“Un conflitto lungo cinquant’anni. Diversi sguardi sulla guerra fredda” di Giovanni Ingrosso

Dott. Giovanni Ingrosso, Lei è autore del libro Un conflitto lungo cinquant’anni. Diversi sguardi sulla Guerra Fredda edito dal Cielo Stellato. Nel Suo libro Lei offre un’interpretazione della Guerra Fredda utilizzando le categorie di Barry Buzan, della ‘polarità’ e dell’’identità’: cosa è stata la Guerra fredda?
Un conflitto lungo cinquant'anni. Diversi sguardi sulla guerra fredda, Giovanni IngrossoÈ stata entrambe le cose: una guerra “polare” perché si sono confrontati due sistemi internazionali, che si contendevano l’egemonia, da prima sull’Europa e poi sul mondo intero. È stata una guerra identitaria perché c’era sicuramente una componente legata all’esigenza della Russia di affermarsi come grande potenza, come paese guida di un sistema ideologico ed economico, quello marxista, dichiaratamente nemico del sistema cui invece si rifaceva l’America, quello capitalista. L’idea della Russia Marxista era che, per sopravvivere, i paesi a regime socialista avrebbero dovuto necessariamente arrivare ad uno scontro militare contro quelli capitalisti, perché questi ultimi intendevano smontare militarmente il sistema Marxista. A questo si aggiunga la permanente sindrome dell’assedio, cronicamente esistente nella visione dei rapporti internazionali della Russia, anche di quella zarista, aggravata dalla sindrome persecutoria di uno Stato che si riteneva un’eccezione in un mondo ostile per ragioni ideologiche. C’era poi l’idea che sottostà all’affermazione dell’America quale stato dominante nel ventesimo secolo, fortemente legata alla propria identità protestante a sfondo biblico (la Gerusalemme splendente sulla collina), che vedeva nel marxismo un nemico “diabolico”, che minava con la sua visione del mondo la santità della Nazione americana. Nella identità russa non c’era solo il marxismo, come per lungo tempo è sembrato proprio nel corso della guerra fredda. La Russia ha una lunga storia ed una potente identità, la cui descrizione da sola porterebbe via qualche volume, quindi nel suo combattere la guerra fredda ci fu anche questo. Il marxismo spesso e volentieri fu una scusa, ed un mezzo per cooptare alleati, principalmente nel terzo mondo. Tutte le guerre coinvolgono sia un aspetto che l’altro. Le guerre si fanno per ragioni di interesse, cioè di potenza, ma comunque, siccome mettono in discussione l’esistenza stessa di un soggetto politico, l’identità entra comunque in gioco.

Quali diverse idee di nazione e di ruolo si contrapponevano nella Guerra Fredda?
In realtà a contrapporsi nella guerra fredda erano due idee di nazione del tutto simili, entrambe derivanti dalla rivoluzione francese, e poi dal romanticismo ottocentesco. Un’idea che ha pervaso tutta la cultura occidentale, a cui apparteneva anche l’Unione Sovietica, sia come entità nazionale, almeno a partire dalla fine della guerra dei sette anni, che come visione Marxista della storia e dell’economia, idea che è frutto dell’hegelismo, base della concezione occidentale di Stato e di nazione. Si tratta dell’affermazione della singolarità di ogni paese, realtà unica ed irripetibile, con un proprio territorio, una propria storia e una propria cultura. Nel caso di Russia e Stati Uniti il fatto è abbastanza paradossale. L’Unione Sovietica è un complesso miscuglio di culture e di nazionalità, che trova un unico fattore unificante nella fede marxista. L’internazionalismo proletario, cioè il concetto che esiste una solidarietà di classe che supera i confini nazionali, esplicito nel marxismo, è evidentemente una negazione del principio di nazionalità e fu una delle ragioni per cui l’Unione Sovietica fu vissuta, almeno fino al 1941, come un soggetto pericoloso all’interno del complesso internazionale, basato su stati nazione. Tuttavia, Stalin da un lato per assicurarsi l’alleanza con Inghilterra e Stati Uniti, dall’altro per richiamare lo spirito di resistenza nazionale, quale arma psicologica per la guerra contro la Germania, si sforzò di mettere in ombra questa idea (scioglimento del Komintern), anche perché essa rischiava di alimentare posizioni ideologiche molto vicine a quelle Trozkiste della rivoluzione mondiale. In America l’idea di nazione ebbe ancora meno radicamento. L’America è un enorme “melting pot” di differenti culture, nasce come insieme di stati e fino alla fine della guerra di secessione, l’unitarietà del paese è molto discussa. Le due diverse visioni di nazione di Jefferson ed Hamilton, un’espressione del mondo agricolo della Virginia (sudista) e l’altro di quello delle città industriali degli stati della East Coast (nordista), si confrontarono a lungo fino appunto allo scontro militare della guerra civile. Tuttavia, rimase un concetto unificante del paese da un lato sulla base della visione religiosa dell’America investita di una missione nel mondo, un’idea molto profetica e che molto piaceva alla classe dirigente wasp e che fu trasferita nel contesto delle relazioni internazionali dal presidente Wilson con la pace di Versailles. Da un altro lato, in modo più pratico e materiale, a tenere insieme il paese c’è almeno da dopo la seconda guerra mondiale l’idea del “sogno americano”, gli Stati Uniti come paese delle opportunità e dove nessun sogno è impossibile, purché ci si impegni e si lavori.

L’idea di Stato dell’Unione Sovietica fu estremamente pervasiva, alimentata sia dalla concezione marxista, sia dalla cultura comunitaria russa. Lo stato era presente dappertutto, era il datore di lavoro, e controllava e dominava ogni aspetto della vita sociale ed economica, e questo in parte anche prima della rivoluzione. All’opposto la società americana ha un’idea di Stato come “male necessario”, e pone l’individuo e la sua libertà al centro del sistema politico del paese. Queste due concezioni in parte si avvicinarono in conseguenza della crisi del ’29 e delle politiche Keynesiane di Roosevelt, e conseguentemente alle necessità di mobilitazione e centralizzazione che il grande sforzo bellico impose agli Stati Uniti. La Guerra Fredda mantenne nei fatti questa forma di vicinanza, negli U.S.A. gli apparati militari e di sicurezza si gonfiarono a dismisura al punto da influire sullo sviluppo e sull’economia del paese con quello che fu chiamato il Keynesismo Militare. In mezzo a questi due soggetti ci fu l’Europa, patria della socialdemocrazia che è il grande compromesso fra l’idea socialista e quella liberale. Quest’ultima fu il mezzo attraverso cui l’Europa occidentale da un lato evitò l’affermarsi dei partiti comunisti e dall’altro dimostrò al mondo d’oltre cortina che esistesse un socialismo possibile senza le storture dell’autoritarismo sovietico.

Tra i protagonisti riconosciuti della Guerra Fredda, Stati Uniti ed Unione Sovietica, Lei ricorda anche un terzo protagonista, la Gran Bretagna: quale è stato il suo ruolo?
All’inizio della seconda guerra mondiale la Gran Bretagna era ancora una notevole potenza politica e militare, ma soprattutto aveva una “competenza” specifica nella politica internazionale attraverso il Foreign Office, una competenza fatta di conoscenze approfondite e di contatti in ogni ambiente nella sua area di influenza.

La Royal Navy dominava i mari del mondo e garantiva alla madrepatria di mantenere un ruolo dominate nel commercio e negli affari in tutto il mondo, la sterlina e la borsa di Londra assicuravano un ruolo chiave nella circolazione del denaro a livello globale. In fine la rete di agenti ed informatori dell’INTELLIGENCE SERVICE, era un formidabile strumento strategico. Si aggiunga ciò il fatto che a lungo, nel secondo dopo guerra, tramite il Commonwealth, la Gran Bretagna mantenne un controllo piuttosto stretto su paesi di grande importanza strategica come Canada, Australia e Nuova Zelanda ed una parte consistente delle isole caraibiche

Con la fine della seconda guerra mondiale ed il progressivo ritiro dall’Impero, culminato con le vicende del canale di Suez il ruolo diretto della Gran Bretagna si affievolì. Ma restavano quei pilastri da me appena citati che. Nella lotta sul terreno europeo con l’Unione Sovietica, gli Inglesi aveva una esperienza consolidata ed un competenza estremamente profonda, ebbero quindi un ruolo fondamentale che si rese visibile a volte anche in modo negativo, ad esempio con il caso, Philby, Burgess, McLeans, ma che garantì alla fazione occidentale alcuni brillanti risultati noti, come quello del colonnello del GRU Penkosvky che garantì agli alleati informazioni fondamentali, ad esempio per avere la meglio sull’unione sovietica nella vicenda dei missili di Cuba. I servizi inglesi e quelli americani collaborarono molto strettamente, sia sul terreno dell’Humint, che su quello degli altri tipi di spionaggio. Tuttavia, gli Inglesi mantennero notevoli autonomie d’azione spesso con buoni risultati. Va aggiunto che gli inglesi erano gli unici europei, almeno fino agli anni 60, che disponessero di armi nucleari sotto il proprio controllo, inoltre una componente chiave dell’esercito britannico era schierata in Germania, la BAOR, British Army of the Rhine, la cui formazione principale era il I Corpo d’armata Britannico, che insieme a forze Tedesche, Olandesi e Belghe, avrebbe dovuto difendere la Bassa Sassonia, dove si trovava il Varco di Fulda, punto strategico attraverso cui avrebbero dovuto passare le forze sovietiche in caso di invasione. Gli Inglesi erano anche componente chiave dell’accordo UKUSA, cioè il sistema mondiale di controllo delle comunicazioni, di cui facevano parte tutti i paesi anglosassoni ed anche qualche altro alleato della NATO, meglio conosciuto al pubblico come Echelon.

In che senso la Germania è stata protagonista involontaria della Guerra Fredda, giocando un ruolo chiave nella sua evoluzione finale?
In un certo senso credo che si possa dire che la causa della guerra fredda è la Germania. Consentitemi una metafora: la Germania per la Guerra Fredda è come Elena per la guerra di Troia. La ragione profonda di quell’antico conflitto che pare ci sia stato veramente, è il dominio degli stretti che immettono al Mar Nero, cioè il controllo del traffico commerciale nel Mediterraneo orientale, Elena è la scusa. La Germania alla fine della seconda guerra mondiale non esiste più in quanto entità politica. Ma sul suo destino fin dalla conferenza di Potsdam, ci sono opinioni differenti, non tanto sulla sua ripartizione in zone di controllo, ma sugli aspetti economici, cioè ammontare dei danni di guerra. Stalin, che nella guerra ha, diciamo “investito” venti milioni di morti, spera di ricavare il più possibile da una nazione che, pur se completamente distrutta, dispone sempre di grandi risorse economiche ed industriali, anche perché le estese distruzioni nella parte occidentale del paese non sono riuscite a cancellare se non una frazione del potenziale industriale, che grazie al geniale ministro degli armamenti Albert Speer, sono stati decentrati e messi in rifugi sotterranei. Non solo la Ruhr e la Saar dispongono ancora di immense riserve di ferro e di carbone. Per Stalin mettere le mani sulle risorse tedesche significa riuscire a portare l’Unione Sovietica a quel livello di sviluppo industriale che gli permetterebbe, secondo il dittatore sovietico, di essere una grande potenza, al sicuro di ogni attacco capitalista e pronta a conseguire il risultato dell’affermazione del Socialismo, che è la ragione di vita dei Stalin e del PCUS. Dall’altro lato ci sono gli alleati, l’Inghilterra non è militarmente ed economicamente in grado di avere un ruolo preponderante nelle decisioni, tuttavia, l’opinione di Churchill, al momento non più primo ministro, conta molto per il nuovo presidente americano Harry Truman. La Francia non conta nulla, ed è riconosciuta quale “potenza vincitrice” solo grazie alla “benevolenza” di Stalin e alla volontà di Winston Churchill. Poi ci sono gli Stati Uniti, i vincitori economici del conflitto. Alla fine, la decisione sulla ripartizione dei risarcimenti è che ogni occupante, nella sua area faccia un po’ come gli pare. A Stalin questo non va molto giù, visto che la sua area di occupazione non è quella con maggiori risorse. Negli anni che seguono la guerra gli ex alleati si continuano a confrontare sulla questione tedesca. Ma, per essere brevi, gli occidentali, giungono alla conclusione che se la Germania non torna ad essere a tutti gli effetti una entità politica in grado di esercitare una propria sovranità e di produrre risorse economiche e di consumarne, il mondo non uscirà dalla stagnazione in cui le distruzioni del conflitto lo hanno indotto. In particolare, Truman, che ha capito che l’Europa, se riportata in vita, è l’unico mercato in grado di assorbire l’enorme surplus industriale degli Stati Uniti, e di evitare a questi ultimi un secondo e più drammatico ’29, inizia a compiere una serie di passi per che culminarono con il piano Marshall, con la restituzione della sovranità monetaria seguita da quella politica, che portò l’Unione Sovietica da prima a blocco della parte di occupazione alleata di Berlino, e poi al riconoscimento di una Germania a regime socialista, nella propria area di controllo. Tale posizione si completò con la creazione del muro di Berlino, voluto principalmente dal partito comunista della Germania Orientale, per arrestare l’emorragia di popolazione verso la zona “libera”. I governi della Germania Occidentale non si rassegnarono mai all’idea di una Germania divisa in due, non solo mantennero relazioni più o meno aperte con la parte comunista, ma furono i principali finanziatori dell’economia dell’Europa dell’Est, grazie allo strapotere finanziario del Marco Tedesco. Ciò avvenne avviando un nuovo corso nella politica estera da parte del cancelliere Willy Brandt (1969-74) con l’intento di superare la contrapposizione con i Paesi del Patto di Varsavia, cioè il blocco comunista, col proposito di abbandonare le pregiudiziali e gli schematismi della guerra fredda e ottenere la normalizzazione dei rapporti con l’URSS e gli Stati comunisti dell’Europa orientale. Le tappe più importanti dell’Ostpolitik sono state: il trattato di “non aggressione” con l’Unione Sovietica (Mosca, 12 agosto 1970); il Trattato di Varsavia (7 dicembre 1970) che ha sancito il riconoscimento dei confini dell’Oder-Neisse come confine occidentale della Polonia; il “trattato fondamentale” con la Repubblica Democratica Tedesca (maggio 1973), e infine, il Trattato con la Cecoslovacchia (20 giugno 1973) con cui è stato ufficialmente abrogato il Patto di Monaco (imposto da Hitler nel 1938). La diplomazia tedesca si mosse anche attraverso un canale segreto, che faceva riferimento al ministro degli esteri Egon Bahr e al giornalista russo Valeri Ledvev, iniziò con Breznev e proseguì con i successivi segretari del PCUS, ed i successivi cancellieri del RFT, non è da escludere che Gorbachov e Shevarnadze collaborarono molto strettamente a questo canale.

In che modo la rivoluzione atomica ha influito sulle strategie della Guerra Fredda?
La guerra è una forma di relazione politica basata sulla violenza, ma presuppone che il soggetto vincitore sopravviva e sia in grado di sfruttare i vantaggi di tale vittoria, è evidente che la distruzione reciproca non può essere accettata dalle parti contendenti. Quando entrambe le parti dispongono di armi di distruzione di massa il loro utilizzo dal campo di battaglia si sposta nel campo della minaccia potenziale. La guerra fredda fu tale proprio per questo motivo, Unione Sovietica e Stati Uniti potevano distruggersi reciprocamente e distruggere anche la vita sul pianeta, il confronto si spostò su altri campi: quello della sfida tecnologica; quello della propaganda; quello della guerra segreta: quello della guerra economica; quello della guerra per interposto soggetto, cioè condotta attraverso nazioni alleate, ma non coinvolte nell’alleanza al punto di costringere le due grandi potenze allo scontro diretto. Lo scontro tecnologico riguardava lo sviluppo di armi sempre più sofisticate e potenti. La gara per la potenza si fermò quando i Sovietici sperimentarono una bomba all’idrogeno da 50 megaton, la Zar, che provocò tali danni, anche a distanze ragguardevoli, da convincere Chruščëv a rinunciare allo sviluppo di tali ordigni, di fatto suicidi. Lo scontro diretto si spostò sul piano del confronto diplomatico e delle trattative per il disarmo nucleare. Un secondo effetto delle armi nucleari fu che i paesi dell’Europa, che sarebbero state le prime vittime di una guerra atomica, spinsero sempre di più perché le tensioni trai due blocchi si attenuassero (vedasi Ostpolitik). Il confronto tecnologico si spostò in parte nel campo della corsa allo spazio, giungendo alla conquista della Luna da parte degli americani. Ma continuò anche nel campo dei missili, con fasi particolarmente acute, ad esempio nel periodo del confronto sulle armi di teatro (SS-20 ed euromissili). La guerra segreta ebbe uno sviluppo enorme, ma di essa parlerò nella prossima risposta. I conflitti indiretti furono numerosi e spesso estremamente sanguinosi, alcuni si protrassero molto a lungo, ed in qualche caso coinvolsero anche forze armate dei due paesi leader del blocco, che tuttavia si guardarono bene da venire ad un confronto diretto. In alcuni casi diedero all’ONU ed al Consiglio di Sicurezza, un ruolo chiave, quali terreno di incontro tra le parti sotto la tutela delle potenze dominanti, che garantivano attraverso il diritto di veto che nessuna decisione fosse squilibrata a vantaggio di una delle due parti, come avvenne nel caso dell’invasione della Corea, quando I sovietici si erano ritirati dal consiglio di sicurezza, lasciando che passasse la mozione di censura e di intervento militare dell’Onu contro la Corea del Nord. La guerra economica ebbe vari aspetti, non secondario quello della forzatura della scelta tra “burro e cannoni”, cioè della necessità di decidere dove investire le risorse nazionali nel confronto militare e politico, o scegliere la distensione e investire nella crescita dell’economia all’interno. In parte questo tipo di confronto ebbe esiti favorevoli alla parte occidentale in quella fase che venne chiamata delle “Guerre Stellari”, tuttavia è totalmente falso che fu grazie a queste che si ebbe il crollo dell’Unione Sovietica.

Che ruolo hanno avuto i servizi d’intelligence nel confronto tra Est e Ovest?
Come ho detto il confronto fra i servizi di intelligence fu fondamentale. Essi si mossero in maniere diverse a secondo dei campi in cui si scontrarono e delle fasi del confronto generale fra le due nazioni. Nella fase iniziale del conflitto i servizi occidentali, essenzialmente quelli americani ed inglesi e in parte tedeschi combatterono una “guerra offensiva” tentando di suscitare rivolte nei paesi del blocco comunista e nella Russia stessa. I russi non avevano bisogno di questo perché in un certo senso potevano contare sui partiti comunisti, nei paesi occidentale, e sui movimenti anticolonialisti nei paesi coloniali, movimenti che essi sostennero in modo spesso imponente, fino a giungere a veri e propri interventi militari, diretti (Etiopia) o indiretti (Angola tramite i Cubani). Accanto a questo ci fu il confronto per la raccolta delle informazioni, conoscere il livello tecnologico e gli orientamenti politico strategici delle parti era fondamentale per condurre il gioco diplomatico tra le due parti, ed anche per definire i piani di sviluppo degli armamenti tecnologici. Mentre i Sovietici ed i Pesi del Patto di Varsavia, soprattutto la Germania Orientale, usarono più o meno sempre le tradizionali armi della Humint: corruzione, trappole al miele (ricatto sessuale), in occidente a muoversi sul versante Humint furono gli inglesi, anche con notevoli successi. Gli americani investirono moltissimo nella Elint, Sigint e nella ricognizione aerea. Furono costituiti apparati burocratici specifici, come la NSA (National Security Agency) e l’NRO (National Reconnaisance Office), questo condusse alla realizzazione di tecnologie estremamente avanzate nel settore dei satelliti, della fotografia, dell’aeronautica, quest’ultima ebbe e ancora oggi ha il suo centro di sviluppo nella cosiddetta AREA 51 in Nevada. A fianco a quelli principali come la Cia e l’NSA appunto crebbero altri servizi collegato a differenti ministeri ed agenzie governative, fino ad una vera e propria superfetazione burocratica, con il sorgere anche di organismi non facilmente controllabili. In Unione Sovietica i servizi rimasero sempre fortemente centralizzati, il KGB quello civile e il GRU quello militare. Tuttavia, la loro presenza nella società fu sempre e sempre più penetrante, così come accadde nella Germania Orientale con la Stasi. Nella fase della distensione lo spionaggio del blocco sovietico si polarizzò su due fronti, l’acquisizione di tecnologie, non solo militari, in occidente e il controllo delle opposizioni interne. Una parte non molto conosciuta del lavoro dei servizi segreti è quella delle interferenze politiche nei paesi alleati volte ad evitare l’avvento di regimi sgraditi alla potenza leader. Il lavoro della Cia in Sud America è abbastanza noto, grazie ad una serie di libri di transfughi che rinnegarono le scelte imperialiste del loro paese. In Europa ci fu certamente una presenza occulta ed invadente dei servizi americani ed inglesi e forse anche francesi e tedeschi, e certamente di quelli sovietici (magari tramite bulgari ed ungheresi) ed israeliani in Italia. Se ne sa molto poco, se non attraverso fonti di difficile certificazione, ma di sicuro i servizi italiani furono sempre fortemente subordinati a quelli americani e probabilmente inglesi, ed è difficile pensare che nel periodo della “strategia della tensione” non vi fossero interferenze anche pesanti da parte di servizi stranieri. Il tema del lavoro dei servizi durante la guerra fredda da solo merita ed ha meritato intere biblioteche, l’importante è separare la verità dalle bufale, più o meno grandi, cosa veramente difficile in questo campo.

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