“Unioni tardoantiche. Documenti conciliari e giuridici per una storia sociale del matrimonio nella tarda antichità” di Gaetano Colantuono

Dott. Gaetano Colantuono, Lei è autore del libro Unioni tardoantiche. Documenti conciliari e giuridici per una storia sociale del matrimonio nella tarda antichità, edito da Aracne: quale ruolo ebbero i concili costantiniani nello sviluppo delle dottrine cristiane e del diritto tardoantico in materia matrimoniale?
Unioni tardoantiche. Documenti conciliari e giuridici per una storia sociale del matrimonio nella tarda antichità, Gaetano ColantuonoLa risposta non è agevole perché investe la questione del ruolo del pensiero patristico e delle norme ecclesiastiche nella storia del matrimonio. È infatti proprio in epoca imperiale e tardoantica che si assiste ad una decisa trasformazione del matrimonio e della parentela nel bacino del Mediterraneo, come evidenziato di recente da Jack Goody e Gérard Delille. Si tratta della questione dell’influenza cristiana sulla legislazione imperiale e nell’evoluzione dei costumi, la quale ha assunto a lungo carattere centrale nella storiografia, almeno a partire dalla prima metà dell’Ottocento sino a certa saggistica attuale.

Sul tema sono state elaborate numerose tesi: oltre settanta anni fa una sua formulazione radicale venne proposta dallo studioso italiano Biondo Biondi con la monumentale opera Il diritto romano cristiano. Pressoché l’intera legislazione tardoantica dai tempi di Costantino – compresa quella copiosa in materia matrimoniale – era interpretata come influenzata dal cristianesimo divenuto religio licita prima e in seguito religione ufficiale dell’impero, al punto di vedere nelle leggi “impostazione e ispirazione” dichiaratamente cristiane con modalità interpretative che, già ad alcuni studiosi contemporanei, apparvero talvolta impressionistiche o meccaniche.

Una formulazione diversa alla questione sarà poi data al principale studioso europeo della storia del matrimonio, il cattolico francese Jean Gaudemet, al quale si dovrà l’elaborazione delle condizioni più stringenti per poter asserire una reale influenza del pensiero cristiano sulle leggi romane (identità delle soluzioni fra dottrina cristiana e norme imperiali, anteriorità della dottrina cristiana, assenza di altra influenza sul diritto romano), tali da restringere notevolmente il novero dei riscontri. All’italiano Giuliano Crifò, cui si deve un notevole impulso per il riesame della legislazione tardoantica nel quadro delle attività dell’Accademia Romanistica Costantiniana, si deve anche una prolungata, serrata critica all’impianto di un diritto romano-cristiano: egli, infatti, ha proposto di rovesciare la tesi di una cristianizzazione del diritto romano in quella di una giuridicizzazione del cristianesimo. Qui si torna appunto ad uno dei mezzi con cui tale giuridicizzazione di una religione è avvenuta, l’istituto del concilio, da intendersi come riunione di rappresentanti autorizzati (vescovi o delegati) di più chiese per scopi sia di esame collegiale di questioni significative e comuni sia di deliberazione su di esse mediante canoni o anatematismi.

È da notare come proprio le tematiche matrimoniali e sessuali abbiano un’ampia attestazione nei concili di quarto secolo, ossia all’indomani delle ultime persecuzioni dioclezianea e nel mentre si verificavano le conversioni di massa di età teodosiana. Piuttosto che pensare ad una generica attitudine moralistica o moralizzante dei vescovi cristiani, occorre ipotizzare che la sfera matrimoniale nelle scritture normative tanto imperiali quanto ecclesiastiche avesse un rilievo particolare su più livelli, come testimonia il tema delle unioni interreligiose, sulle quali mi sono soffermato in altri studi non confluiti in questo volume.

Qual è lo statuto documentario dei canoni conciliari?
L’aver incentrato il proprio lavoro storico-sociale sui canoni conciliari, assieme alla legislazione tardoantica, ha presupposto una riflessione metodologica: i canoni conciliari possono essere fonti per la storia sociale? In che modo? Con quali limiti?

I canoni, per loro natura, sono documenti del prescritto (cosa non fare, quanto è stabilito dalla tradizione, quali sanzioni per i responsabili), non fonti immediate di fenomeni sociali: in quanto tali, ci esprimono il punto di vista di una selezione della classe dirigente autorizzata (vescovi) rispetto ad una porzione, pur crescente, della popolazione romana divenuta cristiana. Inoltre, sono testimonianze che presentano una duplice tendenza tipica delle scritture normative: da un lato, la tipizzazione di realtà concrete, dall’altro, uno spiccato particolarismo. I canoni del concilio orientale di Gangra (metà del IV secolo) che condannano cristiani che disprezzano coloro che sono sposati o che si insuperbiscono per la loro scelta continente sono testimonianze di una lotta politico-ecclesiastica che alcuni vescovi dell’area microasiatica stavano combattendo con il gruppo ascetico radicale dei seguaci di Eustazio di Sebaste. Questa considerazione non permette di estendere simili fenomeni ad altri ambienti dell’orbis christianus antiquus né di assumere questi canoni come testimonianze sicure di pratiche e concezioni di quei gruppi condannati.

Tuttavia, gli stessi canoni conciliari sono espressioni indirette del vissuto: questioni discusse nelle comunità, conflitti e confronti interecclesiali, mediazioni fra principi scritturistici, attitudini pastorali e tradizioni locali, le quali variavano non poco fra le varie aree dell’impero. Si pensi solo alla diversa concezione e ai ruoli della donna fra Cappadocia e Egitto.

In generale, i canoni conciliari intervenivano solo sulle questioni problematiche, ossia espressione di reali o potenziali tensioni interne alle comunità cristiane, o anche espressione di conflitti fra normativa giuridica, fenomeni sociali e dottrina cristiana, come nel caso emblematico della disciplina oscillante – tanto nel diritto romano quanto nelle deliberazioni ecclesiastiche – sul concubinato.

La risposta a queste difficoltà interpretative va affidata ad una lettura integrata dei canoni, in cui convergano differenti competenze disciplinari, nuovi approcci e il riscontro con fonti di natura diversa. Un canone andrà letto innanzitutto nel contesto del concilio di emanazione e nel confronto con altri canoni e con le normative imperiali sul tema. Ciò non è tuttavia sufficiente, perché occorrerà riflettere sugli eventuali principi scritturistici e sul dibattito esegetico, nonché aprirsi al confronto con le cd. scienze umane (antropologia, sociologia, demografia storica) per giungere a formulazioni più complessive dei fenomeni analizzati. Sul piano filologico si è avuta una discreta fioritura di edizioni critiche che ci consentono una più salda base di confronto rispetto alle edizioni erudite anteriori alla fine dell’Ottocento.

Quali alternative al matrimonio giuridicamente legittimo esistevano nella società tardoantica?
Per rispondere a questa domanda occorre prima di tutto fuoriuscire da un equivoco attualizzante: il matrimonium di età imperiale e tardoantica, ossia nei quattro-cinque secoli in cui i cristiani si distinsero da altri gruppi religiosi ebraici e si affermarono come principale religione mediterranea, non può essere equivalente del matrimonio nelle moderne società occidentali, a prescindere che si viva in uno stato concordatario come l’Italia o laicista sul modello francese. Si tratta di un anacronismo. Il discorso diventa ancora più complesso se si parla di familia, termine peraltro polisemantico nella stessa giurisprudenza romana: Ulpiano in età severiana ne indicava quattro accezioni, nessuna delle quali sovrapponibile a quella delle pur articolate realtà familiari attuali.

In età imperiale non è esistita un’univoca realtà matrimoniale e familiare ma una serie di situazioni variegata a livello socio-giuridico. Anche da questo punto di vista, la storia sociale romana si comprende meglio in una prospettiva etnologica, per cui il matrimonium sarebbe una categoria aperta con la coesistenza di unioni primarie e secondarie.

Il matrimonio giuridicamente legittimo o iustum matrimonium era una delle tipologie di unione compresenti nella società mediterranea. Esso riguardava due coniugi dotati di alcuni requisiti sociali e giuridici insieme: oltre all’età pubere, il consenso dei nubendi o di coloro che ne avevano la potestà, vi era il requisito reciproco del conubium riservato a quanti godevano di determinati diritti, primo fra tutti la cittadinanza o l’assenza di divieti sociali. Questi divieti, che ci ricordano da vicino il sistema delle caste di altre culture, subirono modifiche anche notevoli fra l’età giulio-claudia e quella di Giustiniano.

Esistevano, come notato, altre tipologie di unione, in primis il concubinato, in particolare con donne di basso livello sociale o fra ex padroni e liberte: la dottrina cristiana a proposito non riuscì nell’intento di cancellare l’istituto ma si sforzò a livello pastorale di avvicinare il concubinato alle esigenze della morale matrimoniale cristiana, a cominciare dalla monogamia.

Quali opposizioni allo status coniugale sorsero tra i cristiani?
Con l’espressione “opposizioni al matrimonio” ho provato a condensare l’insieme di concezioni e atteggiamenti di critica, giudizio negativo o rifiuto del matrimonio. Parlo della sfera della continenza, della verginità e del celibato/nubilato nel mondo tardoantico. Nella cultura cristiana tali scelte assunsero particolare rilievo. Per quanto non si tratti di una peculiarità, visto che simili posizioni si ritrovano in altri ambienti filosofici e religiosi, alcuni autorevoli leader ecclesiastici diedero un supporto scritturistico al primato assiologico della continenza sul matrimoni: è il caso dell’esegesi di Gerolamo sulla parabola del seminatore. Contro gli eccessi di personalità come Gerolamo nella svalutazione del matrimonio dovette intervenire anche Agostino col primo trattato sul tema, il de bono coniugali, che opportunamente è stato tradotto come “il matrimonio come bene”: un bene minore rispetto alla continenza, certo, ma pur sempre un bene e come tale da accettare e difendere nella chiesa.

L’accusa di sostenere posizioni di netto rifiuto del matrimonio era poi anche uno dei mezzi per l’ereticalizzazione di alcuni gruppi ascetici radicali, come testimoniano i canoni del concilio di Gangra contro i seguaci di Eustazio. Il rifiuto del matrimonio, d’altra parte, poteva associarsi al disprezzo dei cristiani coniugati e costituire motivo di tensioni interne alle comunità.

A loro volta, le posizioni assunte dai vari gruppi cristiani non possono essere disgiunte dalla riforma legislativa delle leggi caducarie in vigore dai tempi di Augusto: sarà Costantino nel 320 a promuovere una loro parziale abrogazione. Al di là della questione di un’improbabile influenza cristiana diretta sulla riforma, essa forniva una tutela legale del celibato e delle scelte continenti sia negli ambienti cristiani sia presso le élite romane.

Come venivano regolate nell’antichità le unioni servili e in che modo intervenne il cristianesimo?
Nel caso di unioni fra schiavi o con un partner di condizione servile il diritto parlava di contubernium: è qui interessante notare come il diritto romano abbia distinto le posizioni fra unioni fra schiavi, o fra libero e schiavi della stessa domus o di un’altra domus. Le normative ecclesiastiche non potevano non tener conto di questo quadro giuridico. È il caso della discussa decisione attribuita al vescovo romano Callisto in età severiana, il quale secondo la tradizione sarebbe stato egli stesso già schiavo, di permettere a matrone convertite al cristianesimo di avere unioni con propri schiavi o con liberi di altra classe sociale: se credibile, questa notizia è davvero interessante perché ci documenta la precoce penetrazione del cristianesimo in milieu nobiliari di Roma ma anche perché tale decisione, lungi dall’essere rivoluzionaria, era del tutto coerente con le soluzioni giuridiche, quali il concubinato o il contubernium intradomestico.

Uno dei più acuti studiosi della schiavitù antica, Paul Veyne, ha parlato di “inferno familiare” degli schiavi: in ogni momento le loro unioni potevano essere divise dai padroni, così come potevano essere divisi madri e figli; inoltre, lo stesso affrancamento poteva creare tensioni e divisioni ulteriori fra coniugi e congiunti. Su tutto la disponibilità dei corpi servili come strumenti di soddisfazione sessuale per i liberi nonché l’accresciuta funzione riproduttiva delle schiave per lo stesso mantenimento della popolazione servile. Su alcuni aspetti interverrà la giurisprudenza romana, in generale tesa ad attenuare tale estrema condizione di fragilità di legami, seguita da alcuni provvedimenti legislativi.

Alcuni influenti vescovi come Ambrogio di Milano e Leone I di Roma si scaglieranno contro le unioni di cristiani con serve, servendosi proprio di principi giuridici e facendosi portavoce di una mentalità da classi proprietarie romane, anziché di una schiettamente evangelica: tali unioni non consentivano una prole legittima con le ricadute ereditarie. Alcuni testi cristiani ci testimoniano la presenza di schiavi domestici specializzati come parrucchieri e forse anche come schiavi di piacere. Emblematico un testo di Basilio di Cesarea che, parlando di schiave già vedove che, dopo esser state rapite, sono state costrette a sposarsi una seconda volta, si limita a non emettere una grave sanzione disciplinare nei loro confronti.

È infine notevole osservare che il principio per cui la natura servile costituisse condizione invalidante di un matrimonio sia stato cancellato nella chiesa cattolica solo con la riforma del Codice canonico del 1983.

Quale diffusione aveva la pratica delle nozze tra cognati e cosa stabilirono i concili in materia?
Fra le proibizioni matrimoniali affermatesi nella società tardoantica emerse quella basata sull’affinità, ossia la parentela acquisita da ciascuno dei coniugi, a seguito di un legame matrimoniale, con i consanguinei dell’altro coniuge. Tale proibizione di affinità non venne circoscritta alla sola linea diretta (suoceri, nuora e genero, figliastri, patrigno e matrigna), ma si estese anche ai cognati, fratelli e sorelle dei coniugi, che costituiscono il primo grado di affinità in linea collaterale, costituendo un’innovazione rispetto ai precedenti dettami della legislazione imperiale ma soprattutto un punto di rottura rispetto ad antiche pratiche sociali (levirato e sororato), diffuse soprattutto presso alcune popolazioni e comunità, come quella giudaica, e in contesti periferici e rurali. È Tertulliano il primo autore cristiano a sostenere che il levirato fosse stato abrogato dalla nuova legge evangelica ed anzi sostituito da un suo divieto.

Il tema tornerà con forza nelle scritture normative sia ecclesiastiche sia imperiali nel corso del IV secolo. Una netta proibizione è formulata nel canone 2 del concilio di Neocesarea (prima età costantiniana) e verrà reiterata in altri testi di natura canonica, in interventi di vescovi come Basilio e Damaso a Roma e poi nei concili di epoca visigotica e franca.

In questo caso, sembra che effettivamente il pensiero cristiano abbia influenzato la legislazione imperiale: le prime attestazioni cristiane, in particolare quella del concilio di Neocesarea, sono anteriori alla prima costituzione trasmessa in materia (Codice Teodosiano 3, 12, 2), che è del 355, emanata dall’imperatore Costanzo. Quest’ultima va ritenuta una svolta nella legislazione romana, poiché la medesima prassi sociale fino a quel momento consentita veniva vietata con sanzioni. La successiva legislazione manterrà questo divieto con una crescente esecrazione dell’unione.

Nonostante questo apparato normativo e la reiterazione di divieti anche ecclesiastici, gli istituti del levirato e del sororato non scomparvero nelle società mediterranee. Fra le ragioni di tale persistenza vi era che essi erano funzionali tanto alla continuità familiare ed etnica quanto alla stabilità della linea ereditaria. In altre parole, la storia tardoantica della sfera matrimoniale non può essere disgiunta da una valutazione dei dati socio-giuridici e economici, pertanto ho proposto nel volume una rinnovata lettura marxista delle tematiche.

Gaetano Colantuono (1977), dopo aver ottenuto il titolo di dottore di ricerca in Civiltà Tardoantica e Altomedievale presso l’Università di Bari, è stato borsista dell’Accademia Nazionale dei Lincei in Storia delle religioni (2012). È docente di lettere negli istituti secondari. I suoi interessi (attività didattica, ricerche e pubblicazioni) spaziano dal mondo antico e tardoantico, con particolare attenzione alle tematiche sociali e religiose e all’analisi dei testi giuridici, conciliari e patristici), alla storia contemporanea, alla storia della storiografia (la figura di mons. Francesco Lanzoni e la nascita della moderna storiografia sul cristianesimo antico) e alle vicende del movimento dei lavoratori nel Mezzogiorno e della Resistenza. Numerose le sue pubblicazioni in riviste specialistiche o atti di convegni. Unioni tardoantiche. Documenti conciliari e giuridici per una storia sociale del matrimonio nella tarda antichità (Roma 2018) costituisce la sua prima monografia da ricercatore autonomo.

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