
Come nasce il giornale?
Se intendiamo come nasce ogni numero, allora bisogna immaginarsi un sistema uguale a quello di qualsiasi redazione di un periodico: c’è una redazione che però, anziché confrontarsi quotidianamente con giornalisti fotografi, esperti su temi specifici e reporter – che comunque ci sono – lo fa prevalentemente con autori e artisti, ovvero sceneggiatori, disegnatori illustratori, coloristi. Nei “tempi d’oro”, fino agli anni ’10 del Duemila, la community degli artisti contava circa duecento persone, tutti liberi professionisti che lavorano “da casa”. Quando ero direttore si lavorava su più piani organizzativi, scanditi da calendari: c’era un piano editoriale annuale su cui programmare con grandissimo anticipo e far coincidere i grandi eventi – dal Natale all’uscita dei famosi gadget estivi, passando per le ricorrenze imprescindibile come, per esempio, il compleanno di Paperino ma anche il festival di Sanremo – con i contenuti del giornale, tenendo presente che per realizzare una storia a fumetti, dalla stesura del soggetto alla realizzazione dei disegni e la scrittura del lettering nei balloon, servono in media 5 mesi mentre, per realizzare un approfondimento giornalistico, non è necessaria più di qualche settimana. A mano a mano la programmazione “macro” annuale e la produzione delle storie a fumetti si incrociava con le attività di marketing, le iniziative speciali, la pubblicità, e più ci si avvicinava alla data di uscita del numero del Topo è più si stringeva il fuoco sulle attività di cucina redazionale. Più meno due settimane dall’arrivo in edicola nel fatidico mercoledì, tutte le parti di cui è composto il giornale convogliavano nel numero del giornale da mandare in stampa, dalla copertina all’ultima pagina.
Quali sono le maggiori difficoltà nel dirigere e realizzare un periodico particolarissimo come Topolino?
Da direttore è un po’ come dirigere un’orchestra a cui devi dare la direzione, appunto, cercando di tirare fuori il meglio da ogni elemento – dal triangolista al primo violino – ed essere sempre presente come punto di riferimento, senza soffocare i virtuosismi dei grandi talenti, semmai valorizzandoli. Sei al servizio dell’orchestra ma soprattutto del lettore. La difficoltà più grande per chi lavora nel dietro le quinte è però quella di non dimenticare di essere stati, o meglio ancora di essere, prima di tutto dei lettori. Il rischio più grande è quello di far diventare il lavoro nel backstage un lavoro impiegatizio. Che non c’è nulla di male, ma la magia del mondo disneyano e del giornale deve essere tenuta viva a partire dalla consapevolezza che si sta facendo un lavoro speciale. Cioè: alimentare sogni, regalare momenti di leggerezza, divertire, far pensare. Educare all’immaginazione.
Che importanza hanno le onomatopee nel fumetto?
Per me sono fondamentali, senza non mi sarei mai avvicinata al mondo del fumetto. Ho imparato a leggere prima di tutto le onomatopee, parole facili scritte a caratteri cubitali, a darmi il senso immediato di una scena o di una vignetta. SIGH… qualcuno è triste. SPLASH… è caduto qualcosa in acqua. SNORT… sono davvero arrabbiato! Come scrivo nel libro, il momento più bello della mia esperienza professionale è stata l’esperienza vissuta nei laboratori con i bambini quando il momento dedicato alla spiegazione delle onomatopee – rumori e suoni scritti e disegnati, da leggere, a indicare un movimento o la forza di un pensiero – li conquistava definitivamente. Particolare non secondario è che possono avere una carica tanto ironica e strapparisate, quanto drammatica. Per me le onomatopee sono la cifra distintiva del fumetto, tanto che anche la loro assenza può essere potentissima nel sottolineare un silenzio.
Quali caratteristiche presenta il linguaggio di Topolino?
Gli autori di Topolino hanno un’abilità unica, un tratto distintivo che ha reso peculiare nei decenni la lettura dei fumetti e del giornale tutto: sanno raccontare storie rimanendo in perfetto equilibrio tra la narrazione popolare e quella più raffinata, usando un registro mai banale – perfino quando si tratta di suscitare una sonora risata. Non hanno mai avuto paura di usare parole ricercate e desuete, a volte perfino sfidanti. Il che non significa mettere in difficoltà il lettore, semmai averne rispetto. Nel corso del tempo Topolino si è costruito una reputazione riconosciuta da letterati, professori e, cosa più importante, dagli insegnanti di scuola elementare. Le tesi di laurea sul linguaggio usato nei fumetti Disney si sprecano, io stessa avrò collaborato con la testimonianza ad almeno una ventina di stesure. La semplificazione del linguaggio perché “altrimenti i bambini non capiscono” è sempre stata temuta come una iattura. C’è un intero capitolo nel libro in cui mi sono divertita a sottolineare, a scrittura completata quante parole, tra quelle usate, riconoscevo di aver imparato da bambina leggendo Topolino. Il risultato è sorprendente e lì invito anche tutti i lettori a ripetere l’esercizio!
Chi sono i disegnatori storici di Paperi e Topi?
La scuola Disney italiana, complice anche l’Accademia che ha formato grandi autori soprattutto nel decennio tra il 1995 e gli anni dieci del Duemila, dagli anni ’50 è stata un riferimento unico per tutto il mondo. Gli artisti più grandi, da Scarpa a Cavazzano, passando per Carpi e De Vita, ma anche Asteriti, Chierchini, Bottaro… hanno potuto crescere ed esprimere il loro talento proprio grazie alla presenza costante e settimanale di un giornale unico come Topolino, le cui storie originali realizzate interamente in Italia, al ritmo di sei settemila tavole all’anno, sono state, e tutt’ora sono, pubblicate in tutto il mondo. Poi ogni lettore si lega ai disegnatori che lo hanno colpito negli anni d’oro da lettori militanti: i miei sono senza dubbio Cavazzano e De Vita, come spiego bene nel libro dove ho dedicato loro due capitoli, soprattutto per ringraziarli di avermi fatto sognare…
Cosa Le resta di quest’avventura?
La consapevolezza di aver fatto un’esperienza unica, di essere stata una privilegiata sia da lettrice sia da giornalista che ha lavorato dietro le quinte di un sogno. Nonostante la fine dell’avventura sia stata segnata da una profonda delusione, la forza di quanto vissuto tra Paperi e Topi e tutto il mondo a loro collegato, in quell’eterno passaggio tra realtà e fantasia, ha prevalso e mi rendo conto che i ricordi legati al mondo del Topo non sono solo ricordi, ma parte di me, di ciò che sono. Quel luccichio, e a volte la commozione, che leggo ancora oggi negli occhi dei lettori del libro che mi ringraziano per aver raccontato di un mondo tanto importante per ognuno di loro, mi dà un’emozione impagabile. E mi viene voglia di abbracciarli tutti come si fa quando ritrovi certi amici speciali della tua infanzia.
Valentina De Poli (Milano, 1968), giornalista, è specializzata in editoria per ragazzi ed editoria a fumetti, podcaster e consulente creativa e progettuale. Collabora con Tuttolibri e ha lavorato per trent’anni a Topolino, di cui è stata direttrice dal 2007 al 2018.