“Viaggio nella Commedia. Gli universi di Dante. 25 Marzo 1301″ di Edi Minguzzi

Prof.ssa Edi Minguzzi, Lei è autrice del libro Viaggio nella Commedia. Gli universi di Dante. 25 Marzo 1301, edito da Bolis, un libro assolutamente necessario alla comprensione del poema e della polisemia dantesca.
Viaggio nella Commedia. Gli universi di Dante. 25 Marzo 1301, Edi MinguzziCon quest’opera ho voluto contribuire all’interpretazione della Commedia, un’opera che è stata talora male intesa soprattutto a causa di quelle che a un lettore estraneo alla visione del mondo medievale appaiono come incoerenze insanabili. Già solo in materia di religione il viaggio di Dante, più che all’itinerario sancito dal dogma cristiano, assomiglia al percorso iniziatico stabilito dalla Gnosi o dall’Ermetismo, anche solo per il fatto che Dante “trasumana”, diventa Dio e giunge al piano ultraterreno da vivo e con il corpo. Quanto alla sorte delle anime nell’aldilà, è inevitabile chiedersi perché abbiano accesso al Purgatorio, e quindi alla salvezza eterna, solo certe categorie di peccatori: per quale motivo vengono esclusi gli ignavi, i seduttori, gli adulatori, i falsari, i barattieri, gli ipocriti, questi ritenuti oltretutto più colpevoli degli omicidi? Le idee politiche poi sono inconciliabili con gli obiettivi della Chiesa: la glorificazione dell’impero (così evidente che per il Foscolo Dante è “il ghibellin fuggiasco”) denuncia chiaramente le inclinazioni di Dante nel conflitto tra questo e il papato; e a giustificare tale propensione non basta la sua polemica contro il clero corrotto. La stessa ambiguità si rileva anche su altri piani. Il poeta loda san Tommaso ma intanto riserva un posto d’onore tra gli Spiriti Magni al filosofo che Tommaso confutò, Averroè, di cui mette il discepolo, Sigieri di Brabante, al pari di Tommaso in paradiso; crea una sezione infernale per gli eretici, però incorona fra i beati lo stesso Sigieri, in odore di eresia; dichiara che tutto il suo ingegno gli deriva dall’essere nato sotto la costellazione dei Gemelli, si fa predire da Ser Brunetto che conquisterà la gloria se asseconderà l’influenza di Mercurio, il suo pianeta, organizza la struttura del Paradiso su un impianto astrologico, definisce l’astrologia scienza sovrana, ma caccia all’inferno gli astrologi; condanna i suicidi, ma pone un suicida a guardia del Purgatorio. Quanto al contrappasso, talora il rapporto colpa-pena è sconcertante: perché i Golosi sono ciechi e battuti dalla pioggia, perché gli Avari sono “tutti quanti guerci”, i ladri si trasformano in serpenti, i traditori sono immersi nel ghiaccio, gli alchimisti sono coperti di lebbra? Le discordanze risultano anche più evidenti sul piano strutturale: tra i peccatori del Purgatorio e quelli dell’Inferno esiste, in parte, una simmetria, ma in ordine inverso, e solo dai Lussuriosi agli Iracondi, perché degli Invidiosi e dei Superbi purgatoriali non si trova il corrispondente nell’Inferno. La scansione settenaria accomuna le cornici del Purgatorio ai cieli del Paradiso, ma fra i peccati del Purgatorio e le beatitudini del Paradiso non esistono quasi collegamenti; e nell’Inferno la struttura settenaria non compare più.

Il metodo tradizionale si è dimostrato inadeguato a rintracciare nella Commedia un asse di simmetria capace di comporre le incongruenze e le contraddizioni del poema. Un approccio di più vasto respiro prospettano invece gli strumenti e i metodi della semiologia e della linguistica strutturale e comparativa, che al disotto dei fenomeni all’apparenza eterogenei cerca le strutture comuni, e invece di concentrare l’attenzione su specifici episodi o singoli elementi, mette a raffronto sistemi di relazioni reciproche; e non solo tra loro, ma nell’ambito del sistema storico, sociale e culturale in cui si colloca l’opera, per individuare i criteri con cui fu composta. È questo il metodo di indagine che ho seguito.

Quale significato simbolico e profetico assume il momento di inizio del viaggio oltremondano di Dante nella finzione letteraria?
Dante colloca l’inizio del cammino in un momento cruciale del tempo cosmico, definito in base alle posizioni dei pianeti e delle loro influenze astrologiche: come noto, nel Medioevo l’astrologia coincideva con l’astronomia ed era ritenuta scienza, anzi, secondo Dante, la più nobile di tutte le scienze. In base alla nostra scansione calendariale, il momento dell’inizio della Commedia e del viaggio corrisponde all’alba del 25 marzo 1301, come risulta evidente confrontando con le effemeridi, le tabelle delle posizioni planetarie, le indicazioni astronomiche disseminate nella Commedia. Il Sole e l’Ascendente in Ariete annunciano l’inizio dell’anno astronomico e della primavera, che nella Bibbia e nella liturgia cristiana corrisponde alla Pasqua: nella Bibbia, la liberazione del popolo di Israele dall’Egitto, nella liturgia cristiana la resurrezione di Gesù e la redenzione. È lo stesso momento cosmico che Dio aveva scelto per mettere in moto l’Universo: “Temp’era dal principio del mattino, – e ‘l sol montava su con quelle stelle – ch’eran con lui quando l’amor divino – mosse di prima quelle cose belle” (If I 37-40).

Come vengono scandite, nella Commedia, le tappe fondamentali del cammino oltremondano?
Il viaggio oltremondano dura sette giorni, come il tempo della Creazione. Ecco una breve sintesi:
24 marzo, venerdì: notte nella selva oscura
25 marzo, sabato, all’alba: inizio del viaggio
25 marzo, sabato, al tramonto: inizia il percorso attraverso l’Inferno (24 ore)
26 marzo, domenica, prima dell’alba: ingresso nella Città di Dite
26 marzo, domenica, all’alba: ingresso nella quinta bolgia
26 marzo, domenica, fra l’una e le due pomeridiane: tra la nona e la decima bolgia
26 marzo, domenica, fra le tre e le quattro del pomeriggio: arrivo nel pozzo del Cocito
26 marzo, domenica, la sera; è quasi l’alba nell’emisfero australe: arrivo al Purgatorio
27 marzo, lunedì, prima dell’alba: sulla spiaggia del purgatorio (tre giorni e tre notti)
27 marzo, lunedì, dopo l’alba: Antipurgatorio
27 marzo, lunedì, al tramonto. Termina il percorso dell’Antipurgatorio.
27 marzo, lunedì, nove di sera: arrivo alla Porta del Purgatorio. È quasi l’alba nell’emisfero boreale.
28 marzo, martedì, la mattina: davanti alla Porta del Purgatorio
29 marzo, mercoledì, all’alba: passaggio agli ultimi tre cerchi
29 marzo, mercoledì, al tramonto. Purificazione attraverso il fuoco.
30 marzo, giovedì, prima dell’alba: arrivo al Paradiso Terrestre. Incoronazione di Dante.

Quale anelito alla rinascita universale e al riscatto personale ispirò la stesura della Commedia?
Nel periodo in cui componeva la Commedia, dal 1306 alla morte, Dante, bandito da Firenze, passava esule di città in città, sperimentando “come sa di sale – lo pane altrui”. La cacciata dalla sua città fu l’evento culminante di un’esistenza dolorosa, segnata già a pochi mesi dalla nascita da un attacco di epilessia, un male che causò al poeta disagi per tutta la vita. Ma questa fu solo la prima di una serie di disgrazie. Dante aveva poco più di cinque anni quando morì sua madre, dieci quando morì suo padre, che poi nel frattempo si era risposato mettendolo in balia di una matrigna. Tra i diciotto e i venti anni dovette prendere in moglie Gemma Donati alla quale era stato promesso appena dodicenne, mentre nello stesso periodo andava sposa a un altro, per poi morire di lì a poco, Beatrice Portinari, l’amore della sua vita: una passione che per quanto sublimata nel simbolismo dell’arte avrà avuto pur sempre qualche aggancio con la realtà. Suo conforto era lo studio, ma il piacere della lettura gli fu a lungo negato a causa di un grave disturbo alla vista. Alle sventure personali si assommavano le tensioni create dal conflitto tra papato e impero, sfociate poi nelle lotte fratricide che dilaniarono la sua e le altre città della penisola. Per sua disdetta Dante nel 1300 venne eletto priore di Firenze: e l’incarico fu l’origine della catastrofe che segnò il resto della sua vita. Infatti in quel periodo il papa Bonifacio VIII, per estendere il suo dominio sulla Toscana, aveva dato a Carlo di Valois, fratello del re di Francia, l’incarico di occupare Firenze. La città mandò a Roma tre ambasciatori, tra cui l’Alighieri, a trattare con Bonifacio per evitare il peggio; ma nel frattempo l’esercito francese occupò Firenze e Dante, insieme ai cittadini che si erano opposti alle macchinazioni del papa, fu condannato a morte in contumacia con accuse infamanti. Era il 1302, e da allora cominciarono la miseria, la disgregazione della famiglia e l’esilio. Anche la speranza di un imperatore capace di riportare la legalità sulla terra fu delusa: Arrigo VII, su cui Dante aveva riposto le sue aspettative, moriva nel 1313 a meno di quarant’anni.

Per rendere tollerabile una vita così tormentata, Dante riuscì a convincersi che le sue disgrazie erano un segno della predestinazione celeste. Fu così che la Commedia cominciò a prendere forma come compensazione alle sue pene: nella sua grandiosa costruzione poetica proprio lui, scacciato dagli uomini dalla sua patria terrena, viene chiamato da Dio nella patria celeste; e solo lui giunge in paradiso da vivo e col corpo e di lì può giudicare buoni e cattivi in un tribunale metafisico. Il suo alter ego, protagonista del poema, appare come nuova immagine di Cristo già dal concepimento: “benedetta colei che ‘n te s’incinse”, gli dice Virgilio, riecheggiando la perifrasi evangelica riferita a Cristo: “Beato il ventre che ti ha portato”. Come Gesù anche Dante è incaricato della salvezza dell’umanità: anche lui, “in pro del mondo che mal vive”, “muore” nella selva selvaggia il venerdì Santo, entra da vivo e col corpo negli inferi, resuscita dopo tre giorni nel Purgatorio e sale poi, sempre col corpo, in Paradiso. In realtà il poeta, se possibile, va oltre, e, come si è visto, assimila la creazione della sua opera alla creazione del mondo. Per questo carattere, oltre che per la sublimità del poema, il Boccaccio chiamò la Commedia “divina”; un epiteto che è rimasto come parte del titolo fin dalla prima edizione a stampa.

Quali sistemi di pensiero, quali principi, credenze, valori, costituirono la base della cultura che troviamo riflessa nel viaggio della primavera del 1301?
Al lettore d’oggi il poema appare costellato di presenze enigmatiche, di collegamenti oscuri e di passi che risultano incomprensibili perché si riferiscono a una visione del mondo che non ci appartiene più: come tessere di un mosaico che non si sa dove collocare perché il disegno è ignoto. Per rintracciarlo, è necessario ricostruire l’ambiente culturale in cui l’opera maturò, riallacciandola ai sistemi di pensiero, alle credenze e alle concezioni che definivano i settori del sapere. Qual era il punto attorno a cui ruotava l’interesse nel Medioevo? Oggi il nostro punto di riferimento è la scienza, delegata a risolvere problemi di salute, ambiente, progresso tecnico. Nel Medioevo era la religione. Uno dei problemi principali, come conciliare il dualismo tra mondo e Dio, tra spirito e materia, aveva trovato soluzione nella filosofia neoplatonica, che aveva collegato gli opposti con la dottrina dell’emanazione. Da Dio, l’Unità originaria che contiene il Tutto, si irradia l’universo con un processo articolato in tre gradi successivi: L’Uno – Dio emana l’Intelletto, sua immagine e sede di quelle che per Platone erano le Idee; l’Intelletto a sua volta emana l’Anima del Mondo; e l’Anima, che è il tramite tra la dimensione celeste e quella terrena, riflette le Idee sull’Universo Corporeo, la materia, ultimo grado dell’emanazione. Le tre emanazioni sono l’una il rispecchiamento dell’altra, ognuna secondo la sua natura. Questo è il sistema filosofico che innerva la Commedia, in cui si inquadrano la scienza e la cultura di Dante. Le tre cantiche della Commedia corrispondono alle tre emanazioni: l’Inferno, luogo della materialità, all’Universo Corporeo; il Purgatorio, tramite e stato intermedio la terra e il cielo, all’Anima del Mondo; il Paradiso, scandito dai sette cieli dei sette pianeti, all’Intelletto. Le tre cantiche, come le tre emanazioni, condividono la stessa struttura, più visibile nel Paradiso, il primo e trasparente riflesso dell’Uno, più confusa nell’Inferno, luogo dell’opaca corporeità. In un universo dove il mondo terreno era vista come riflesso del mondo celeste, il rapporto tra i fenomeni non era determinato dalle leggi della logica, ma da quelle della metafora e dell’analogia: le varie discipline avevano il compito di rintracciare la trama invisibile che collegava tra loro le cose della terra a quelle del cielo: scienza era quindi innanzitutto conoscere le leggi che collegavano i moti delle stelle con i fenomeni della natura e gli eventi e i destini umani: pertanto fondamentale fu l’astrologia.

In che modo, nell’ideazione della Commedia, l’itinerario alchemico ispirò la struttura, i simboli, i temi e in generale la legge compositiva dell’“altro viaggio” dantesco?
Il sistema neoplatonico non fornì solo una visione del mondo, ma aprì la via a una prassi operativa che nei secoli costituì la base del pensiero magico. Se tutto è emanato da Dio e ha la sua stessa sostanza, tutto può tornare a Dio, e diventare immortale, se si ripercorrono a ritroso i tre gradini dell’emanazione: Universo Corporeo-Anima, Anima-Intelletto, Intelletto-Dio. L’alchimia e l’ermetismo fornirono le tecniche del ritorno e della divinizzazione: l’ermetismo sul piano umano ebbe come fine la trasmutazione dell’uomo in dio, il trasumanar che sperimentò anche Dante, l’alchimia sul piano metallurgico si propose la trasmutazione del piombo in oro, intesi in senso simbolico. Il processo avviene in tre fasi, Opera al Nero, al Bianco, al Rosso, corrispondenti al superamento di ognuno dei tre livelli dello schema neoplatonico e riconducibili alle tre cantiche della Commedia. All’Opera al Nero, mortificazione della corporeità e dell’individualità, corrisponde l’Inferno (perché, dice Dante, “impossibile la forma de l’oro è venire se la materia, che è lo suo subietto, non è digesta e apparecchiata”, Cv II I 10); all’Opera al Bianco, liberazione dai vincoli dell’identità e purificazione, corrisponde il Purgatorio; la divinizzazione e identificazione con Dio dell’Opera al Rosso corrisponde al “trasumanar” di Dante in Paradiso. Alla luce dell’ermetismo acquista senso la contrapposizione tra il vigore plastico e l’ossessione delle passioni delle figure dell’Inferno, e la coralità, l’evanescenza delle immagini, il distacco e l’oblio di sé del Purgatorio; e trovano adeguata interpretazione gli enigmi come le tre fiere, il Veltro, il Messo, Matelda, i colori nero-bianco-rosso che tingono le tre facce del diavolo e i tre gradini del Purgatorio, e si stemperano nei tre cerchi concentrici dell’ultima visione in Paradiso.

Dante condivideva i principi dell’ermetismo?
Non possiamo sapere se e fino a che punto, ma certo il percorso ermetico, almeno per la finzione letteraria, gli offriva pronti gli strumenti per esprimere l’inesprimibile, la struttura, i simboli, i temi, i rapporti logici, il linguaggio. Di fatto gli aspetti che nella Commedia contrastano con il rituale cristiano concordano tutti con il protocollo ermetico.

Quale struttura assume il cosmo della Commedia?
Le tre cantiche della Commedia corrispondono ai tre livelli dell’emanazione, e ne riflettono la struttura, rappresentata dal sistema dei sette pianeti in cui si diversifica e prende corpo la virtù divina (“Virtù diversa fa diversa lega col prezioso corpo ch’ella avviva”, Pd. II, 139- 140); questi riflettono le loro influenze sui mondi inferiori, secondo la legge enunciata all’inizio del Paradiso: “La gloria di colui che tutto move – per l’universo penetra e risplende -in una parte più e meno altrove”. Ogni forma procede dall’emanazione divina, ma ne è partecipe in modo diverso: nella Commedia, la parte in cui il principio divino “penetra e risplende” di più è il Paradiso, prima emanazione dell’Uno; qui si manifesta nella sua purezza la struttura del cosmo, la quale poi, riflettendosi nei mondi inferiori, si intorbida progressivamente quanto più ci si cala nella materialità, cioè nel Purgatorio e nell’Inferno. Nel Paradiso sono visibili le virtù radianti dei corpi celesti, mentre nell’Inferno se ne ravvisano solo gli effetti, irrigiditi nella fissità delle forme corporee. Le “virtù” che si diffondono dai cieli del Paradiso di Dante sono quelle stabilite dall’astrologia a lui nota. Alla Luna corrisponde la passività, e nella Luna si trovano gli Spiriti che mancarono ai voti per mancanza di volontà; a Mercurio l’aspirazione all’immortalità, e Mercuriali sono gli Spiriti che cercano l’immortalità attraverso l’onore e la fama; a Venere l’amore e l’armonia, e al suo cielo appartengono gli Spiriti Amanti; al Sole l’incremento dell’Io, e Solari sono gli Spiriti Sapienti, che nutrirono lo spirito con il sapere; a Marte l’istinto di sopravvivenza, che si esprime nell’aggressività e nella guerra, e Marziali sono gli Spiriti Militanti; a Giove la giustizia, e suoi sono gli Spiriti Giusti, a Saturno rigore, solitudine e contemplazione, e suoi sono gli Spiriti Contemplanti. Ma la virtù si conforma al piano di realtà in cui si manifesta: così la passività lunare è un valore nel Paradiso, e si traduce in obbedienza e rassegnazione, mentre nell’Inferno diventa ignavia; l’amore ispirato da Venere nel Paradiso diventa Lussuria nell’Inferno e nel Purgatorio, l’amore di sé dei Solari, che in Paradiso si sublima nella fame di sapienza e di spiritualità, nell’Inferno e nel Purgatorio diventa gola, avarizia o prodigalità; l’aggressività di Marte si purifica in Paradiso nella santità delle Crociate, mentre nell’Inferno e nel Purgatorio degrada nella brutalità dell’ira o nell’irrequieta inerzia dell’accidia, e così via. Nell’Inferno le passioni prodotte dalle sette influenze planetarie subiscono la mortificazione (in senso morale, la punizione); le stesse passioni vengono purificate nel Purgatorio; alla fine del processo il protagonista, “puro e disposto a salire le stelle”, inizia nel Paradiso la risalita attraverso i sette cieli, le sette fonti della virtù, fino al congiungimento con il principio originario. Le corrispondenze analogiche relative ai singoli archetipi planetari consentono di dare una risposta agli appelli del poeta a trovare un significato ai “versi strani”: di ridisegnare i contorni e i contenuti del pellegrinaggio dantesco, di spiegare la disposizione delle varie categorie di peccatori, di mettere in luce il senso di contrappassi all’apparenza immotivati, di reinterpretare episodi e figure chiave del poema, come Matelda, o di decifrarne le misteriose trasmutazioni, come quelle della settima bolgia. Con una tradizione millenaria, ormai così sedimentata nella cultura medievale da costituire la chiave interpretativa del reale, l’astrologia forniva a Dante, già pronti, il modello strutturale tripartito e le sette serie di archetipi planetari con le relative catene di analogie, su cui costruire la rete di richiami e di rimandi che innervano la Commedia.

Completa il volume un apparato relativo all’uso proverbiale e comune di espressioni tratte dal capolavoro dantesco: quale vitalità mantiene, all’alba del terzo millennio, la lingua della Commedia?
La lingua che Dante ha creato è ancora la nostra: non solo per la grammatica e la sintassi, che lui ha elaborato, ma anche perché i suoi versi incisivi e potenti sono ancora radicati nel nostro parlare quotidiano, e sono perfino passati in proverbio: e chissà quante volte li abbiamo citati senza sapere che erano suoi. A volte li abbiamo anche storpiati un po’, per adattarli alla nostra quotidianità. Così ancor oggi di un risultato appena accettabile diciamo che è senza infamia e senza lode, una forma più spiccia e attuale del sanza infamia e sanza lodo; e spesso davanti alla maldicenza di persone indegne abbiamo detto non ci curiam di lor ma guarda e passa, storpiando il non ragioniam di lor ma guarda e passa con cui Dante esprime il suo disprezzo per gli ignavi. I versi della Commedia sono applicabili a molte situazioni della vita di ogni giorno. Di certo ci è capitato di dire: Cosa fatta capo ha, ed è dantesco; ancor oggi parlare con coraggio e franchezza è parlare a viso aperto, come Farinata degli Uberti che a viso aperto difese Firenze; un lavoro difficile è come la famigerata lupa: fa tremar le vene e i polsi; di chi sa resistere alle avversità diciamo che è tetragono ai colpi di ventura, come fu Dante; per far capire che bisogna adeguare il comportamento alle circostanze si dice ancora: in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni; se ci viene rinfacciato un beneficio, ritorna in mente il motto Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e certo alcuni prima di entrare nell’aula degli esami di maturità hanno pensato Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate. Per non dire quanto si adatta ancor oggi alle situazioni di malgoverno l’invettiva Ahi serva Italia di dolore ostello – nave sanza nocchiero in gran tempesta – non donna di province ma bordello. E anche il linguaggio dell’amore ha trovato in Dante espressioni indimenticabili: Amor ch’a nullo amato amar perdona; Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende; oppure è l’amore di Dio, l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Edi Minguzzi, formatasi alla scuola glottologica di Vittore Pisani, già docente di greco e di linguistica all’Università degli Studi di Milano, è autrice di opere sulla mitologia e la cultura greca e latina, e sulle intersezioni storico-culturali sottese alla comparazione linguistica, con particolare riguardo agli aspetti testuali, metatestuali e ideologici dell’epoca tardo-antica e medievale. In questo contesto ha dedicato studi monografici, saggi critici e articoli apparsi in Italia e all’estero all’esegesi dantesca e alla tradizione ermetica: Lo schema neoplatonico e la struttura della Divina Commedia, in AA.VV., Octagon, H. Frietsch Verlag, Gaggenau 2016. La struttura occulta della Divina Commedia, Scheiwiller, Milano 2007, L’indicibile vero, AA.V.V., El libro y la carne. Hermenéutica del libro, Edizioni dell’Università di Siviglia, 1998; L’enigma forte, E.C.I.G., Genova, 1988¹ e 1990². Recentemente ha vinto il Premio Brianza 2020 per la saggistica con i tre Dizionarietti (di greco, di latino, dei miti), La Scuola, Brescia, scritti con P. Cesaretti.

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