“Un mondo senza rifiuti? Viaggio nell’economia circolare” di Antonio Massarutto

Un mondo senza rifiuti? Viaggio nell'economia circolare, Antonio MassaruttoProf. Antonio Massarutto, Lei è autore del libro Un mondo senza rifiuti? Viaggio nell’economia circolare edito dal Mulino: un mondo senza rifiuti è possibile?
Dipende da cosa intendiamo per rifiuti. Ogni processo vitale produce scarti, che la natura provvede a rimettere in circolo. Ma i nostri rifiuti sono diversi, in quanto la natura non sa cosa farsene. E quindi non solo non ridiventano materia utile, se non in minima parte, ma si accumulano interferendo negativamente con gli ecosistemi. È il mondo dell’economia lineare: prelevo (materie prime), produco (i beni intermedi, i beni di consumo, i servizi), uso, e infine butto. La materia, in questo schema, è una specie di veicolo che trasporta fino a noi l’utilità potenziale contenuta nelle cose, e poi ne allontana da noi le spoglie una volta che abbiamo goduto di quel valore. Questo processo presuppone riserve infinite di materie prime e disponibilità altrettanto infinita di capacità di smaltimento: ma chiaramente questo non è possibile.

In cosa consiste l’«economia circolare»?
Significa che la nostra economia deve adottare un meccanismo più simile a quello della natura. In natura ogni cosa è un tassello di un infinito processo di rinascita, il cui motore è il calore del sole. Le piante fissano la materia organica tramite la fotosintesi. Gli animali mangiano le piante e poi si mangiano tra loro. Poi quando muoiono i batteri li degradano di nuovo in materia organica. E così via all’infinito.

Economia circolare significa prendere ispirazione da questo modello: se lo fa la natura, che è stupida, possiamo farlo anche noi che siamo intelligenti.

Attenzione: quando diciamo “l’economia”, non dobbiamo commettere l’errore di pensare a delle forze oscure, magari pilotate dalle strategie della finanza, delle multinazionali o di chissà chi. Dobbiamo intendere economia nel suo significato profondo, tornare alla radice della parola greca da cui proviene. Economia siamo noi, in ogni momento in cui provvediamo a soddisfare le nostre necessità materiali – che è così difficile distinguere dai nostri desideri, dai nostri capricci, ogniqualvolta agiamo

Il primo passo consiste nel renderci conto che i rifiuti si producono come ultimo anello di una catena lungo la quale la materia si degrada rendendosi sempre più difficile da utilizzare.

Il principio di base, se posso riassumerlo in una battuta, è: è più difficile togliere il sale dal minestrone dopo avercelo messo, che pensarci prima e salarlo di meno. Se ci pensassimo prima, molte cose non diventerebbero rifiuti. Vuol dire che per soddisfare i nostri bisogni possiamo provvedere in molti modi diversi. Qualcuno sceglie gli oggetti, qualcun altro sceglie con che materiale realizzarli, un altro in che modo imballarli e proteggerli, e infine qualcuno ce li vende. Nel mondo dell’economia lineare, ciascuno di costoro vede il suo spicchio di mondo e prende la decisione che gli sembra migliore da quella prospettiva. Nessuno vede l’insieme.

Se – facciamo un esempio – un telefonino usato diventa un rifiuto è perché chi lo ha progettato ha pensato a renderlo funzionale in quanto smartphone, ma non si è preoccupato di facilitarne lo smontaggio e il disassemblaggio delle parti. Eppure avrebbe potuto fare uno smartphone altrettanto buono e anche facile da smontare, se solo ci avesse pensato.

Guardiamoci intorno, guardiamo le cose che tutti i giorni usiamo e che finiscono nella nostra spazzatura. Quanti imballaggi sono fatti di materiali compositi, difficilissimi da riciclare?

Economia circolare è un’economia che invece a queste cose ci pensa prima, e pensandoci prima è in grado di avviare una parte crescente della materia che usa, e tendenzialmente tutta quanta, a forme di recupero che minimizzino il prelievo di risorse e la dispersione di residui.

 Quali iniziative sarebbero necessarie per un mondo senza discariche?
Se un mondo senza rifiuti è impossibile, un mondo senza discariche invece è perfettamente possibile. Non solo, c’è chi lo ha già realizzato. Penso ai paesi del centro-nord Europa: Germania, Svizzera, Svezia, Danimarca, Olanda. Ma anche alcune regioni del nord Italia, come la Lombardia.

Come si fa? Dico subito come NON si fa. L’errore più grande che si può commettere è pensare che l’economia circolare sia una sorta di Mulino Bianco globale dal quale scompaiono per magia l’inquinamento, i rifiuti, gli impianti di trattamento. E’ vero proprio il contrario.

Chi azzera la discarica, lo fa riciclando il 50-70% e bruciando il resto per produrre energia. Non si scappa, possono cambiare le dosi, ma non la sostanza. Chi si oppone agli impianti in nome dell’economia circolare commette un errore colossale. Purtroppo è un errore che accomuna un sacco di persone che hanno responsabilità di prendere decisioni, ma preferiscono fare i pesci in barile. Dal Ministro dell’ambiente in giù, senza distinzione di colore politico. Mentre invece, solo parlando di impianti di incenerimento, ce ne mancano ancora un bel po’, specie al centro-sud. Noi invece ci facciamo belli delle ordinanze regionali come quella delle Marche, che hanno bandito dal loro territorio ogni forma di combustione di rifiuti e loro derivati.

Ma per arrivare a simili traguardi non ci si può limitare ad occuparsi del problema una volta che si è generato, a valle della produzione di rifiuti. Anche la raccolta differenziata, che ovviamente è fondamentale, da sola non basta, se non c’è poi a valle una filiera industriale che si fa carico del recupero dei materiali. Serve investire sul ciclo dell’organico, con impianti di estrazione del biogas e di compostaggio, ma serve poi anche un mercato dove collocare i materiali che si sono recuperati, che non sempre trovano poi chi è effettivamente disposto a comperarli.

A che punto siamo?
Meno peggio di quel che si pensi. Nel riciclo siamo tra i leader mondiali. Mandiamo ancora troppi rifiuti in discarica, circa il 25%: ma vent’anni fa eravamo oltre il 90%.

Si pensi che per alcuni degli impegnativi traguardi della nuova direttiva europea abbiamo praticamente già raggiunto, o poco ci manca, i traguardi fissati per il 2030. Ci sono aree scoperte su cui dobbiamo lavorare: ridurre ulteriormente la discarica sotto il 10%, migliorare il riciclo soprattutto della plastica, estendere e completare il sistema di gestione dei rifiuti elettronici.

Soprattutto, dobbiamo colmare il divario tra nord e sud. Il dato italiano medio è sempre un po’”alla Trilussa”.

Ma abbiamo aziende che si possono candidare a giocare un ruolo da protagonisti nella gestione sostenibile dei rifiuti. E tante buone pratiche e buoni esempi. A cominciare dall’inceneritore di Acerra, che un mio collega napoletano giustamente definisce “la cosa più ecologista che è stata fatta in Campania negli ultimi 20 anni”. Un impianto a emissioni praticamente zero, senza il quale i rifiuti di Napoli sarebbero ancora per le strade, o in viaggio per l’Olanda.

L’economia circolare conviene?
Certamente sì, ci conviene. Intendiamoci bene, però. Ogni processo di produzione ha rendimenti decrescenti, e quindi costi crescenti, man mano che questo processo si espande. Riciclare le frazioni di vetro, carta e plastica più facili da intercettare costa sicuramente meno che buttarle via. Ma se devo rincorrere ogni minuscola frazione di questi materiali, chiaramente arriverà il punto oltre il quale non è desiderabile andare. Dunque è insensato, e anche impossibile, pensare di arrivare al 100%, all’utopistico traguardo del “rifiuto zero”.

Ma io preferisco guardare alla strada davanti a noi, al percorso. L’economia circolare, se presa alla lettera, è utopia. Ma oggi noi ricicliamo il 50%, e mandiamo in discarica il 25%. Il pacchetto economia circolare – la nuova direttiva europea – ci chiede di portare il riciclo al 65%, e di ridurre la discarica sotto il 10%. Tutti gli studi confermano che questo obiettivo è sensato, e conviene.

C’è poi un altro discorso. Per decidere cosa conviene, dobbiamo porci in una prospettiva di valutazione sociale, non individuale. Quindi non possiamo limitarci a considerare i prezzi di mercato, questi riflettono il valore delle cose dal punto di vista degli individui, non da quello sociale. In economia si chiamano “esternalità” tutte quelle dimensioni che il mercato non riesce a considerare, e pertanto non si riflettono nei prezzi. Anche se riciclare costa un po’ di più che buttare in discarica (al prezzo attuale della discarica), se io considero tutte le emissioni che risparmio, e anticipo la futura scarsità, potrò scoprire che invece conviene. Il problema è semmai che finché i prezzi di mercato non rifletteranno queste dimensioni, ci sarà sempre la tentazione da parte di qualcuno di “spendere meno”, lasciando agli altri l’onere di preoccuparsi del bene comune.

In che modo il nostro Paese potrebbe trarre vantaggio dall’economia circolare?
L’Italia è da sempre un paese povero di materie prime, che ha trovato nel saper fare tanto con poco una delle chiavi del suo successo come paese industriale. Figli di questa tradizione secolare sono i brevetti nei nuovi materiali come le bioplastiche, il boom delle energie rinnovabili, le eccellenze nel riciclo.

L’economia circolare può essere una parola d’ordine per mettere al lavoro questa Italia.

Quale futuro per i rifiuti?
Come detto, un mondo con i rifiuti – il modello dell’economia lineare – non può durare a lungo. Quindi rovescerei la domanda: come fare per fare in modo che i nostri “rifiuti” diventino invece qualcosa di più simile a quello che avviene in natura. O impariamo a farlo, oppure saremo noi umani a non avere un futuro.

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