
Il dolore e la sofferenza hanno scandito l’esistenza di Alda Merini: quali vicende hanno segnato la sua vita?
Primo fra tutti, il secondo conflitto mondiale, che ha costretto Alda e la famiglia a fuggire dalla propria città e dalla propria casa, a vedere letteralmente andare in pezzi la vita di prima. Come tutti.
Quello che invece sarà eccezionale nella vita di Alda è, ovviamente, l’internamento ripetuto nell’inferno del manicomio vecchia scuola, pre-Basaglia. Un internamento avvenuto quasi per caso, quasi senza volontà del marito che ha chiamato l’ambulanza ed è stato di certo sopraffatto, insieme alle figlie, dalle conseguenze della propria decisione.
L’esperienza del manicomio ha indubbiamente segnato la poetessa milanese: come si è riflessa tale esperienza nella sua poesia?
Sicuramente i ripetuti internamenti in manicomio e i conseguenti ripetuti elettroshock hanno condizionato l’esistenza di Alda Merini, ma la sua poesia non deriva certamente dalla sua follia. La cosa è dimostrata dai fatti, visto che la giovanissima Alda Merini aveva già pubblicato più di una silloge su antologie di curatori eccellenti come Eugenio Montale, Giacinto Spagnoletti e Maria Luisa Spaziani. Anzi, proprio perché Merini è poetessa, riesce a trasfigurare l’esperienza del manicomio, che normalmente stronca le persone, in un’esperienza non solo alla quale sopravvivere, ma possibile da raccontare in poesia. E la racconta in due modi diversi, come sempre (almeno) doppia sarà la sua persona e la sua conseguente visione dei fatti. Il manicomio resta comunque un luogo di verità che Merini preferirà sempre all’inferno borghese e benpensante di fuori, dei così detti normali. Data questa costante, in alcuni passaggi della sua poesia il manicomio è la mitopoietizzata Terra Santa. In altri, manicomio è il luogo del pericolo e dell’assoluto abbandono.
Nella realtà, rimane il solo posto dove Merini possieda tempo e luogo per scrivere senza altro impegno concreto, perché il dottor Enzo Gabrici le concede il proprio studio e la propria macchina da scrivere. Tracce di quella gioia e di quella insperata libertà stanno appunto nella sua Terra Santa.
Quale stile caratterizza la sua creazione poetica?
Alda Merini comincia a poetare da ragazzina, per istinto, è lirica e precoce, orfica, ma la vita rende anche estremamente dura la sua poesia, perché versifica un’esperienza personale di raro strazio e rara intensità. A volte Merini sembra sfuggire alla propria stessa vita e rifugiarsi in una trasfigurazione, spesso d’impianto mistico. Altre volte riesce a portare il peso della propria realtà e allora la sua poesia diventa ironica, contraddice quasi se stessa, scherza con gli angeli e coi santi e chiama a gran voce la presenza degli altri. Avanti nella vita, confesserà infatti che la poesia è stata per lei anche «una sindrome di accomodamento». Merini capisce con sempre maggiore chiarezza che le preme essere amata e comunicare e piega lo stile – per ragioni affettive, ma anche economiche – a una sempre maggiore leggibilità, costruendo quasi con le proprie mani la vulgata di se stessa, che è però la parte più scadente di se stessa, quella che istintivamente associamo (e anch’io associavo, sbagliando) alla sua figura, mediatica e poetica.
Gli anni Novanta hanno visto la consacrazione anche commerciale della Merini che ha così conquistato la ribalta mediatica: come ha vissuto la poetessa la notorietà?
In un primo momento certamente Alda Merini è stata contenta, anzi estasiata, dall’improvviso interesse nei suoi confronti da parte dei media, che ha vissuto come un risarcimento degli anni nei quali era stata umiliata e ripudiata anche dalla comunità dei poeti per la sua diversità. Con il tempo, però, ha dovuto accorgersi che la maggior parte dei giornalisti e del pubblico erano interessati più alla sua storia personale che alla sua poesia. Nelle interviste degli ultimi anni, infatti, Alda Merini lamenta di essere diventata un fenomeno da baraccone, che a lei veniva richiesto solo un numero da circo e che la sua persona e la poesia che ne sgorgava veniva quasi sempre fraintesa, qundo non apertamente disprezzata. Ancora oggi, pochi leggono la sua poesia al di là del personaggio pubblico della pazza della porta accanto, come lei stessa, con la consueta ironia, si definisce.
Il libro che ho scritto vuole spogliare Alda Merini dei panni della pazza – come lei stessa si è spogliata, davanti all’obiettivo di Giuliano Grittini – e restituirle la dignità di poetessa.
Qual è la lezione di Alda Merini?
La libertà. Se leggiamo le sue poesie, e non solo i pensierini sentimentali che abbondano in rete, scopriamo una poetessa capace di scrivere di argomenti intoccabili e raramente osati, ad esempio un esplicito erotismo femminile, e conosciamo una donna che si arroga (e, così facendo, lo permette alle altre) il sacrosanto diritto di invecchiare. Nel suo caso, sotto l’occhio quadrato di telecamere e macchine fotografiche. La forza di disinteressarsi dell’opinione altrui credo sia la maggior lezione di Merini donna e poetessa. Questa è la forza di chi ha visto l’inferno. Questa è la forza di chi ride di tutto, anche del proprio dolore.
Maria Grazia Calandrone è poetessa, scrittrice, drammaturga, autrice e conduttrice Rai, regista per «Corriere TV». Tiene laboratori di poesia in scuole pubbliche e carceri. Premi Dessì, Europa, Lerici Pea, Metauro, Montale, Napoli, Pasolini, Trivio per la poesia, Bo-Descalzo per la critica letteraria. Ultimi libri Serie fossile e Il bene morale (Crocetti 2015 e 2017), Giardino della gioia (Mondadori 2019), Fossils (SurVision, Ireland 2018), Sèrie Fòssil (Edicions Aïllades, Ibiza 2019), l’antologia araba Questo corpo, questa luce (Almutawassit Books, Beirut 2020) e il romanzo Splendi come vita (Ponte alle Grazie 2021, dozzina Premio Strega).