
Sì: è una professione che non contempla la noia, intellettualmente stimolante, costantemente nutrita dal confronto con gli alunni. In più consente di continuare a studiare, leggere, informarsi e, soprattutto, di svolgere un’attività utile alla collettività.
Quali sono le principali difficoltà che affronta quotidianamente un insegnante?
Quello dell’insegnante è un ruolo di enorme responsabilità sociale e civile e, pertanto, è necessaria massima attenzione nelle dinamiche in classe con gli studenti.
È un compito molto delicato perché i docenti intervengono nella crescita umana e culturale dei ragazzi. Ogni professore è chiamato a svolgerlo al meglio, spesso, però in condizioni di difficoltà oggettiva come, ad esempio, quella delle classi molto numerose in cui è sempre più difficile fare lezione.
La precarietà rimane uno dei problemi principali nella carriera di un docente: come si supera?
La precarietà è una piaga che attanaglia oggi molti campi del mondo del lavoro e colpisce in pieno la mia generazione. Per i docenti l’unico modo per uscirne è superare i concorsi a cattedra.
Cosa rappresenta per ogni insegnante il concorso per l’accesso al ruolo?
Per i professori rappresenta la fine dell’incertezza e possibilità di essere stabilizzati dal punto di vista lavorativo, economico e anche psicologico senza dovere cambiare, di anno in anno, scuola, alunni, colleghi, città…
Lei ha dedicato la Sua vita all’insegnamento: come recita il Suo sito, «insegna storia dell’arte nei licei, scrittura creativa nelle carceri» e legge i classici della letteratura nelle scuole. Cosa significa per Lei «insegnare»?
Per me è un’attività profondamente creativa, direi quasi artistica e performativa, basata sullo scambio e sull’arricchimento reciproco tra docente e discente. Anche chi insegna, infatti, ogni volta impara.
Gli studenti ti sfiancano fisicamente, ti fanno perdere la voce e a volte anche le staffe, ma ti danno anche grandi soddisfazioni. E poi come sanno volerti bene loro (quando ti vogliono bene) poche persone al mondo.
Quali riforme servirebbero, a Suo avviso, per rendere meno ardimentosa la scelta di insegnare?
Più che riforme specifiche, servirebbe una maggiore stabilità politica poiché il succedersi a gran velocità di differenti governi ha portato al susseguirsi di leggi, e poi modifiche alle leggi stesse, e nuove leggi ancora che hanno aggrovigliato alcune aree del mondo dell’istruzione come, ad esempio, la parte riguardante il reclutamento degli insegnati.
Infatti, ardimentosa per me non è tanto la vita del docente in sé (che, comunque, richiede sempre molta audacia), quanto piuttosto la strada necessaria in Italia per diventare insegnanti. A me, ad esempio, quest’anno tocca affrontare il terzo concorso a cattedra dopo averne superati già due! Tuttavia non demordo poiché ormai sono temprata nello spirito e allenata alle prove del percorso a ostacoli per accedere al ruolo.