
In che modo le nostre emozioni influiscono sulle scelte che facciamo online, ad esempio nell’e-commerce?
Le emozioni sono uno dei temi cardine della User Experience. Quello dell’eCommerce è un bell’esempio, perché ci consente anche di considerare la complessità del concetto stesso di esperienza, oltre che del ruolo delle emozioni in essa. Se mantenessimo un approccio di marketing “all’antica”, potremmo pensare che il nostro obiettivo sia solo quello di promuovere un gesto d’acquisto; quindi, opereremmo sulla piattaforma online di modo da generare emozioni positive nel momento della navigazione. In realtà, l’esperienza dell’utente non si esaurisce in quella singola interazione. C’è un prima, c’è un durante e c’è un dopo; davanti allo schermo c’è una persona con i suoi obiettivi personali, le sue caratteristiche irriducibili e anche le sue emozioni, quelle del momento e quelle che perdurano nel tempo. Se abbiamo quindi un sito di eCommerce, prima di tutto dobbiamo chiederci quale sia il nostro obiettivo: vogliamo semplicemente che l’utente compri? Magari, potremmo spingerci a desiderare qualcosa di più: che l’utente si iscriva al nostro servizio e si appassioni; che ne parli ai suoi amici; che diventi un membro attivo di una comunità online e si lasci coinvolgere dalla piattaforma sul lungo periodo. Tali processi, oltre che ad altri fattori, si legano senz’altro alle emozioni, ma alle emozioni non come sensazioni fugaci, bensì come vissuti durevoli e complessi che vengono rielaborati dall’utente, il quale si costruisce infine una rappresentazione cosciente del perché la risorsa di eCommerce in questione sia piacevole, coinvolgente, importante per lui. Già secondo la Hedonomics, un approccio che tra gli altri può essere considerato un precursore della User Experience moderna, i prodotti e i servizi sono realmente efficaci quando, assicurato il livello soddisfacente di proprietà basilari di utilizzo (come la sicurezza e la facilità d’uso), sono in grado di rispondere a necessità più profonde delle persone, per esempio offrendo opportunità di personalizzazione, aggregazione sociale ed espressione di se stessi.
Quanto siamo manipolabili di fronte a uno schermo?
È una domanda curiosa, che probabilmente riflette lo sguardo a volte sospettoso che tutti noi abbiamo nei confronti dei grandi “poteri” delle Nuove Tecnologie. Istintivamente, risponderei che siamo manipolabili di fronte a uno schermo quanto siamo manipolabili di fronte a qualunque altra cosa. Di certo, il comportamento umano è influenzabile dall’esterno, in quel processo dalle mille sfaccettature che si chiama persuasione, che già altri autori hanno associato alle opportunità offerte dalle tecnologie (si vedano gli studi di B.J. Fogg sul concetto di “captologia”). Tuttavia, lo scopo della User Experience non è quello di “manipolare”, o almeno direi che questo obiettivo non è consigliabile per chi lavora in questo campo. Per esempio, esistono alcuni approcci, provenienti dagli studi di Marketing, che insegnano a promuovere il gesto d’acquisto tramite il profondo coinvolgimento del cliente/utente presso il punto vendita. Il cliente in questione entra nel negozio con la vaga intenzione di “dare un’occhiata” e poi, avvolto da suoni e musica, odori, colori brillanti e stimoli sorprendenti, si ritrova a uscire con un acquisto completato. Tali approcci sono stati criticati sia dal punto di vista etico che da quello funzionale; il rischio è che dopo l’acquisto il cliente avverta l’impressione di essersi fatto abbindolare e si penta di aver comprato. Questo avrebbe conseguenze deleterie per quanto riguarda la fidelizzazione al brand e il possibile ritorno del cliente nel negozio. Similmente, quando si parla di esperienza utente non ci si riferisce a interventi volti a manipolare le persone, al contrario l’obiettivo è padroneggiare i metodi per comprendere le intenzioni e le necessità degli utenti, e per garantire agli stessi prodotti e servizi che sappiano rispondere alle loro necessità in modo autentico e continuato nel tempo. In altre parole, se vogliamo garantire una esperienza positiva all’utente, non possiamo farci bastare piccoli stratagemmi volti a “manipolarlo”, soprattutto perché l’esperienza integrale non si esaurisce nel gesto d’acquisto o di utilizzo, al contrario si inserisce nelle attività, nei piani intenzionali e nelle rappresentazioni delle persone che perdurano nel tempo.
In che modo il contesto influisce sulla User Experience?
Il contesto ha un’importanza radicale. Proprio per questo la parte focale del nostro libro è strutturata in capitoli incentrati sugli oggetti di studio e valutazione più importanti per la User Experience, vale a dire l’artefatto, l’utente e, appunto, il contesto. L’importanza dei primi due elementi è maggiormente intuitiva: anche l’ergonomia e l’usabilità tradizionali ci hanno insegnato che, per potenziare le possibilità di successo di un prodotto o servizio, bisogna innanzitutto operare su di esso, tenendo presenti allo stesso tempo le differenze tra gli individui e le caratteristiche specifiche del target. All’interno di questo ragionamento, è facile a volte dimenticare che l’interazione tra utente e artefatto non avviene però “nel vuoto”, al contrario accade in situazioni ben precise, che possono trasfigurare profondamente l’esperienza finale. Per esempio, potremmo realizzare complesse misurazioni e valutazioni ergonomiche per progettare e costruire lo schermo di un dispositivo da posizionarsi in un’area pubblica all’aperto: tra le altre cose, sceglieremmo con attenzione elementi come le sue dimensioni, il materiale di cui è composto, la sua altezza, posizione e inclinazione per garantire un perfetto utilizzo. In tutto questo, è sorprendentemente facile dimenticarsi che a certe ore del giorno il sole batterà sullo schermo in un certo modo, creando dei riflessi che renderanno impercettibile l’interfaccia. Questo è un esempio semplicissimo di come un fattore fisico di contesto può rendere letteralmente inutile un complesso lavoro di design di un’interfaccia, se non viene preso in considerazione fin dall’inizio. Se ne possono fare molti altri: abbiamo creato una complessa interfaccia sonora, ma quali rumori ci saranno nell’ambiente che potranno influenzarne l’efficacia? Abbiamo rivoluzionato creativamente il design di un elettrodomestico rendendolo più grande del solito, ma quanto è largo lo spazio che nella maggior parte delle case può essere dedicato a quel determinato oggetto? E così via. Quelli qui riportati sono esempi di fattori fisici del contesto; in aggiunta a questi, i contesti hanno anche caratteristiche irriducibili dal punto di vista sociale e culturale, per esempio nei termini di quali comportamenti sono permessi o vietati, o di quali ruoli e usanze determinano i confini delle azioni. In questo senso, i fattori contestuali nella User Experience meritano di essere approfonditi tramite metodi e strumenti ad hoc (come ad esempio la Contextual Inquiry), i quali devono senz’altro far parte del bagaglio di ogni valutatore esperto.
Quali sono le nuove frontiere della User Experience?
Ovviamente, è sempre difficile fare affermazioni sul futuro. Nel capitolo finale del nostro libro abbiamo cercato di individuare alcuni trend innovativi che potrebbero trasformare più o meno profondamente da una parte i metodi, e dall’altra gli oggetti di studio della User Experience nei prossimi decenni. Il primo è il ricorso a costrutti psicologici poco considerati, nello specifico il tema dell’intenzione, concetto complesso anche dal punto di vista filosofico, che tuttavia fornisce opportunità del tutto nuove per individuare e valutare problemi di utilizzo che ancora sfuggono agli approcci tradizionali. Le altre “nuove frontiere” ineriscono invece all’evoluzione della tecnologia. Da una parte, l’emergere delle tecnologie di Ambient Intelligence fa presagire che la tecnologia sarà sempre più autonoma e integrata negli oggetti di uso quotidiano, con la possibilità che in un futuro più o meno lontano l’utente avrà sempre meno bisogno di interagire direttamente con le interfacce. In questo contesto, la User Experience avrà a che fare con problemi di privacy, di autorizzazione all’attivazione, oltre che di una profonda comprensione delle intenzioni e delle attività delle persone. Per esempio, nel caso di una “casa intelligente” che risponde a tutti i nostri bisogni senza che dobbiamo fare niente, la valutazione di usabilità perde di importanza; al contrario, diventa fondamentale comprendere i veri bisogni delle persone e integrarli nelle tecnologie autonome, per evitare scenari più o meno fantascientifici in cui gli utenti si sentano “prigionieri” di tecnologie pervasive e onnipresenti che non li aiutano realmente a vivere meglio. Infine, come terzo ambito di interesse, anche la considerazione delle emozioni e dell’esperienza in senso lato dovrà fare i conti con vissuti difficilmente comprensibili sulla base degli strumenti disponibili oggi. Per esempio, il framework emergente del Transformative Experience Design si occupa di studiare le esperienze di cambiamento radicale che le tecnologie immersive stanno diventando capaci di generare nei loro utenti: tra gli altri la Realtà Virtuale, che sta diventando sempre più tecnologia di consumo, può essere usata per promuovere emozioni straordinarie di stupore, meraviglia, elevazione e commozione. Su questa base, è probabile che la User Experience del futuro sarà tenuta a sviluppare tecniche del tutto nuove per analizzare e gestire situazioni in cui l’utilizzo di prodotti sarà in grado di cambiare la vita delle persone, possibilmente anche a livello spirituale ed esistenziale.