
Quali riflessioni sviluppò Eco nell’articolo apparso in due puntate il 5 e il 12 ottobre 1963 sul settimanale del Partito comunista, Rinascita e quali reazioni suscitò il suo intervento?
Come abbiamo scritto nel libro nell’intervento su Rinascita egli sottolineava due cose: in primo luogo come il cambiamento tecnologico mutasse la ‘filosofia’ con cui interpretare la realtà (facendo emergere la contraddizione di un uso spesso inadeguato della dicotomia marxiana struttura/sovrastruttura); in secondo luogo come la dialettica delle forme potesse svilupparsi separatamente dalla struttura economico-sociale ed interagire con essa influenzandola. L’intervento in realtà si apriva con un accenno alla cosiddetta ‘polemica sulle avanguardie’, che da qualche tempo animava il dibattito culturale anche a sinistra, polemica dietro la quale per Eco stavano questioni di natura più generale, visto che essa si era estesa in altre sedi oltre la stessa «Rinascita»: egli dice che «altrimenti non si spiegherebbe lo spiegamento di forze messo in atto da coloro che ritengono le neoavanguardie un infantile rimasticamento di antiche novità». Le questioni di fondo erano legate allo sviluppo del neocapitalismo e dell’industria culturale di massa, alle sue relazioni sempre più dense con la società e gli individui: tutte cose che mettevano in discussione «la nozione di uomo, di razionalità, di comunicazione, di rapporto tra cultura e società in un momento in cui la cultura assume forme inedite e apparentemente aberranti». Per Eco l’inadeguatezza di analisi da parte della cultura della sinistra, della quale egli si dichiarava partecipe, era evidente, puntualizzando che le sue note volevano «esprimere, dall’interno, una insoddisfazione circa il modo in cui» i problemi venivano affrontati. Insomma se «Marx – scriveva – ha elaborato la propria interpretazione della storia solo perché erano avvenuti alcuni fatti nuovi: ad esempio l’invenzione del telaio meccanico e della macchina a vapore», questa volta «l’avvento di fatti nuovi nel campo della tecnica, tali da mutare l’assetto della società e la posizione dell’uomo nel mondo, implica una rivoluzione filosofica, un’altra visione dell’uomo e dei valori». Perché in fondo se c’era una lezione del marxismo, era proprio questa. Secondo il nostro autore, poi, l’immagine dell’uomo fornitaci dall’umanesimo rinascimentale era «un’immagine che implica un concetto di cultura come privilegio di classe»: una «cultura meditativa», magari «basata sul consumo di emozioni raffinate» e «messa immediatamente in crisi non appena i suoi valori tipici diventino consumabili dalle masse». Non si spiegavano diversamente dunque sia le accuse di Adorno contro la musica riprodotta, sia le varie polemiche sui mezzi di massa. Il fatto nuovo rispetto al passato costituito dal motivo di musica classica fischiettato in bagno o un «Beethoven non più fruito da una élite ristretta in momenti privilegiati, ma da masse molto più grandi», comportava certamente un deterioramento dei valori di una cultura per privilegiati; la quale una volta a disposizione di una più larga platea poneva invece «il problema di nuovi valori fruitivi e delle loro modalità».
In che modo il lungo articolo dello scrittore anticipava l’Eco semiotico e il suo stile di lavoro futuro?
Benché la teoria semiotica di Eco abbia subito nel tempo – per sua stessa ammissione – qualche assestamento, è possibile comunque rinvenire nel saggio del 1963 un “nocciolo duro” che preannuncia senza dubbio il suo metodo. Innanzitutto Eco propone per lo studio dei fenomeni culturali un “primo tempo della ricerca” volto alla descrizione formale dei testi, alle loro leggi compositive, capace di condurre all’elaborazione di un “modello strutturale” quanto più approfondito possibile. In questa operazione raccomanda di porre attenzione nei testi analizzati alle regole di genere e di individuarne non solo il linguaggio specifico ma anche i travasi e i rimandi. Il passaggio successivo consisteva, una volta ridotti a modelli strutturali rigorosi i vari fenomeni culturali di un periodo, nel rilevare le similarità di struttura tra i vari modelli. Solo a questo punto, ritiene Eco, sarà possibile dare inizio ad analisi storiche più vaste. Tipicamente semiotici appaiono anche sia il gesto intellettuale, sulla scia del Barthes dei Miti d’oggi, di porre sullo stesso piano testi della cultura “alta” e “bassa”, e dunque l’attenzione inedita ai nuovi mezzi di comunicazione di massa con le rispettive specifiche modalità di comunicazione, sia la sottolineatura dell’importanza della dimensione della fruizione. Se la semiotica di Eco è una semiotica della cultura, già qui è evidente la capacità di cogliere la complessità e le interconnessioni dei fenomeni culturali; si pensi ad esempio all’invito a tenere d’occhio l’evoluzione delle forme artistiche, dei fenomeni di costume e delle visioni scientifiche. D’altronde già da Opera aperta si proponeva come storico dei modelli culturali. Fa presagire in maniera evidente, infine, il suo stile di lavoro, ad esempio, nell’apertura senza pregiudizi a metodi nuovi, dalla teoria dell’informazione all’antropologia al formalismo russo.
Il volume contiene inoltre cinque articoli di Umberto Eco: su quali argomenti vertono?
La collaborazione con il Corriere della Sera si apre il 24 marzo 1963 (e misteriosamente si conclude lo stesso anno) con la pubblicazione dell’articolo “La lezione morale di Brecht”, in occasione dell’imminente “prima” italiana a Milano del “Galileo” di Brecht, opera esemplare per comprendere il suo nuovo teatro. Eco spiega le caratteristiche del teatro epico brechtiano contrapposto al modello aristotelico, che metteva in gioco valori non discussi. La forza della lezione di Brecht consiste nell’ avere “coscienza della contraddittorietà delle situazioni” con il coraggio, poi, di “scegliere un momento della contraddizione”. Poi c’è “Un americano intelligente” (29 Giugno 1963) a proposito di Eric Larrabee, autore di un intervento nel recente convegno internazionale sul tema La nuova cultura europea: un dialogo transatlantico e del libro L’America si giudica da sé (pubblicato da Bompiani su indicazione di Eco). Eco apprezza dello studioso l’equilibrio e la bonomia con cui cerca di esaminare i problemi della cultura di massa, dal mito del benessere al jazz, dalle edizioni popolari ai dischi; si chiede, però, sino a che punto l’ottimismo si concilii con la lucidità dell’analisi e della consapevole valutazione dei problemi. L’articolo “Ma Superman a cosa serve?” (26 ottobre 1963) discute degli studi sociologico-critici sul fumetto in America raccolti nel volume The Funnies, appena pubblicato. Più in generale è l’occasione per riflettere sul fumetto che ritiene un fenomeno importante capace non di rado di raggiungere livelli alti e di svolgere un’azione di critica sociale. Si sofferma anche sui supereroi e in particolare su Superman, i cui poteri consentirebbero di abbattere montagne ma che preferisce “mettere nel sacco quattro scalzacani mascherati”.
Ancora, “Una via italiana al cabaret? La Canzone Nuova”, uscito su ‘Sipario’ nel 1963, passa in rassegna i rappresentanti della canzone “nuova”, che farebbero ben sperare per un auspicabile rinnovamento del panorama musicale popolare italiano e per la nascita di un nuovo teatro cabaret. Dedica particolare attenzione ad Amodei (Per i morti di Reggio Emilia è per Eco l’unica canzone di battaglia che possa stare alla pari con la Marsigliese) e ad Enzo Jannacci, di cui segnala lo “stile originale e inconfondibile che sfida ogni convenzione canora e recitativa, con una maestria della trascuratezza che è fuor di dubbio, altissima tecnica”. Mentre su ‘Quindici’, infine, egli interviene alla vigilia delle elezioni del 1968 insieme a Zorzoli per esprimere il suo voto al Psiup e spiegare perché.
Claudio Crapis (Lamezia 1961), Dirigente scolastico, si è laureato a Bologna in Lettere classiche con Umberto Eco con una tesi sulla semiotica di Cicerone e Quintiliano. Ha pubblicato articoli su riviste specializzate (Versus, Aufidus, Segni e comprensione, Carte semiotiche, Nuova Secondaria); curato la voce “Antichità” nel Dizionario della pubblicità, Zanichelli; insieme a G. Crapis ha pubblicato nel 2016 Umberto Eco e il Pci. Arte, cultura di massa e strutturalismo in un saggio dimenticato del 1963, Imprimatur,2016.
Giandomenico Crapis (Lamezia 1955) è medico, da tempo si occupa anche di storia della tv e della cultura di massa. Tra i suoi saggi La parola imprevista Ed.Lavoro (1999, sulla nascita della tv), Il frigorifero del cervello. Il Pci e la tv. Ed. Riuniti (2001), Politica e televisione negli anni ‘90, Meltemi, (2006), Enzo Biagi, lezioni di tv, RaiEri, (2015), Matteo Renzi dal pop al flop, Mimesis, (2019). Ha scritto per L’Unità e il Manifesto, attualmente è commentatore del Fatto quotidiano.