“Un Paese di paesi. Luoghi e voci dell’Italia interna” di Rossano Pazzagli

Prof. Rossano Pazzagli, Lei è autore del libro Un Paese di paesi. Luoghi e voci dell’Italia interna pubblicato dalle Edizioni ETS: quale dimensione esprime l’assonanza lessicale che dà titolo al volume?
Un Paese di paesi. Luoghi e voci dell’Italia interna, Rossano PazzagliQuella di un’Italia che ha finito per trascurare la parte più estesa del suo territorio, la parte per tanti aspetti più bella e più sana. Esprime un paradosso, in fondo, e una critica radicale al modello di sviluppo seguito dal dopoguerra ad oggi, una evoluzione che ha accresciuto il benessere medio, ma che ha ulteriormente squilibrato un Paese già fragile. Il “Paese di paesi” rimanda a una rete essenziale di borghi, villaggi e contrade che da Nord a Sud punteggiano il territorio della penisola fin nelle valli più strette e sui più impervi crinali. È l’Italia interna, prevalentemente collinare e montuosa, vittima sacrificale di scelte politiche ed economiche che hanno marginalizzato le zone rurali, privilegiando i grandi centri urbani, le poche pianure e qualche tratto costiero.

Il titolo evoca dunque un’immagine territoriale differenziata e policentrica, sottintende una denuncia della dimenticanza e dell’abbandono, ma è anche un invito a rivalutare il mondo rurale, a riannodare i fili tra l’Italia dei margini, le aree interne e le città; verso un’Italia più coesa e consapevole delle proprie potenzialità, entro una visione non gerarchica ma con pari dignità tra le varie componenti del suo ricco territorio.

Quali risorse, ricchezze e bellezze contiene l’Italia, ingiustamente definita “minore”?
È una bellezza utile, non solo estetica. La risposta sta nel patrimonio territoriale, cioè quell’insieme di risorse frutto dell’incontro incessante, problematico e fecondo tra uomo e natura: il paesaggio, il suolo, il bosco, l’acqua, l’aria, gli insediamenti, le tradizioni e le attività economiche diffuse. Si tratta di un valore oggi disperso, ricchezze e bellezze utili non solo ai pochi abitanti rimasti, ma all’intera società. Qui, nei territori di civiltà antiche, dietro le finestre chiuse, lungo le siepi dei campi ormai incolti, nei comportamenti e nelle tradizioni collettive non ancora spente del tutto, si è accumulato nel tempo un patrimonio diffuso fatto di prodotti, ambiente, paesaggi, valori culturali, salute e virtù civiche che oggi tornano ad essere necessarie per rispondere alla crisi del presente, una crisi al tempo stesso economica, sociale, politica e infine anche sanitaria.

Il libro si chiede che cosa è rimasto lassù, nella grande area montana e collinare d’Italia, rurale, boschiva, pascolativa e piena di paesi: non il niente, né il vuoto; non solo la vulnerabilità di un territorio fragile; non soltanto la desolazione e l’isolamento, ma anche un insieme di risorse di cui le aree centrali non dispongono e non possono disporre e che invece sono indispensabili alla vita.

Quali dinamiche hanno segnato il territorio delle campagne collinari, della montagna, dei fondovalle interni, dei paesi?
È la storia di un declino, di una marginalizzazione. Proprio nei decenni in cui l’Italia cresceva economicamente e demograficamente, gran parte del suo territorio ha conosciuto una storia in discesa, fatta di abbandono e di spopolamento. Con l’affermarsi del modello industriale e della società urbanocentrica basata sui consumi, gli italiani sono scesi a valle, verso le città e le coste. Soprattutto dopo la metà del ‘900 il grande esodo verso le aree urbane, dove la fabbrica fordista e l’organizzazione taylorista del lavoro richiedevano manodopera per l’Italia del boom, ha assunto via via dimensioni maggiori e diffuse, con l’abbandono di parti significative del territorio italiano, prevalentemente collinare e montuoso, generando forme di disagio apparentemente contrapposte, ma convergenti nel determinare lo spopolamento delle aree interne e l’intensificazione urbanistica e sociale delle città e delle coste. Una sorta di doppio danno.

I paesi aggrappati sulle pendici hanno perso popolazione, attività e servizi. La terra è stata abbandonata, si è disgregato il paesaggio, è aumentata la vulnerabilità idrogeologica e i paesi si sono come allontanati dalla vista e dai centri vitali del Paese. Sono rimasti, forse, solo nel ricordo di chi è partito e nella fatica di chi è rimasto.

Come esito di queste dinamiche, una gran parte del territorio si è ritrovata ai margini, diventando una grande periferia rurale trascurata o dimenticata, svuotata di abitanti, funzioni e servizi, ferita nella sua dignità ambientale, sociale e culturale. Più in generale, l’approccio globale ha semplificato e marginalizzato le realtà locali. Ciò è stato un danno molto grande per un paese come l’Italia.

Come riportare i margini al centro, o il centro in periferia?
Creando in queste aree opportunità di lavoro e riattivando servizi, ma soprattutto riconoscendo dignità sociale e culturale ai paesi e alle campagne, sostenendo chi è rimasto e incoraggiando chi ritorna, ridando valore all’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato e a forme sostenibili di turismo. Per farlo sono necessarie politiche e cultura. Bisogna invertire lo sguardo, cercare di guardare all’Italia non più soltanto dalle grandi città – Roma, Milano, Napoli – o da un centro che osserva e governa le sue periferie, ma dai monti del Molise e dalle colline della Toscana, per esempio, come da un qualsiasi altro paese della penisola, dalla Sicilia al Trentino. Allora potremo finalmente scorgere un’altra Italia, un Paese che finora è andato avanti su equivoci, paradossi e dialoghi spezzati; un territorio esteso con una ricchezza celata dall’abbandono ma ancora intatta.

Ora che c’è una ripresa di attenzione per il territorio e le aree interne, oggetto anche di una strategia nazionale, è necessario capire il declino e progettare la rinascita, ponendoci nella prospettiva di superare lo spaesamento per riabitare l’Italia abbandonata, trascurata e delusa. Dal libro emergono i tratti di una possibile rinascita legata alla riattivazione di servizi essenziali per gli abitanti e al riconoscimento di servizi ecosistemici per l’intera società, al paesaggio, ai prodotti e alle altre risorse locali. Ma servono politiche e strumenti: il microcredito, la finanza etica, la differenziazione fiscale, le cooperative di comunità, l’innovazione sociale. Nei paesi e in campagna, inoltre, c’è un bene raro, che abbiamo perduto e che in città è diventato una risorsa scarsa: lo spazio. Uno spazio grande, che non è vuoto, ma contenitore di tante cose materiali e immateriali, tra cui la salute e la libertà.

Tutto ciò sarà possibile se teniamo ben presente un assunto: che è necessario cambiare paradigma, che i problemi dei paesi e delle aree interne non si potranno risolvere applicandovi lo stesso modello che li ha marginalizzati.

In che modo la conoscenza del territorio può tradursi in coscienza di luogo?
Facendo diventare il tema delle aree interne una questione di tutti, non solo dei pochi che sono rimasti e di coloro che cercano di tornare, ma dell’intera società. Perché ciò avvenga serve uno sforzo culturale a partire dall’università, dalla scuola e dal mondo della comunicazione, senza specialismi né sensazionalismi, ma con la consapevolezza di un riequilibrio necessario e di un diverso modo di guardare all’Italia, a questo bello e tormentato Paese che può trovare nei suoi mille e mille paesi una linfa vitale per guardare avanti. Può sembrare strano, ma non lo è: in un mondo malato, dove è necessario decongestionare le città, i luoghi e le aree interne descritti in questo libro, a partire dai paesi remoti del Molise, emergono come luoghi sani e ambiti privilegiati, dai quali ripartire per sperimentare nuovi modelli e stili di vita, per un corretto rapporto tra uomo e ambiente. La pandemia, con il suo pesante fardello di conseguenze e con le contraddizioni che ci ha disvelato, può aiutarci in questo ripensamento.

Ci siamo abituati a considerare i paesi, i piccoli paesi in particolare, come luoghi senza più senso. È giunto il tempo di ridare senso ai luoghi, ritrovare una intimità con essi, in una visione della società che vada oltre il mercato, uscendo dall’equivoco che ha accompagnato l’illusione contemporanea, cioè che lo sviluppo umano e la crescita economica fossero la stessa cosa. In un paese come l’Italia il territorio e la bellezza sono le vere armi per uscire dalla crisi. Ne consegue che dobbiamo difenderli entrambi, il territorio e la bellezza.

Rossano Pazzagli insegna Storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise e dirige la Scuola di Paesaggio “Emilio Sereni” presso l’Istituto Alcide Cervi. Esponente della Società dei Territorialisti, è stato direttore dell’Istituto di Ricerca sul Territorio e l’Ambiente “Leonardo” di Pisa e del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini. Studioso del mondo rurale, è condirettore della rivista “Glocale” e autore di numerose pubblicazioni, tra cui i recenti Italia contadina. Dall’esodo rurale al ritorno alla campagna (2018) e La «nobile arte». Agricoltura, produzione di cibo e di paesaggio nell’Italia moderna (2020).

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