
Come si è sviluppata la formazione intellettuale dello scrittore?
La formazione intellettuale di Rodari è stata senza dubbio molto articolata: orfano di padre a nove anni, abbandona Omegna e con la madre e il fratello minore si trasferisce a Gavirate; il suo percorso di studi è tipico del ragazzo studioso ma privo di mezzi: continua in seminario per due anni il percorso scolastico del ginnasio, vi esce nel 1933 non sopportandone la disciplina, si iscrive all’Istituto Magistrale, si diploma maestro elementare con un anno di anticipo, inizia ad insegnare come supplente nei paesi intorno a Varese e – come scrive in una lettera – comincia a guadagnarsi “il pane e a riflettere sul concreto”. La lettura dei classici del marxismo e la conoscenza di operai comunisti lo porta, dopo molto travaglio ad aderire, durante la guerra, al partito comunista e alla Resistenza; come maestro aveva già maturato convinzioni che lo portavano ad essere controcorrente rispetto all’insegnamento tradizionale: la scuola come ambiente di integrazione e di solidarietà e non come discriminazione. Dalla scuola al giornalismo il passo è breve: dotato di “una certa predisposizione per i pezzi brillanti di fantasia o di umorismo” Rodari viene assunto a “l’Unità” dove, unico giornalista ad aver fatto il maestro di scuola, viene incaricato anche di curare un angolo per i bambini e una pagina domenicale loro dedicata. La strada è segnata: in quegli anni Cinquanta Rodari ha esperienze diverse: crea e dirige la rivista per ragazzi “Pioniere” e il settimanale “Avanguardia”, pubblica articoli su settimanali per adulti politicamente impegnati come “Vie Nuove” e “Noi Donne”, dà alle stampe romanzi importanti come Il romanzo di Cipollino (1952) e Gelsomino nel paese dei Bugiardi (1957). In sostanza si potrebbe dire che la formazione di Rodari, al di là del percorso scolastico (restò iscritto per qualche anno anche al corso di Lingue della Facoltà di Magistero della Cattolica di Milano ma non arrivò alla laurea), fu costruita sia sul campo con le breve esperienza di insegnante e quella di cronista sia individualmente con quell’intreccio di letture fra filosofia e letteratura che dice molto sulla sua lucida curiosità giovanile: Kant, Hegel, Marx, Dostoevskij, Holderlin, Apollinaire, Eluard, Montale e altri poeti, da Alfonso Gatto a Mario Luzi.
In quali diverse forme si è articolata la vastissima produzione di Rodari?
Dopo l’esperienza dell’Unità, a fine anni Cinquanta Rodari passò a Roma nella redazione di “Paese Sera” e, in parallelo con la produzione per l’infanzia, continuò la sua intensa attività giornalistica: non si occupava solo di argomenti “educativi” come potrebbe pensare qualcuno ma affrontava temi che avevano a che fare con la politica e con il costume: dalla “moda” della parapsicologia ai servizi segreti deviati… Naturalmente c’era anche lo sguardo “pedagogico” e allora ecco la collaborazione e la direzione di “Il Giornale dei Genitori” (1964 – 1977) che in anni di entusiasmi e di speranze come i decenni Sessanta-Settanta del secolo scorso fu periodico intelligente, capace, proprio grazie a Rodari, di affrontare con i “grandi” anche temi “scabrosi”: l’imparare dai giovani, i rapporti genitori-professori, l’educazione sanitaria, l’aborto… A tutto questo corrispondeva una produzione per l’infanzia articolata in filastrocche, favole, novelle, teatro che spesso nasceva proprio dall’osservazione giornalistica della contemporaneità; penso alle riflessioni sull’uso (e abuso) della televisione che avevano fatto nascere qualche divertente poesia e un lungo racconto (Gip nel televisore) su personaggi che, a forza di fissare il teleschermo, vi erano caduti dentro, ma penso anche al tema del linguaggio dell’infanzia che, oltre alle riflessioni giornalistiche, gioca un ruolo in novelle stupende come La canzone del cancello o in poesie simpatiche e intelligenti come questa: “Dovrete fare uno sforzo per capire/quello che vi vuol dire/nella sua strana lingua/internazionale:/babà, bobò, bibì…/Ma un giorno anche voi/parlavate cosi”.
Quale nuovo modo di guardare la letteratura per l’infanzia ha inaugurato lo scrittore di Omegna?
Se spostiamo il nostro obiettivo sulla letteratura per l’infanzia non possiamo ignorare la “svolta” determinata da Rodari: prima fra tutti quella di portare la vita reale e il lavoro nella poesia per bambini, nelle sue filastrocche compaiono operai, imbianchini, spazzini, muratori, bidelli, impiegati, portinaie e addirittura un “cascherino” come a Roma era definito il ragazzo che portava il pane nei vari negozi con una bicicletta fornita di apposita cesta (e come non pensare al tema dei rider di oggi?). In secondo luogo, ma non secondo per importanza, Rodari ha insistito in anni non facili sulla necessità di mettere al centro il bambino non solo pensando a una scuola non nozionistica ma anche a una letteratura che non rispondesse a qualche obbligo “pedagogico”; nell’introduzione a un’antologia scrive: “Non mi metto mai a scrivere per insegnare qualcosa a qualcuno, ma perché ho una bella idea; o, per lo meno, un’idea che a me sembra bella. Non penso mai prima alla morale: se c’è, la morale verrà fuori da sola, e, anche se il lettore non la vedrà, essa andrà ad abitare dentro di lui e gli farà un po’ di compagnia”. Ritengo che dopo Rodari la produzione per l’infanzia (almeno quella di un certo livello) non abbia potuto evitare di fare i conti con questi principi di poetica.
Quale valore formativo e pedagogico riveste l’opera di Gianni Rodari?
A questa domanda ho già in parte risposto, posso solo aggiungere che la valorizzazione che Rodari fa della dimensione autenticamente narrativa, priva cioè di finalità didattiche, è un elemento pedagogico di grande spessore perché apre lo spazio a quella valorizzazione del dialogo che è fondamentale in ogni atto educativo. Rodari, ad esempio, pur avendo scritto fiabe moderne, difende l’oralità della fiaba popolare legandola non solo all’identità di una nazione ma anche al fatto che il piacere del racconto, il gusto della lettura possono nascere solo come conseguenza di un rapporto dialogico e non autoritario con l’interlocutore più giovane: sostenere che non era importante avere davanti un bambino obbediente ma un bambino “capace di guardare le cose con occhio critico” è stato dal punto di vista educativo un atto rivoluzionario.
Quale interpretazione è possibile fornire dell’opera del “favoloso Gianni”?
Ritengo sia necessaria un’interpretazione complessiva dell’opera rodariana capace di inserirlo sia nel contesto storico (è quello che ha fatto recentemente Vanessa Roghi nel suo volume di Laterza Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari) sia più specificamente nel contesto letterario ed educativo come ho cercato di fare nella nuova edizione di Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari appena uscito da Einaudi Ragazzi. È importante non dividere l’autore per l’infanzia dal resto della sua produzione, separare la sua creatività dai processi formativi che l’hanno determinata. Mi piacerebbe che questo triplice anniversario molto rodariano (100 anni dalla nascita, 50 dal Premio Andersen, 40 dalla scomparsa) servisse non solo a diffondere la sua opera ma anche fornire il ritratto di un autore che seppe coniugare profondità di pensiero e leggerezza, serietà e ironia.
Qual è l’eredità di Gianni Rodari?
L’eredità di Rodari è stata sicuramente molto ampia e ricca: anzitutto perché fin dall’inizio ha fatto riflettere gli autori sull’importanza di affidarsi alla rima come gioco piuttosto che come espediente didattico-morale. Le prime opere di Roberto Piumini, ma anche quelli di autori che sono venuti dopo di lui (ad esempio Bruno Tognolini) danno il segno di questo cambiamento di prospettiva. Analogamente, per quello che riguarda la dimensione narrativa, penso che autrici come Bianca Pitzorno, Donatella Ziliotto e altre abbiano colto all’interno delle loro opere il segno dell’ironia, del gusto di raccontare, dello scarto imprevisto della fantasia. Senza dubbio si potrebbero fare altri nomi anche se, negli ultimi anni, ho notato una certa reticenza ad ammettere, da parte di alcuni, l’influenza diretta perché pare tornato in evidenza il principio che una filastrocca, un gioco di parole non siano poesia… Sperando che non tornino in Italia le comode distinzioni di Benedetto Croce fra poesia e non poesia, mi piace segnalare la correttezza del francese Bernard Friot che, oltre ad aver tradotto Rodari, dichiara di essersi ispirato alla lezione del nostro autore per la sua viva, intelligente e simpatica produzione.
Pino Boero è stato professore ordinario di Letteratura per l’infanzia all’Università di Genova. È vicepresidente del “Parco della Fantasia Gianni Rodari” e presidente della Giuria del Premio “Rodari Città di Omegna”; è membro delle Giurie dei Premi “Carla Poesio” di Bologna Children’s Book Fair e “Andersen”. Fra i suoi volumi: La letteratura per l’infanzia (con Carmine De Luca, Laterza 20092) e Una storia, tante storie. Guida all’opera di Gianni Rodari (Einaudi Ragazzi, 20203). Collabora alle riviste “Andersen” e “Liber”.