“Urlando al cielo” di Ilaria Brambilla

Urlando al cielo, Ilaria Brambilla«Erano quasi tre anni che il papà di Anna era morto»: così si apre l’ultimo romanzo di Ilaria Brambilla, Urlando al cielo, con la protagonista che riflette sulla morte di suo padre, portato via dal terribile male del cancro.

La morte è però in quest’opera non solo il punto di partenza della vicenda ma soprattutto il punto da cui ripartire, superare questo trauma per ricominciare a vivere, e non sopravvivere. E Anna non sarà sola in tutto ciò, ma insieme a un’allegra compagnia di amiche, diverse tra loro ma accomunate da un lutto, una perdita che rischia di far perdere anche loro nel dolore, nell’incapacità di ricominciare.

Al cimitero, mentre parla con la tomba del padre, non perché pensi suo papà sia lì fisicamente ma «per sentirlo più vicino», perché «riusciva a parlargli molto meglio davanti alla sua tomba e alla sua foto, dove lui sembrava guardarla e sorriderle con un’espressione complice», Anna incontra una cara amica di vecchia data, una compagna di università, e subito si riconoscono nel dolore. Con Paola, Anna riesce a confidarsi e la ascolta, si raccontano i drammi interiori, di quanto «le lacrime non siano l’unità di misura del dolore», e di come, in ogni caso, Anna abbia ormai «versato talmente tante lacrime che, se la mia anima fosse fatta di laghi e fiumi, sarebbero già esondati tutti».

Così nasce il gruppo del lunedì, con Anna e Paola, a cui si aggiunge subito un’altra compagna dell’università: Giulia. Arriverà poi Manuela, amica di Giulia. Un gruppo per aiutarsi a vicenda nel lutto, per smettere di “fuggire dal loro dolore”, per “guardarlo in faccia e accettarlo”.

Sono le trovate di Anna che tengono unito il gruppo, la ricerca di un suono felice, come il canto delle cicale o dei tuffi in mare, di un “oggetto del cuore”, per ricordare la persona mancata, e, soprattutto, delle urla, liberatorie, sfrenate, al cielo.

La storia prosegue con bottiglie di vetro lasciate al destino nel fiume, nottate passate a cantare a squarciagola in macchina e un’amicizia sempre più profonda, ma ad Anna continua a mancare qualcosa: «Tante volte aveva supplicato papà di venire a trovarla in sogno e di farsi vedere, con la sua solita camicia a quadretti, gli occhiali appesi al collo, la radiolina nel taschino e il giornale in mano». Un sogno che sfugge, una ricerca impossibile da parte della protagonista, che «razionalmente sapeva benissimo che i sogni dipendono da ciò che abbiamo nel nostro inconscio e vengono creati dalla nostra mente, quindi non era papà che si rifiutava di andare a trovarla, era solo colpa del suo cervello».

La vicenda di Anna e delle sue amiche continua, con il ricovero di Giulia e i di lei drammi familiari, la conoscenza del vecchio e arzillo Ulisse, la storia della bottiglia ritrovata da un pescatore e il supporto che Anna riceve non solo dalle amiche ma anche dal marito Carlos e dalla sorella. Fino al sogno finale, fino a quando una cicala, come un bacio, le si posa sulla testa. Proprio una cicala, l’animale il cui canto Anna ama così tanto.

In un romanzo dolce, che cerca di essere anche riflessione fredda, l’autrice dà sfogo alla sofferenza che resta quando un caro ci lascia e ai tentativi di razionalizzarla, di capire come andare avanti e di provare a scoprire cosa c’è dietro, cosa succede dopo la morte, come farà il gruppo di amiche del lunedì dopo l’esperienza di Giulia. Le donne, accomunate dal «fatto di non riuscire ad accettare la nostra perdita e di vivere nel passato», dovranno “ricominciare a vivere” anche attraverso l’urlo liberatorio che «era diventato un grido di battaglia nella loro lotta contro la tristezza e un vero e proprio inno alla vita, non solo una semplice valvola di sfogo o un momento trasgressivo fine a se stesso», cercando di esprimere il proprio dolore, di accettarlo, come fa Anna con le poesie, che completano questo volume, e provando a capire cosa ci aspetti, dopo la morte.

L’autrice ci fa conoscere una serie di personaggi, ciascuno con i suoi problemi e le sue forze, le amiche di Anna: Paola “la filosofa”, Manuela “la motociclista”, Giulia “la guerriera”, ma anche i familiari di Anna, il vecchio Ulisse, e persino il pescatore che ritrova le bottiglie, che compongono un puzzle di pensieri e sentimenti meravigliosamente intrecciati nella ricerca del superamento del lutto, di una chiusura non impossibile.

Un libro che, come detto dalla stessa autrice, non è adatto «a chi crede solo in ciò che vede […], a chi non ha mai guardato con meraviglia il cielo stellato».

«Ho letto su un libro che, secondo un proverbio eschimese, le stelle sono aperture del cielo dove passa l’amore dei nostri cari defunti, che brilla su di noi per farci sapere che sono felici.»

Gabriele Bertinetto

L’Autrice

Ilaria Brambilla è un’insegnante di Scuola Primaria da 28 anni e si è laureata in Pedagogia all’Università Cattolica di Milano nel 1995, anno in cui ha vinto il concorso magistrale ed è entrata in ruolo. Ha pubblicato nel 2022 due romanzi: uno autobiografico, dal titolo Riflessioni di una cinquantenne e uno sentimentale, intitolato La rosa blu. Da sempre appassionata di scrittura e poesia fin da ragazzina, solo alla soglia dei cinquant’anni ha deciso di pubblicare i suoi scritti e di non tenerli più chiusi in un cassetto, anche perché «se non li legge nessuno, che gusto c’è?» E così eccoci arrivati alla pubblicazione del suo terzo libro, Urlando al cielo, che si pone a metà strada tra i primi due, essendo in parte autobiografico, in parte di fantasia.

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