costruire il Califfato e poter vivere secondo le regole della vera Legge, quella divina, uguale da secoli e pertanto non soggetta agli interessi di alcun governante, gruppo di interesse, o partito politico.
Che cos’è veramente l’Islamic State? E cosa vogliono i suoi uomini?
L’Islamic State è un gruppo terrorista che, nato come formazione locale, con Al Baghdadi si era svincolato da Al Qaeda arrogandosi il diritto di rappresentare i musulmani sunniti di tutto il mondo, e aveva tentato di materializzare con la forza il fine ultimo di ogni gruppo jihadista, la costituzione di un Califfato che privo di confini territoriali mirava ad espandersi ovunque vi fossero fedeli musulmani, sunniti ovviamente.
L’Islamic State è stato un gruppo jihadista brutale e privo di pazienza, che ha cercato di realizzare nell’immediato l’obiettivo che il gruppo fondato da bin Laden mira a realizzare in un futuro non meglio precisato. Potremmo quindi anche dire, usando i nostri canoni, che l’Islamic State ha voluto farsi Stato, ma non sarebbe in realtà corretto perché tra le sue caratteristiche vi è ovviamente il rifiuto del nostro concetto westfaliano di Stato.
Nonostante la perdita del controllo territoriale e l’uccisione di Al Baghdadi, le idee dell’Islamic State non sono morte.
Esattamente! E le sue idee non sono morte perché sono proprie del più ampio fenomeno del jihadismo e si basano, in parte, sul malessere di milioni di persone, che fortunatamente non condividono con il gruppo fondato da Al Baghdadi né le idee più radicali, né la metodologia.
Ma anche dopo la sconfitta territoriale e l’uccisione del suo leader l’Islamic State è vivo, perché vive sono le sue idee.
A testimonianza di ciò, migliaia sono ancora i suoi uomini attivi sia nel teatro siro-iracheno che in altre zone di crisi, ove perso il controllo territoriale il gruppo è tornato ad operare come gruppo insorgente.
Inoltre, ragazzi che si rifanno all’Islamic State sono ancora presenti anche in Occidente, ove continuano e continueranno per anni a compiere azioni di quello che definiamo terrorismo “fai da te”, ovvero attentati compiuti in modo più o meno autonomo nelle città in cui sono spesso nati e cresciuti, ma delle quali non si sentono far parte. Stanno naturalmente aumentando gli attentati compiuti in modo totalmente autonomo, ma non possiamo escludere che grazie alla potente macchina della propaganda jihadista online l’Islamic State riesca anche a coordinare qualche attacco più complesso.
In che modo è necessario contrastare il fenomeno del jihadismo?
Dobbiamo difenderci dal terrorismo, ma dobbiamo anche capire i terroristi e chi si radicalizza anche senza passare all’azione, altrimenti non riusciremo a combatterli.
Non li annienteremo tramite sconfitte militari sul campo, che per quanto importanti portano a risultati effimeri, soprattutto nel lungo periodo. Dobbiamo capire cosa vogliono e vincere sulle loro idee attraverso la promozione delle nostre, affiancando alle azioni militari e di polizia anche quelle di contro-narrativa e anti-narrativa, tenendo sempre presente che non esiste una verità assoluta e nessuna cultura può arrogarsi il diritto di considerarsi superiore, né tanto meno di imporsi sulle altre.
Solo così potremo far sì che non ci sia uno stillicidio di attacchi in Occidente e che il germe del fanatismo non attecchisca profondamente in altre realtà come quella africana, e solo così potremo impedire che a Mosul l’Islamic State, o il gruppo che raccoglierà la sua eredità dopo la morte di Al Baghdadi, torni più forte che mai.
Laura Quadarella Sanfelice di Monteforte, giurista, geo-politologo e analista intelligence, è professore di Counter-terrorism e direttore del think tank Mediterranean Insecurity. Laureata in Giurisprudenza e in Relazioni Internazionali, ha un dottorato di ricerca in Diritto Internazionale, insegna in diverse università italiane e lavora al Ministero degli Affari Esteri. Tra i suoi libri ricordiamo: Il nuovo terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità (2006), Terrorismo «fai da te» (2013), Due secoli di stabilizzazione (2015) con Ferdinando Sanfelice di Monteforte e Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo «fai da te» (2017).