“Vera religio. Marsilio Ficino e la tradizione ebraica” di Guido Bartolucci

Dott. Guido Bartolucci, Lei è autore del libro Vera religio. Marsilio Ficino e la tradizione ebraica edito da Paideia: qual è stato il ruolo del filosofo fiorentino nella diffusione dell’interesse per la tradizione ebraica?
Vera religio. Marsilio Ficino e la tradizione ebraica, Guido BartolucciPer comprendere il ruolo di Marsilio Ficino nella diffusione dello studio dell’Ebraismo in età moderna, è necessario considerare che l’Umanesimo italiano è stato un periodo cruciale per la ripresa dello studio delle fonti originali greche e latine, e soprattutto per aver generato un rinnovato interesse per l’ebraico in quanto lingua utile a questo processo. Tuttavia, mentre il greco e il latino davano accesso a una tradizione filosofica, storica e giuridica ben più ampia, all’ebraico veniva riservata la funzione di accertare la veridicità della versione latina della Bibbia e per tale ragione venne considerata per un certo periodo di tempo una lingua secondaria nello studio della tradizione classica. Furono alcuni eruditi del tempo come Ambrogio Traversari e soprattutto Giannozzo Manetti a riconoscere alla lingua ebraica e alla sua stessa tradizione un ruolo pari (se non superiore) a quello della cultura classica greco-romana. Tale nuova atteggiamento si definì in questi autori soprattutto grazie alla riscoperta delle opere dei Padri greci della Chiesa, e, in particolare grazie alla traduzione dal greco in latino del trattato di Eusebio di Cesarea la Preparazione evangelica. Questa letteratura patristica, composta tra il III e il IV secolo dopo Cristo, era nata tra le altre cose con la finalità di difendere il cristianesimo sia dai pagani che dagli ebrei. Mentre a questi ultimi bisognava dimostrare che il cristianesimo non era una religione nuova, ma antichissima, invece ai primi, che essa poteva competere con la complessità della loro filosofia. Viene così elaborato uno schema della storia della sapienza umana distinto in due fasi: un tempo in cui solo la tradizione ebraica aveva custodito l’originale messaggio divino, (che altro non era se non l’insieme dei principali dogmi cristiani) e in cui i principali filosofi greci avevano appreso tale conoscenza. E un tempo in cui gli ebrei avevano corrotto questa eredità, dopo essersi abbandonati all’interpretazione letterale della legge ricevuta da Mosè. Il cristianesimo non solo diventa il legittimo continuatore dell’antica sapienza ebraica, dimostrando la propria antichità come religione, ma di essere anche all’origine del pensiero pagano e in particolare della filosofia di Platone.

L’antichità e, soprattutto, la primogenitura della tradizione ebraica permettevano di riconoscere le sue fonti attraverso il lessico della cultura classica, legittimando il suo studio: attraverso la sua conoscenza era possibile avere accesso alle origini non solo della religione cristiana, ma anche dell’intera sapienza umana. Questa interpretazione, però, permetteva agli umanisti di mantenere la consueta distanza e diffidenza nei confronti degli ebrei moderni, perché non erano più custodi unici di tale tradizione. L’immagine dell’ebraismo nel XV secolo, dunque, cambia radicalmente agli occhi della cultura cristiana.

Ficino arriva alla fine di questo processo, accoglie il nuovo atteggiamento nei confronti della tradizione ebraica e lo trasforma in uno strumento utile alla sua politica culturale, servendosene per legittimare la sua idea di cristianesimo e il legame di quest’ultimo con la filosofia platonica.

In che modo il filosofo fiorentino scoprì l’ebraismo?
L’idea che emerge chiaramente dai suoi scritti, e che è possibile seguire cronologicamente passo dopo passo, è che Marsilio Ficino si dedicò alla ricerca delle fonti dell’ebraismo nello stesso modo in cui era avvenuto il suo studio della filosofia platonica. Prima di imparare il greco, il giovane Marsilio, aveva studiato i principi della filosofia di Platone su testi latini, come per esempio Cicerone, Agostino, o alcuni Padri della Chiesa, raccogliendo in un’opera, purtroppo andata perduta, i risultati della sua ricerca. Sulla base di questi primi tentativi, imparando il greco e leggendo direttamente i testi, Ficino sviluppò la sua riscoperta delle opere di Platone. Lo stesso procedimento avvenne per quanto riguarda la tradizione ebraica. Il filosofo platonico ‘scoprì’ l’ebraismo sia nelle opere dei Padri greci della Chiesa e in particolare nella Preparazione evangelica di Eusebio di Cesarea e sia nei trattati controversistici anti-ebraici scritti in Spagna a partire dal XIII secolo, che trovarono il loro apogeo nell’opera del convertito ebreo Paolo di Santa Maria. Quest’ultima tradizione conteneva anch’essa al suo interno uno schema simile a quello che abbiamo visto più sopra, cioè riconosceva nella tradizione antica ebraica il luogo in cui ritrovare la conferma dei principali dogmi della religione cristiana. Ficino fonde insieme queste due fonti e, come anche altri autori di questo periodo, riconosce l’utilità di questa nuova visione della storia della sapienza umana legata all’antica tradizione ebraica: essa gli permetteva di combinare insieme il cristianesimo e il suo interesse per la filosofia platonica. Diventa dunque importante per la sua prospettiva recuperare le fonti di quella sapienza. Nella sua opera, sia quella edita, sia quella ancora rimasta manoscritta, troviamo numerose tracce di questa ricerca, testimonianze del contatto con alcuni concetti inediti nel quadro della cultura cristiana dell’epoca e della conoscenza di testi ebraici di prima mano. Basti solo pensare che nel 1479 Ficino è il primo in Italia a usare la parola ‘cabalisti’, concetto che troverà una sua diffusione solo molti anni dopo nelle opere di altri autori. Bisogna tuttavia chiedersi in che modo Ficino ebbe accesso a queste informazioni: dal momento che non fu attraverso l’ebraico che rimase una lingua a lui ignota, l’attenzione cade su alcuni intellettuali ebrei i quali devono essere considerati il medium del suo incontro con i “nuovi saperi”.

Con quali intellettuali ebrei egli si confrontò?
Nell’Italia e, soprattutto, nella Firenze di quel periodo, numerosissimi intellettuali ebrei intrecciano relazioni di vario genere con i loro colleghi cristiani. Questi uomini, come per esempio Flavio Mitridate, Yohanan Alemanno e Elija Del Medigo sono stati legati indissolubilmente dalla storiografia tradizionale alla figura e all’opera di Giovanni Pico della Mirandola. In realtà, soprattutto i primi due, hanno rivestito un ruolo decisivo nell’introdurre Marsilio Ficino alla conoscenza dell’ebraismo, anni prima che incontrassero il Conte mirandolano. Il primo, Flavio Mitridate, nato in Sicilia (Caltabellotta) con il nome di Shemuel ben Nissim Abu l-Farag attorno al 1450 e poi convertitosi con il nome di Guglielmo Raimondo Moncada, fu un personaggio chiave per lo sviluppo dell’interesse cristiano per la tradizione ebraica grazia alle sue conoscenze linguistiche. Egli fu sicuramente il primo che introdusse Ficino a una nuova idea di ebraismo, o meglio, aiutò il filosofo a riconoscere la tradizione mistica ebraica e in particolare la cabalà in quella tradizione antica descritta da Eusebio e dalla trattatistica antigiudaica spagnola. Mitridate, infatti, suggerisce a Ficino di usare l’espressione “Vetus Talmud”, (Antico Talmud) per indicare questa tradizione antica e più precisamente lo strato esoterico della tradizione ebraica che raccoglie i segreti della vera religione, che nell’opera di Giovanni Pico della Mirandola verrà espresso attraverso il termine cabalà. Yohanan Alemanno, invece, giocò un ruolo diverso, più ampio e articolato. Egli aveva interessi comuni con Ficino, e, in particolare, riconosceva nella filosofia platonica uno strumento utile per rinnovare la religione ebraica. È probabile che sia stato proprio l’intellettuale ebreo a svelare a Ficino alcune fonti cabalistiche con le quali il filosofo arricchì le sue opere, come per esempio le tecniche cabalistiche per attirare influssi celesti attraverso la combinazione delle lettere, o la complessa trattazione della teoria del gilgul, cioè della trasmigrazione delle anime da un corpo a un altro.

In che modo l’interesse per la tradizione ebraica di Marsilio Ficino si lega strettamente alla sua idea di rinnovamento religioso?
L’opera che più di ogni altra conserva la riflessione di Ficino sulla religione è il De Christiana religione, pubblicato prima in volgare nel 1474 e poi in latino nel 1476. Questo lavoro è costruito proprio sullo schema ripreso da Eusebio di Cesarea e su un ricchissimo apparato di testi antigiudaici spagnoli che contribuiscono a presentare la tradizione ebraica come distinta in due parti, una pura e legittima, l’altra corrotta e ingannatrice (proprio in una versione successiva di quest’opera compare il concetto di “Vetus Talmud” suggerito da Flavio Mitridate). Il riconoscimento di una religione pura e antichissima, riconoscibile nell’antica storia ebraica, serve al Ficino per presentare al suo uditorio, fatto non solo di filosofi e teologi, ma anche, e forse soprattutto, di mercanti, (la prima edizione, infatti, è in volgare), un’idea di Cristianesimo estremamente semplificata che ricalca l’antica religione ebraica, e in cui il ruolo della Chiesa, dei sacramenti e della gerarchia ecclesiastica occupa un ruolo di secondo piano. In altri termini Ficino usa la tradizione ebraica, e la sua antichità, per legittimare, nel suo tempo, un’idea di cristianesimo critico nei confronti della religione tradizionale e che potesse nel futuro essere al servizio di un rinnovamento culturale, politico e anche religioso promosso dalla famiglia Medici e dal filosofo stesso.

Quale influenza esercitò l’opera e la riflessione di Marsilio Ficino?
Il nome e la fortuna di Marsilio Ficino sono indissolubilmente legati alla diffusione in tutta Europa della traduzione e commento delle opere di Platone e di Plotino. Rispetto ad altri autori che dedicarono la loro opera allo studio della tradizione ebraica, come per esempio Giovanni Pico della Mirandola, Johannes Reichlin e Francesco Zorzi, lo sforzo ficiniano non influenzò in modo evidente l’interesse cristiano per la tradizione ebraica. Se però si analizzano con attenzione le opere di questi e di altri ebraisti cristiani, si possono riconoscere con facilità le tracce degli strumenti che Ficino usò per legittimare il suo interesse per l’Ebraismo e in particolare la possibilità di combinare insieme l’esaltazione dell’antica tradizione ebraica e la condanna dei moderni ebrei. Nel 1290 gli ebrei vennero espulsi dall’Inghilterra, nel 1394 dalla Francia, nel 1492 dalla Spagna nel 1569 dallo stato della Chiesa, nel 1516 nasce il primo ghetto a Venezia, nel 1553 la Chiesa di Roma ordinò il rogo del Talmud: nonostante ciò a partire dalla seconda metà del XV secolo l’interesse cristiano per la tradizione ebraica si moltiplicò, diventando insieme alla cultura classica greco-latina uno dei perni attorno a cui si costruì la cultura europea. Le ragioni che condussero a ciò sono diverse: ci fu sicuramente la spinta della ricerca filologica delle fonti originarie promossa dall’Umanesimo e, dopo il 1517, dalla Riforma protestante.

In questo contesto, però, si inserisce anche l’approccio ficiniano, grazie al quale l’ebraismo acquista un ruolo non solo teologico, ma anche filosofico e si potrebbe quasi dire culturale. Numerosi autori dei secoli successivi impiegheranno la tradizione ebraica proprio in questo modo: come Ficino aveva usato l’ebraismo e, in particolare, la Cabalà, per legittimare una sua precisa idea di cristianesimo e il rapporto di quest’ultimo con la filosofia platonica, così altri autori, in campi diversi, dalla filosofia alla storia, dalla scienza alla politica, usarono la trasmissione del sapere dalla cultura ebraica alle tradizioni pagane per legittimare le loro idee. In questo contesto, cioè nel processo di costruzione dell’immagine dell’ebraismo che progressivamente si fa strada all’interno della repubblica delle lettere, il Ficino e la sua riflessione sulle origini della sapienza umana giocarono sicuramente un ruolo determinante.

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