
Trama e recensione
Giulia ha ventiquattro anni, è una ragazza insicura e timorosa che con grandi sacrifici è riuscita a laurearsi. Alle spalle ha una famiglia algida che non l’ha supportata durante gli studi, privandola di quel necessario sostegno emotivo di cui un figlio avrebbe bisogno.
Grazie all’aiuto di un vecchio professore, riesce a “fuggire” dal viterbese e a stabilirsi a Roma, in quella che per molto tempo è stata la casa di Teresa. Le priorità della ragazza sono chiare sin dall’inizio: trovare una stabilità economica e non legarsi sentimentalmente a nessuno.
Fidarsi equivale inevitabilmente a soffrire, perché ogni legame è destinato a sciogliersi. Questo le dice la sua breve esperienza e non sembra disposta a cambiare idea, almeno finché non trova il diario della proprietaria.
Teresa invece è una donna tenace e resiliente, la cui forza però non le è stata donata in un giorno di fortuna; anni ricchi di sfide, avversità e dolori hanno trasformato quella ragazza timida in una persona capace di affrontare la vita a viso aperto, senza risparmiarsi, pur alle volte dovendosi arrendere al corso imprevedibile degli eventi.
Giulia, che non è disposta a legarsi a nessuno proprio per la mancanza d’affetto della sua famiglia, trova conforto nel diario, oltreché una guida ideale in Teresa.
Inizialmente incuriosita dalla misteriosa figura della proprietaria, Giulia – come il lettore – si appassiona alle vicende raccontate nel diario: dall’infanzia frugale delle origini, ai grandi progetti dell’età adulta, attraversando la malattia e spinose questioni familiari.
Il romanzo pone indirettamente una riflessione sull’importanza dei libri e delle parole, capaci di sopportare il tempo meglio di qualunque altra cosa, senza smarrire il proprio intrinseco valore. L’espediente del ritrovamento del diario in questo senso è simbolico: dimenticato in un cassetto dalla proprietaria, si rivela fondamentale nella crescita di un’altra persona, riuscendo a mettere in comunicazione due generazioni apparentemente inconciliabili.
In questa maniera, l’opera di Teresa Genova si pone come una celebrazione della scrittura, capace non solo di sublimare un’esistenza, ma paradossalmente di arricchire i lettori più dei diretti testimoni. L’esperienza difatti è fallace e capace di confondere, il racconto orale porta l’ingombro del narratore, tutte cose che non riguardano la parola scritta, essendo per natura libera da qualsiasi vincolo di proprietà o padronanza.
È ciò che accade alla storia di Giulia e del diario, dove per l’appunto la ragazza trova il modo di confrontarsi con la vita di una donna più grande di sé, nonché idealmente di aprirsi senza il timore di un giudizio o di uno sguardo sminuente. Riflettendo su sé stessa, al contempo ritrova timori simili ai suoi nella Teresa-giovane e quindi la speranza di poterli affrontare, di potere sconfiggere ogni paura.
Il diario è privo del giudizio dell’esperienza, o di qualsivoglia considerazione moralistica, non essendo scritto in forma di retrospettiva; in questo senso va lodata la capacità mimetica dell’autrice di calarsi non solo nella figura di una ventiquattrenne di provincia, ma anche nei vari stadi della vita di Teresa, dall’infanzia all’età della saggezza, pur conservando una certa freschezza nel riportare eventi profondamente diversi.
Lo stile diaristico e colloquiale della scrittura va a rafforzare quel meccanismo di immedesimazione in cui la stessa Giulia si imbatte, offrendo una lettura scorrevole ed emozionante.
Sapiente è anche l’alternanza con le vicende della ragazza, che non rimane mera spettatrice, ma è protagonista di un arco di trasformazione slegato da quello di Teresa. In questo modo l’autrice rende possibile lo sviluppo di due storie parallele e molto distanti tra loro: quella più profonda e riflessiva della proprietaria, costretta a dover sacrificare sé stessa per non distruggere la sua grande creazione – la scuola d’infanzia trilingue che ha fondato – e quella più leggera e dalle sfumature rosa della ragazza, impegnata in una lotta con il senso di inadeguatezza e di paura per il futuro.
Entrambe le donne devono fare i conti in qualche modo con la prigionia, metaforicamente parlando; se in Giulia è una gabbia mentale a frenare lo sviluppo di una relazione, a renderle impossibile qualsiasi apertura con “l’altro”, per Teresa si tratta invece di un vincolo fisico. La malattia la costringe a dovere riconsiderare i suoi obiettivi e desideri, l’immagine di sé, la propria posizione nel mondo, arrivando a metterne in discussione l’identità.
Ma come la lettura supera ogni barriera di diffidenza e di pregiudizio, permettendo alla ragazza di crescere attraverso il racconto accorato della donna e di riscoprire in sé stessa un coraggio inaspettato, la scrittura del diario permette alla proprietaria di rimuovere qualsiasi limite al proprio spirito e di comprendere appieno i pur dolorosi sacrifici – in un primo momento non compresi neppure da Giulia, fino al fatidico incontro tra le due.
In definitiva, senza mai porsi in maniera didascalica o pedagogica, Teresa Genova riflette sull’importanza del coraggio e dei legami, che possono rivelarsi persino funesti, eppure portano in nuce quel sapore di vita per cui è possibile guardare al passato e affermare di aver vissuto.
«Enrico ed io stiamo andando verso un’età che richiede sostegno, il nostro mondo è un mondo della memoria: credo che, alla fine, noi siamo quello che abbiamo pensato, ciò che abbiamo amato e compiuto, ma siamo anche i nostri ricordi, dei quali siamo rimasti i soli custodi. […] Già da allora mi proponevo di prepararmi a questo passaggio. Ora mi accorgo che ho raggiunto un distacco dal mondo che nessuno riesce a provare prima, e che me lo fa vivere in un modo meraviglioso. Nel ricordare, ritrovo me stessa, la mia identità… ritrovo i luoghi della mia infanzia e mi viene in mente l’immagine di una vita simile a una strada, dove la meta si sposta sempre in avanti, e quando credi di averla raggiunta non ti accorgi che non era quella che ti eri raffigurata.
La mia età mi dà la consapevolezza che il cammino non solo non è compiuto, ma che non avrò più il tempo di compierlo: dovrò rinunciare all’ultima tappa.
Tuttavia, la malinconia intesa come consapevolezza del non raggiunto è temperata dagli affetti che il tempo non ha consumato; per questo ho scritto un diario: per ripercorrere il mio cammino, per far affiorare quei ricordi, andandoli a scovare negli angoli più bui della memoria.»
Fernando Masaquilla
L’autrice
Teresa Genova è nata a Roma, attualmente vive fra l’Italia e gli Stati Uniti. Si diploma come maestra elementare ottenendo poi la specializzazione di educatrice professionale. Nel 1980 apre un nido e scuola dell’infanzia trilingue (italiano, francese e inglese) e successivamente laboratori di lingue, musica, arte, teatro e danza rivolti a bambini dai 6 ai 10 anni. Nel 1990 apre la seconda sede e nel 2000 registra il logo della sua scuola “La Maisonnette” avviando un progetto di franchising che rende possibile il moltiplicarsi delle scuole con il suo marchio e metodo educativo. Nel giugno 2011 viene pubblicato il libro “La Maisonnette. La scuola per l’infanzia di Teresa Genova” in occasione degli oltre 30 anni di attività. Il suo interesse principale è la sua famiglia, a tal fine si è impegnata nella lettura di testi di pedagogia, psicologia allargando poi la sua curiosità a diversi generi narrativi, tanto poi da spingerla a creare un nuovo stile educativo applicato nelle sue scuole. Nel 2016 vende il marchio e le scuole e si dedica alle sue amate lettura e scrittura.