“Umanistica digitale” di Andrea Capaccioni

Umanistica digitale, Andrea CapaccioniUmanistica digitale. Tra transizione tecnologica e tradizione
di Andrea Capaccioni
Maggioli

«Il termine “umanistica digitale” (digital humanities) non significa niente. Può apparire inconsueto, se non azzardato, iniziare un libro che intende proporsi come una introduzione allo studio dell’umanistica digitale con una simile affermazione, anche se è tratta da un’intervista a Franco Moretti, uno dei più apprezzati studiosi in quel campo di studi.

La scelta non vuol essere provocatoria, ma far presente, fin da subito, che l’umanistica digitale è un campo di studi in fermento. Al suo interno si dibatte vivacemente anche sul nome della disciplina e ciò equivale a mettere in discussione il suo stesso oggetto di studio, ovvero ciò di cui essa si occupa.

In una prima fase, a partire dalla seconda guerra mondiale, si era diffusa l’espressione “informatica umanistica” (humanities computing), poi sostituita nel primo decennio di questo secolo da umanistica digitale. Anche quest’ultima, come abbiamo visto, sembra non convincere alcuni studiosi. Franco Moretti, ripensando al suo lavoro di critico letterario, trova più corretto ricorrere a computational criticism (critica computazionale). Un termine che descriverebbe meglio il tentativo della disciplina di “ridefinire” la letteratura mettendo “in primo piano quei tratti che possono essere più facilmente astratti, e quindi programmati”, cioè elaborati da un computer. Jeffrey Schnapp preferisce invece l’etichetta knowledge design (progettazione del sapere) in quanto più rappresentativa di un campo di studi il cui scopo è esplorare le “forme potenziali che il sapere può assumere” in una realtà caratterizzata dallo stretto rapporto “fra il mondo analogico e quello digitale”. Anche la traduzione italiana di digital humanities in umanistica digitale contribuisce ad accrescere una generale sensazione di confusione operando una trasformazione dell’aggettivo “umanistico” in sostantivo, in un modo che ancora non è stato registrato dai dizionari.

Le discussioni “nominalistiche”, di cui abbiamo fornito solo un primo ragguaglio, ci aiutano a comprendere le incertezze che caratterizzano quest’area di studi e spiegano il perché l’espressione “umanistica digitale” sia oggi diventata un “termine-ombrello” (umbrella term) che raccoglie un gran numero di temi, metodi e pratiche che hanno a che fare con la cultura umanistica nel suo rapporto con le tecnologie. Un rapporto che non va considerato “una novità totale”, come scrive Moretti riferendosi a un passato prossimo. Le osservazioni di Walter Ong ci invitano invece a volgere lo sguardo ancora più indietro. Secondo l’autore di Oralità e scrittura, infatti, il primo incontro tra la “parola” (la comunicazione orale) e la tecnologia è avvenuto con la scrittura. La scrittura stessa è una tecnologia che incrementa le potenzialità della parola. Successivamente sono arrivati la stampa e il computer che hanno proseguito nella missione di “tecnologizzare la parola”.

Sotto diversi aspetti, aggiunge Ong, è la scrittura e non il computer la tecnologia che ha provocato la rivoluzione più dirompente. Per mezzo di essa l’uomo ha trasformato radicalmente le proprie abitudini comunicative, prevalentemente basate sul suono: nelle società orali si può comunicare quasi esclusivamente attraverso la parola parlata. Con la scrittura invece le parole vengono inserite, grazie ad appositi strumenti (penna, macchina da scrivere, pc), all’interno di uno “spazio” (pergamena, foglio di carta, e-text) che ne incrementa l’efficacia. La scrittura, infatti, garantisce alla parola se non l’immortalità per lo meno una lunga permanenza nel tempo, anche in assenza del suo creatore, mentre la comunicazione orale può avvenire solo nel “presente immediato e vivo”. […]

L’idea di questo libro nasce in un’aula universitaria, nel corso dell’insegnamento di Umanistica digitale […]. Lezione dopo lezione, ci è apparso sempre più evidente che l’attività didattica si sarebbe dovuta concentrare sull’incontro tra la rivoluzione digitale e il mondo umanistico. I cambiamenti che ne sono derivati hanno contribuito a generare una nuova cultura caratterizzata da pratiche e modi di pensare inediti. […]

Il passo successivo è consistito nel constatare che l’Informatica umanistica, intesa come disciplina universitaria, non riusciva a rispondere a queste esigenze didattiche. L’Informatica umanistica, è bene ricordarlo, vanta una presenza pluriennale nelle università italiane e propone ancora oggi un valido modo di affrontare le tematiche che più ci interessano. Questa disciplina non si limita a studiare l’applicazione dell’informatica alle “belle lettere”, all’arte e più in generale ai beni culturali, ma intende stimolare il “ricercatore umanista” a un “nuovo modo di considerare i problemi” per mezzo degli strumenti “attraenti” e spesso “misteriosi” che l’informatica gli mette a disposizione. […]

Il libro è suddiviso in otto capitoli. Si inizia con una Breve introduzione alle discipline umanistiche che illustra, soffermandosi su alcuni tratti salienti, come le discipline hanno favorito una più ordinata gestione del sapere e, al tempo stesso, hanno garantito a scienze molto diverse tra loro di mantenere la propria specificità. In età contemporanea è poi emersa l’esigenza di individuare due grandi aree: umanistica e scientifica. Si è cominciato così a parlare di “due culture”, secondo la nota espressione di Charles Percy Snow (1905-1980), con caratteristiche diverse e in competizione tra di loro. Nel paragrafo finale vengono proposte alcune riflessioni sul futuro delle discipline umanistiche il cui declino è spesso motivo di dibattiti negli ultimi tempi.

Il secondo capitolo, La dimensione digitale, si fonda sul seguente presupposto: per affrontare le trasformazioni a cui è sottoposto il mondo umanistico si deve conoscere, almeno nelle sue dinamiche fondamentali, la “rivoluzione digitale”. Una rivoluzione non soltanto tecnologica, ma soprattutto culturale e sociale, le cui conseguenze possiamo riscontrare nella vita di tutti i giorni. Alla realtà “analogica” che conosciamo da sempre si sta affiancando una condizione che possiamo chiamare “dimensione digitale”. Una dimensione generata dal computer e resa fruibile grazie a Internet, all’interno della quale si possono sviluppare alcune attività note (comunicare, studiare, giocare, ecc.) in una modalità che è stata definita “smart” (intelligente).

Il terzo capitolo, L’umanistica digitale. Che cos’è, di cosa si occupa, offre una “mappa” per potersi orientare all’interno di quella eterogenea area di studi. I primi due paragrafi sono dedicati al racconto della nascita e degli sviluppi dell’umanistica digitale, seguiti in particolare attraverso l’evoluzione del suo nome. Agli inizi, siamo alla fine della seconda guerra mondiale, troviamo alcuni studiosi di area umanistica che si occupano di informatica: sono dei pionieri, a volte considerati dei visionari, che lavorano prevalentemente in modo isolato. Dopo qualche anno si cominciano a fissare i confini di una nuova area di studio che viene chiamata informatica umanistica (humanities computing). Una denominazione che, con diverse varianti e molte incertezze, resiste fino alla fine del secolo scorso, poi cominciano ad arrivare i primi segnali di cambiamento. Dal mondo anglosassone, a seguito della potente spinta innovativa esercitata dal Web, si comincia a diffondere, agli inizi del secolo attuale, una nuova sensibilità che prende il nome di umanistica digitale (digital humanities). Il capitolo prosegue mettendo a confronto i due approcci alla ricerca dei tratti peculiari e degli aspetti comuni e si conclude proponendo delle riflessioni su alcune questioni legate allo sviluppo e alla diffusione dell’umanistica digitale.

Il quarto capitolo, intitolato Macchine e humanities. Alcuni aspetti storici, torna sulla storia della disciplina, e su alcuni suoi protagonisti, proponendo anche una basilare suddivisione in periodi.

Il quinto capitolo (La biblioteca digitale: una introduzione) offre una sintesi delle principali questioni che riguardano le biblioteche digitali. In questa parte si può trovare una breve ricostruzione del contesto storico in cui il fenomeno è nato e si è sviluppato, l’analisi delle principali definizioni di biblioteca digitale e l’esame di alcuni aspetti tecnico-pratici.

Il sesto capitolo (Digital scholarship: studiare e fare ricerca in ambiente digitale) ci mostra come stanno cambiando alcune pratiche relative allo studio e alla ricerca in ambito universitario nell’era di Internet. In particolare, vengono fornite informazioni sul funzionamento dei cataloghi elettronici delle biblioteche (OPAC) e delle banche dati bibliografiche, strumenti che continuano a svolgere un ruolo rilevante anche nell’era digitale. Il capitolo si occupa anche dell’accesso aperto (Open Access), una modalità di diffusione di articoli e libri scientifici che da alcuni anni sta contribuendo a trasformare la comunicazione accademica.

Il settimo capitolo (Le mostre virtuali online) affronta i principali aspetti organizzativi di una delle modalità più utilizzate dalle istituzioni culturali (archivi, biblioteche, musei) per rendere disponibili in Rete i loro contenuti culturali: le mostre virtuali online.

L’ottavo e ultimo capitolo (Esercitarsi con l’umanistica digitale) fornisce alcune indicazioni, basate su esperienze svolte in università, per la realizzazione di attività didattiche per l’acquisizione di competenze nell’ambito dell’umanistica digitale.»

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