“Una trama divina. Gesù in controcampo” di Antonio Spadaro

Una trama divina. Gesù in controcampo, Antonio SpadaroUna trama divina. Gesù in controcampo
di Antonio Spadaro
Marsilio

«Il Dio cristiano come ce lo consegnano le Scritture è un Dio che si è fatto carne, e la sua storia è stata scritta nei Vangeli. Se non la si legge, non “esiste” davvero. È una storia di fede. I Vangeli non sono la semplice biografia di Gesù. È la storia di Gesù vista da chi lo ha seguito e ha creduto in lui. Gesù è diventato, dunque, il personaggio di una storia che giunge nelle nostre mani attraverso i secoli. Si tratta di una storia singolare: quella di un uomo che diceva di essere una sola cosa con il Padre, diceva di essere Dio. La sua pretesa è enorme, ma la sua vita è prossima a quella delle persone che incontrava per strada. Perché Gesù è un personaggio che cammina tanto per città e villaggi. Dio è sempre in uscita: i suoi sentieri sono imprevedibili. O era Dio o era un mitomane.

I Vangeli hanno inciso sulla storia del mondo in maniera straordinaria. Sacri imperi e rivoluzioni hanno preso forma a partire dalle loro pagine. Da esse sono scaturite teologie e inquisizioni, vite che hanno dato tutto per amore e poesia appassionata, forse a volte vite sprecate, prese da immagini del Vangelo errate e cattive. E tutto questo da storie che hanno come protagonista Gesù, il Figlio dell’uomo, il Figlio di Dio.

Quante e quali cose può suggerire una vicenda vissuta nell’arco di soli tre anni, tra ricostruzione, storia, fede, fantasia, devozione? Come mettere insieme e narrare le vicende di una storia personale che è allo stesso tempo una storia di portata e significanza universale, tra ortodossie ed eresie?

Una trama divina è solamente un modo di seguire il personaggio Gesù attraverso una lettura corpo a corpo dei Vangeli al ritmo della liturgia domenicale. Una cinquantina di ritratti, per lo più storie. È l’occhio, soprattutto, che qui segue Gesù. Anche l’orecchio, ma soprattutto l’occhio che ricostruisce la scena dell’azione. La tradizione che risale a Ignazio di Loyola vuole che il modo per meditare non sia innanzitutto quello di riflettere sulle parole, ma quello di leggere il brano evangelico, chiudere gli occhi e ricostruire la scena in cui i personaggi agiscono. Chi contempla non è passivo, ma entra nella scena attivamente, interagendo con tutti. Se non si vede, non si entra nel mistero e non si interagisce. Interiorizzare significa interagire. […]

Oggi siamo tutti molto sensibili a queste esperienze interattive e immersive. L’importante, ovviamente, è non opporre radicalmente profondità a interazione, superficialità a interiorizzazione. Dunque, la profondità si coniuga con un’immersione in una vera e propria «realtà virtuale», quella della vicenda biblica resa attuale con l’immaginazione. E si coniuga con un’interazione viva con i personaggi e l’ambiente circostante. Questo sarà il nostro modo di seguire Gesù come personaggio, di entrare nelle trame divine. Il Vangelo è una sceneggiatura (mai hollywoodiana). Il racconto infrange sempre le regole perché contiene le sbavature della vita: gli eccessi e le depressioni, le frustrazioni e i desideri.

E così Una trama divina si inserisce in una serie infinita di ricerche dei volti di Gesù tra letteratura, teologia ed ermeneutica biblica. Si può distinguere innanzitutto una letteratura che si concentra su una certa ricreazione psicologica o collocazione storica più o meno accettata (Strauss, Renan, Mauriac…). Quindi è possibile rintracciare un volto di Gesù inteso non solamente come un maestro di morale ma anche come il redentore (Pascal, Corneille, Lammennais, Bernanos e tanti altri). Esiste anche una esaltazione del volto di Gesù tutto umano, un Gesù non Cristo o in contrapposizione con il Gesù della Chiesa (Voltaire, Hugo, Tolstoj…) o, al contrario, la repulsione per questo stesso Gesù umano (come in alcuni passi di Rimbaud che vede Gesù come l’«eterno ladro di energie»). Ritroviamo un volto mitizzato di Gesù in Budé, Ronsard, Rotrou, i quali accostano Gesù ad Ercole o Jouve e Pierre Emmanuel, dove troviamo analogie freudiane tra Gesù ed Orfeo. Esiste anche un Gesù idealista, sognatore o rivoluzionario (Hugo, Michelet…). Insomma, le interpretazioni e le variazioni libere sulla figura di Cristo non si contano. […]

Una trama divina non è una biografia di Gesù, non lo è in alcun modo. Non inizia con la sua nascita, ma con la paura dei discepoli dopo la morte di Gesù. E si conclude con la resurrezione. Inizia col timore dei discepoli spaesati per il vuoto creato dalla morte di Gesù, e si conclude con lo slancio emozionato di Giovanni che entra nella tomba di Gesù e la trova vuota. Si apre e si chiude con un vuoto, dunque: l’uno di morte e l’altro di vita.

Sono inquadrature, a volte racconti brevi e appunti. Prevale l’azione di un Gesù che spiazza, che ribalta le situazioni, che spesso trova i suoi discepoli impreparati a capire i suoi gesti e le sue parole. La parola di Gesù è libera, anche rispetto alla comprensione dei suoi. Il racconto evangelico – prevalentemente di Marco – è minimalista ma denso, alla Raymond Carver, funziona per sottrazione. Ma è una privazione narrativa che crea spazi per l’immaginazione, e dunque il coinvolgimento del lettore.

Gesù non ha nulla dell’icona dolce di ritratti spuri. Dominano i contrasti a ogni livello. Le trombe della resurrezione squillano sul silenzio del sepolcro vuoto e sul mutismo delle donne impaurite accorse al sepolcro. I massi rotolano via. Dio è sempre esperienza ad alta risoluzione. Tutti corrono (Maria, Pietro, Giovanni…) e il cuore batte forte per la suspense e l’impreparazione. La vita è un flusso, un processo, come quella della linfa che scorre nei tralci della vite. […]

Una trama divina richiede la fede? Il lettore deve stare al gioco, deve accettare il mondo che i Vangeli aprono e dispiegano. È, dunque, chiamato a rispondere con un «atto di fede» che permette di vivere l’esperienza che la storia gli dà l’occasione di vivere. Ma questo vale per ogni storia narrata. Il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge nella sua Biographia literaria ha riassunto in una frase perfetta ciò che stiamo affermando: «La fede poetica (poetic faith) consiste in un momento di volontaria sospensione dell’incredulità (willing suspension of disbelief)».

Senza «sospensione dell’incredulità», senza «fede», non c’è esperienza letteraria che tenga. Davanti alle storie sono possibili due atteggiamenti: o ci si crede (e allora esse si dispiegano nella loro potenza rappresentativa ed evocativa) o non ci si crede (e allora la pagina e la vita restano mute e dure). La lettura richiede una fiducia di base: proprio a partire da queste visioni è possibile rimettere in questione sia la nostra percezione comune delle cose sia la nostra personale esistenza. Si avvia così un gioco di interpretazioni e significati, ma anche di giudizi e di scelte. Leggere – ma anche vedere un film – significa dunque entrare con “fede” in un mondo diverso rispetto al nostro per comprendere a fondo il senso della nostra vita. Non avere «fede poetica» significherebbe, alla fine, narcotizzare il reale, spegnerlo, renderlo piatto, superficiale, scarno, secco.

Una vita senza storie e senza fede nelle storie sarebbe ben povera. Lo sappiamo: più una persona è ricca interiormente, più ha storie significative da raccontare, e più è disponibile ad ascoltarne. E questo vale per i Vangeli: sia che si abbia fede in Gesù, figlio di Dio fatto uomo, sia che non la si abbia. Ma per leggere Una trama divina la fede poetica è necessaria, sì.»

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