
Quali “idee di scrittore” si sono sedimentate nell’immaginario collettivo?
Le “idee di scrittore” sono potenzialmente moltissime ma si possono ridurre a poche tipologie base. Ne ho identificate otto, ovvero il bardo nazionale, il guitto provocatore, il predicatore eretico, il ribelle utopista, l’eremita, il martire, lo scrittore senza biografia, il bestsellerista. Non è un caso che i grandi scrittori inglesi del primo ottocento si siano incasellati confortevolmente in queste categorie. È ovvio, però, che nella realtà dei fatti esistono delle sovrapposizioni. Uno scrittore spesso interpreta vari ruoli, anche se è possibile quasi sempre identificarne uno prevalente sugli altri. Ad esempio, Pasolini è stato simultaneamente un ribelle utopista, un guitto provocatore e un martire. Proust è stato prima un dandy (nel suo caso, una forma addomesticata dei guitti provocatori) poi un eremita. La versione ascetica dell’esteta la troviamo, ad esempio, anche in Rilke, di cui parlo nel libro.
Quale relazione si immagina che esista fra la vita e le opere di un autore?
La letteratura moderna nasce nell’epoca romantica, sul presupposto di una totale compenetrazione fra vita e opere, per cui non era possibile capire fino in fondo le opere ignorando la vita del loro autore, la quale, specularmente, era leggibile solo alla luce delle opere. Come sappiamo, nel novecento sia gli scrittori sia i critici si sono fatti in quattro per ribaltare questa impostazione, argomentando in molteplici modi come la vita e la letteratura siano due mondi diversi e separati. Qualunque fosse il valore di queste teorie, sul pubblico esse hanno avuto pochissima presa. L’approccio biografico non solo non è scomparso, anzi è andato costantemente rafforzandosi con la diffusione dei mass media, fino ad esplodere con i social. Le biografie, degli scrittori, come di qualunque altro personaggio pubblico, sono l’unico genere della saggistica letteraria che vende quanto il romanzo. Sono percepite come una sorta di romanzo, con il vantaggio di essere vite vere e non fittizie. I lettori vogliono sapere tutto il possibile riguardo la vita dei loro beniamini, esattamente come un attore, un cantante, un calciatore famoso non ci si accontenta di vederlo in azione nel suo ambito professionale, ma si vuole sapere tutto di lui o di lei.
Non esiste una presentazione di un romanzo in cui non si chieda all’autore che cosa ci sia di vero, di vissuto nel libro che ha appena pubblicato. La risposta più frequente e prevedibile è che c’è una parte di vissuto biografico e una di finzione. Alcuni autori rifiutano sdegnosamente la domanda enfatizzando che in un romanzo tutto è finzione. Altri invece sottolineano che tutto è verità biografica, che non c’è nulla di davvero inventato. Ogni risposta è una strategia etica, estetica e di marketing.
Ovviamente, nel caso delle presentazioni dei libri di poesia si dà per scontato che i testi siano nati dall’esperienza vissuta dell’autore, un presupposto che ci dice molto sulle diverse aspettative verso i vari generi letterari. Il dilagare dei festival, del resto, deriva anch’esso dall’interesse per l’autore come persona. Si va lì per vedere com’è dal vivo, confrontandolo con l’immagine che ci siamo costruiti dopo avere letto i suoi libri e le sue interviste.
Quale evoluzione ha subito l’ “idea di scrittore” dal 1800 a oggi?
Le idee (al plurale) sono rimaste sempre quelle, non sono apparse figure di scrittore totalmente nuove rispetto a due secoli fa. Tuttavia, alcune hanno esaurito la propria funzione e continuano a esistere soltanto come simulacri, come se vi fosse una sorta di bisogno del pubblico di credere in un certo genere di figure. Altre, invece, sono diventate sempre più diffuse e rilevanti.
Alla prima categoria, quella delle figure che hanno esaurito la propria funzione, almeno nei paesi democratici e con un alto livello di benessere, appartengono il bardo nazionale e il predicatore eretico. I primi sono i portavoce della nazione, tipici dei paesi di recente formazione, i quali cercano sempre qualche figura di artista o scrittore che incarni il senso di identità culturale della comunità. Sono figure tipiche della storia europea dell’ottocento. Nel novecento le troviamo nelle nazioni giovani, come molte ex colonie. Il processo di canonizzazione di questi scrittori, tuttavia, è oggi molto diverso da quello dei loro omologhi ottocenteschi. Un’altra categoria che ha esaurito la propria funzione è quella dei predicatori eretici, cioè i critici che pretendono di possedere una conoscenza assoluta della società, persino a livello globale, e propongono soluzioni totalizzanti per i problemi che la affliggono. La parcellizzazione e la specializzazione del sapere ha reso impossibili queste figure. I tuttologi massmediali che infestano le TV, i social e le librerie sono solo la versione mistificata e cialtronesca degli intellettuali eclettici che si muovevano con agio nei più diversi campi dello scibile. Gli ultimi di loro, figure come Goethe e Coleridge, sono spariti due secoli fa.
Altre figure di scrittore sono invece, come dicevo sopra, più pervasive che mai, basti pensare al guitto provocatore (cioè il tipo dell’artista “trasgressivo” e sballato) o all’eremita (gli scrittori che per farsi notare cercano di non farsi vedere, in un mondo in cui tutti sgomitano per apparire). L’atteggiamento verso questi scrittori è cambiato con il cambiare dell’etica pubblica. Per esempio, in passato verso gli scrittori trasgressivi c’era ammirazione insieme a riprovazione. Oggi, con quello che Fortini ha chiamato il surrealismo di massa, cioè l’ampia diffusione di comportamenti un tempo ritenuti devianti, verso la trasgressione prevale l’atteggiamento di ammirazione. Motivo per cui non ha più senso parlare di trasgressione. Eppure quante volte sentiamo ancora definire un certo scrittore o un cantante come “trasgressivo”, sottintendendo con ciò un complimento etico ed estetico?
Quale peso assume l’immagine di sé con cui l’autore si presenta al pubblico attraverso i mass-media? E in che modo, una volta fissata nel pubblico, l’immagine pubblica dell’autore si riverbera su di lui e ne condiziona strategie di autopromozione e scelte creative?
Più l’autore è famoso, più il peso della sua immagine pubblica si fa sentire. La tentazione è quella di recitare, sovraccaricandola sempre più, la parte che il pubblico mostra di apprezzare maggiormente. Il rischio a cui pochi sfuggono in quei frangenti è quello di diventare gli epigoni di se stessi, di ripetere, trasformandola in cliché, la cifra creativa delle prime prove riuscite. A quel punto non siamo lontani da una logica di brand. Questo è molto evidente nel romanzo di consumo e nei bestseller, ma lo si ritrova spesso anche nella poesia, malgrado il fatto che qui non ci sia il condizionamento delle vendite, limitate anche nei casi di maggior diffusione.
Primo Levi, che di formazione non era un letterato, quando raggiunse la fama presso il grande pubblico nazionale e poi internazionale espresse più volte disagio verso la figura che man mano gli venne cucita addosso, tanto da affermare: “ma questo non sono io”, suscitando la sorpresa dei lettori che credevano invece di averlo capito come persona oltre che come autore. Si può finire per diventare prigionieri di una figura pubblica che si credeva di avere creato e di controllare. Lord Byron è il primo e paradigmatico caso di uno scrittore a cui il controllo della propria immagine sfuggì di mano. Ne trasse giovamento e, contemporaneamente, ne rimase imprigionato. Non gli restò altro da fare che conviverci e sfruttarla per quanto possibile, anche se alla fine ne era nauseato.
Edoardo Zuccato, professore associato di Letteratura inglese, è autore di Coleridge in Italy (Cork University Press, 1996) e Petrarch in Romantic England (Palgrave Macmillan, 2008). Si è occupato estesamente di traduzione e ha curato diverse edizioni bilingui di opere di poeti anglofoni romantici e contemporanei, fra cui S.T. Coleridge, P.B. Shelley, A. Sexton, C. Tomlinson. Ha pubblicato sei raccolte di poesia, in italiano e in dialetto altomilanese, ultima Tèrman e ricord (Elliot, 2021).