
Le vicende dell’arte in Italia dal dopoguerra risentono del clima di guerra fredda di quegli anni, della divisione in blocco occidentale e orientale, interpretata in chiave nazionale dal Partito Comunista da un lato e dalla Democrazia Cristiana e dai partiti di centro dall’altro. La maggior parte degli artisti, pur vicini al PCI, non accettarono le imposizioni di partito per un arte che interpretasse in modo realistico la società, anzi si rivolsero alle nuove ricerche che in Europa e negli Stati Uniti portavano all’informale che diventò un international style. Al di là dei grandi movimenti artistici del Novecento come la Metafisica e il Futurismo, l’arte italiana non occupa un posto di primo piano sulla scena internazionale. Ciò è dovuto in parte al ruolo di egemonia culturale che altri Stati esercitano, primi in assoluto gli Stati Uniti, in parte alla debolezza delle istituzioni italiane dedicate all’arte contemporanea. Di fatto in Italia non esistono istituzioni che si occupino esclusivamente del contemporaneo. Vi sono le Gallerie d’Arte Civiche e Nazionali ed una solo vera istituzione a carattere internazionale: La Biennale di Venezia. Si devono attendere gli anni Ottanta per vedere la nascita dei primi musei pubblico-privati e assistere ad un concreto interesse da parte delle istituzioni territoriali e da parte dello Stato.
Quali sono gli artisti e i movimenti più rappresentativi del periodo da Lei esaminato?
Se si dovesse usare il parametro del riconoscimento internazionale ben pochi sono gli artisti italiani che emergono tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. E pochi di più anche nei decenni successivi.
Solo tardi all’estero si prese atto dell’importanza di artisti come Morandi, Burri, Fontana, Melotti e altri che precedettero o indicarono la strada dei futuri sviluppi dell’arte. Nella mostra germinale When Attitudes Become Form, curata da Harald Szemann, dove compare la nuova arte della seconda metà del Novecento, gli artisti italiani testimoniano di come la ricerca artistica nazionale sia allineata se non superiore alle ricerche artistiche degli altri paesi. Piero Gilardi aveva creato collegamenti con gli artisti che in Europa e negli Stati Uniti lavoravano su una nuova sensibilità concettuale. Pistoletto creava un collegamento con Sonnabend a Parigi e con Sperone a Torino.
Germano Celant intuisce le potenzialità insite nelle poetiche arruolando alcuni di essi nel movimento dell’Arte povera che sarà presente a livello internazionale nelle più importanti rassegne sia come gruppo sia come singoli artisti. L’altro movimento che si afferma a livello internazionale è, negli anni Ottanta, la Transavanguardia. Achille Bonito Oliva sull’onda del postmoderno di quegli anni, ne individua come interpreti nelle arti visive Chia, Cucchi, Clemente, De Maria, Paladino, alcuni dei quali peraltro già affermati Oltreoceano. Certo, vi sono anche altri artisti che non hanno nulla da invidiare gli artisti stranieri ma, in una società dominata dalle logiche di marketing, non avendo un supporto di sistema, stentano ad emergere o vengono scoperti con un clamoroso ritardo. È stato così per Fontana e poi per Manzoni, Boetti, Pascali, Mauri. La situazione cambia negli anni Novanta quando incominciano a aprirsi istituzioni pubblico-private dedicate al contemporaneo. Il Castello di Rivoli ne era stato l’antesignano seguiranno Prato e Rovereto e poi da una serie di fondazioni private. Anche lo Stato incomincia a occuparsi del contemporaneo con interventi più strutturati che porteranno tra l’altro all’apertura del MAXXI a Roma. Nel frattempo le gallerie private che in Italia sono sempre state la spina dorsale del sistema si rafforzano passando da una conduzione essenzialmente familiare a una imprenditoriale. Alcune poi punteranno decisamente all’estero divenendo dei punti di riferimento per il mercato internazionale. In conclusione il sistema dell’arte contemporanea italiano si sviluppa e ciò consente di tentare politiche di sostegno per gli artisti italiani in Italia ma soprattutto all’estero.
Il mio libro tratta dell’arte in Italia sino agli inizi degli anni Duemila. Sono gli anni della società della comunicazione, delle prime avvisaglie di quello che diverrà il consumismo spettacolare. Caratteristica specifica di una società che si sviluppa grazie alle nuove tecnologie della comunicazione di massa. Elementi di spettacolarizzazione influiscono sui processi culturali e quindi sulla produzione artistica, oltre a entrare nelle pratiche quotidiane. Vanessa Beecroft, Francesco Vezzoli e Maurizio Cattelan sono gli artisti che meglio interpretano questo passaggio utilizzando linguaggi espressivi diversi tra loro, non a caso ben presto sono riconosciuti a livello internazionale.
Qual è il panorama contemporaneo dell’arte in Italia?
Il panorama dell’arte in Italia è molto variegato. Ancora si guarda ai due grandi movimenti artistici dell’Arte povera e della Transavanguardia. Forse con una maggior attenzione al primo, soprattutto da parte delle ultime generazioni. Nell’ambito delle tendenze internazionali in Italia, anche per i riferimenti storici a questi due movimenti, la ricerca artistica da un lato si è aperta a un nuovo uso della raffigurazione mentre dall’altro ha ripreso, attualizzandoli, alcuni elementi fondativi dell’Arte povera e più in generale del concettuale. Altri interpretano la società massmediale utilizzando in senso critico i suoi stessi paradigmi e stilemi. Insomma è un panorama molto variegato e inserito nelle tendenze internazionali. Bisogna ricordarsi però che con l’affermarsi delle nuove tecnologie e di Internet il tradizionale sistema dell’arte non è più l’esclusivo detentore delle pratiche di affermazione. Accanto alla classica filiera che attraverso il gallerista, il collezionista, il critico porta al museo e attesta il valore dell’opera storicizzandola, si affermano le pratiche finanziarie. Non è più il museo che attesta il valore dell’opera ma la stratosferica battitura d’asta. Si affinano le procedure di marketing che, utilizzate già negli anni Ottanta, ora si avvalgono di modalità molto simile a quelle dell’alta finanza globalizzata. Ovviamente con gli stessi rischi che questa ha dimostrato. L’opera, prevalendo l’aspetto economico, è sempre meno un bene simbolico per diventare sempre più uno status symbol.
Anche il nostro paese, anche se lentamente, si sta allineando su queste procedure. Vi è però un altro aspetto da non sottovalutare, che sembra costituire il contraltare delle dinamiche di globalizzazione precedentemente descritte. Molti artisti, soprattutto i più giovani, utilizzando le dinamiche della globalizzazione come la facilità di comunicazione, di spostarsi, di conoscere direttamente nuove realtà, si dedicano a un’arte che privilegia l’aspetto relazionale. L’arte interviene nella vita, nella realtà. Crea riflessioni, pone interrogativi. Rivendica un ruolo partecipativo nei processi sociali. È un’arte che utilizza indifferentemente diversi media (nel senso di strumenti, nell’accezione di Rosalind Krauss), Il processo creativo è più teso verso la creazione di una relazione tra soggetti e/o contesti che nel primato della forma dell’opera. L’artista diviene interprete dichiarato del nostro tempo. Non più artefice/eroe ma demiurgo. Infine vi è la nuova tendenza che utilizza come linguaggio espressivo i nuovi media e il digitale. Software, computer, reti neurali, consentono sperimentazioni che aprono a un diverso modo di creare e di percepire. Sia per l’artista che per il pubblico. In quest’ultima tendenza gli artisti italiani si muovono con maggior difficoltà, dovuta al generale ritardo della comprensione delle nuove tecnologie nel nostro Paese.
Quale futuro per l’arte in Italia?
Penso che sia ormai superato l’handicap di sistema che poneva gli artisti del nostro Paese in una posizione di partenza più difficile. La maggiore diffusione di istituzioni, sia pubbliche che private, dedicate al contemporaneo, un pubblico che sta passando da un target di nicchia a numeri importanti realizzatesi negli ultimi anni, confermano un maggior interesse verso i fenomeni artistici contemporanei. Rimarrebbe l’ostacolo dell’egemonia culturale di cui l’Italia è soggetta, tuttavia stiamo assistendo sempre più all’affermazione degli effetti della globalizzazione che, fra quelli positivi, annovera la possibilità di una comunicazione e conoscenza globali e quindi il prodursi di una creatività meno egemonizzabile. Gli artisti hanno ora a disposizione la possibilità di usufruire di maggiori conoscenze e confrontarsi con altre esperienze. Tra i più giovani si va diffondendo sempre più il fenomeno delle residenze d’artista che costituisce un modo di svolgere un’esperienza e al tempo stesso di creare relazioni. Per molti artisti lavorare sui processi relazionali è diventato un elemento primario rispetto alla forma dell’opera o comunque ne è diventato parte costituente dell’opera. L’impostazione dell’opera su base relazionale costituisce la possibilità all’artista di entrare nel merito, dal punto di vista di una sensibilità artistica e di un’estetica, delle problematiche sociali, ecologiche, etiche, in sostanza far divenire l’arte elemento interpretativo o di denuncia per un cambiamento sociale. Poi si deve tener conto che, in ogni caso, gli artisti italiani (anche se la definizione di un artista per nazionalità, essendo l’arte internazionale, non ha molto senso) sono influenzati, volenti o nolenti, da quell’imprinting che è dato dalla storia artistica e culturale della nostra terra che comunque si manifesta in qualsiasi espressione artistica. Una sorta di “made in Italy” che comunque segna la creatività del nostro Paese. Pertanto, qualunque modalità espressiva venga praticata, gli artisti italiani hanno quel quid in più che influirà in modo maggiore o minore, per una certa sensibilità, per una certa estetica, dato dalla storia dell’arte del nostro Paese.