“Umanesimo e umanesimi. Saggio introduttivo alla storiografia di Eugenio Garin” di Stefania Zanardi

Prof.ssa Stefania Zanardi, Lei è autrice del libro Umanesimo e umanesimi. Saggio introduttivo alla storiografia di Eugenio Garin edito da FrancoAngeli: quale importanza rivestono gli studi sulla cultura umanistica e rinascimentale di Eugenio Garin?
Umanesimo e umanesimi. Saggio introduttivo alla storiografia di Eugenio Garin, Stefania ZanardiL’Umanesimo come concetto o categoria dello spirito umano ha ricevuto da Eugenio Garin una trattazione che non è esagerato definire magistrale. Nel secolo XX nessuno storico ha affrontato come Garin, con tanta competenza e con tanta finezza, le declinazioni del tema degli studia humanitatis. Egli ha testimoniato della rilevanza della rivendicazione umanistica in un momento storico, tra le due guerre, di oblio dei valori che gli uomini del Quattrocento avevano esaltato. Di fronte al razzismo come ideologia dominante di parte degli anni Trenta del Novecento, e in presenza di teorie biologistiche e attivistiche come riferimenti all’antropologia, furono grandi studiosi del mondo laico italiano che lanciarono un messaggio: non sarebbe male ritornare al valore perenne degli studia humanitatis, non tanto per rinvigorire riferimenti retorici, eloquenti, privi della forza conquistatrice della tecnica e dell’alta ricerca scientifica, quanto per affermare che non possono essere risolutive solo la forza delle armi, o la mera tecnologia pura, o il riduzionismo scientistico. In questo momento preciso, anno 2020, avviene che non si possono più dominare gli eventi umani senza il ricorso a una raffinata tecnologia comunicativa, e che la nozione di umano e di umanistico sembra essere scivolata nel generico, nell’inattuale. Si parla di umanità e di uomo in termini sempre più biologistici e materiali, esclusivamente medici e riduzionistici con il richiamo alle tecniche tanto psicologiche quanto relative al funzionamento del cervello. L’uomo fisico, l’uomo sociale, sono visti in dimensioni sempre più sofisticate, ma spesso limitate. Occorrerebbe riandare ai valori della cultura laica italiana della metà del Novecento, che intese rilanciare un umanesimo non esistenziale, ma civile, non retorico, ma di consapevolezza razionale e insieme comunitaria; occorrerebbe ridare forza a concetti che, per vari motivi, si sono usurati. L’oblio delle lingue classiche, il ripiegarsi della ricerca filologica su pochi capisaldi, il declinare degli studi universitari specialistici in ambito storico, il concentrarsi dell’attenzione culturale sull’analisi del linguaggio in senso del tutto avulso dell’uomo, sono tutti fenomeni che ci turbano. Non si sa che fare, e soprattutto si è tentati a lasciare sopravvivere lo studio dell’umanesimo e degli umanesimi entro nicchie raffinate, non essendo più possibile, pare, che il valore pedagogico dell’umanesimo attiri ancora. In questo contesto il richiamo ad un maestro di studi storici del calibro di Garin può rincuorarci: non è possibile non confrontarsi con tanti studi così raffinati e con tanto impegno per comprendere nel profondo le dimensioni più nobili dell’uomo. Protagonista indiscusso della cultura novecentesca Garin, con la sua nuova interpretazione dell’Umanesimo e del Rinascimento come incubatore della modernità, ha fornito e fornisce ancora oggi spunti interessanti di discussione e interpretazione sulla nostra identità culturale. Garin ha ottenuto il successo più notevole nell’esordio della sua carriera proprio nell’illustrazione della specificità culturale e filosofica dell’umanesimo italiano nei secoli XIV-XVI. Ha per parecchi decenni illustrato aspetti diversi del pensiero rinascimentale servendosi delle varie definizioni di humanae litterae e del significato vario e mutevole degli studia humanitatis. Ha infine accentrato il suo interesse sugli sviluppi degli elementi lasciati alla cultura europea dall’umanesimo rinascimentale, e si è lanciato nello studio di un umanesimo per molti aspetti diverso dal primo, quello che le società europee hanno iniziato a coltivare nel nome del riscatto sociale dell’individuo, in una dialettica di forze economiche e spirituali. Studioso del pensiero italiano nell’ambito dello sviluppo delle grandi opportunità offerte dal pensiero moderno alle nazioni europee più progredite nell’economia e nella politica, Garin ha percorso gli itinerari della filosofia rivolti a un’immagine di uomo trasformata dalla visione sociale, senza perdere mai di vista l’inesauribile mondo rinascimentale, anzi percorrendo altri sentieri di esso che lo collegano al mondo moderno e contemporaneo.

Quale percorso di sviluppo ha seguito la riflessione gariniana sull’Umanesimo?
Nel complesso l’evoluzione del pensiero gariniano sulla cultura umanistica e rinascimentale non segue un andamento lineare e costante: da un punto di partenza preciso, la tesi della continuità, passa a una fase di transito, la tesi della novità e discontinuità, per poi approdare a un punto di arrivo che se, da un lato, sintetizza molti spunti che Garin ha elaborato nel corso della sua intensa attività scientifica, dall’altro, conduce a una sorta di tramonto del concetto di Rinascimento assumendo quasi i connotati di una posizione antiumanistica. In realtà Garin ha sempre cercato di salvare il significato filosofico in senso pieno dell’intero movimento umanistico, opponendosi ai molti che limitavano la portata speculativa dell’Umanesimo. Egli ha giocato sul significato dell’umanesimo nella lunga durata e credo che abbia colto nel segno nell’individuare nella categoria dell’umanesimo la chiave di lettura di tutta la modernità e il punto di riferimento più profondo della stessa cultura italiana. In particolare, come ha messo in luce l’allievo Michele Ciliberto, nella prima fase del suo pensiero, collocabile tra la seconda metà degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta, Garin vedeva continuità tra Medioevo e Rinascimento, in accordo con la tesi formulata da Étienne Gilson di un «umanesimo medievale» che si evolve e continua all’interno di quello rinascimentale. Intorno agli anni Cinquanta (“stagione dell’umanesimo civile”) la prospettiva gariniana muta distaccandosi dalla tesi gilsoniana ponendo l’accento sulla novità e sulla frattura, laddove il problema dell’Umanesimo diventa, per Garin, il problema della connessione del Rinascimento con l’età moderna, o meglio, con la scienza moderna. In antitesi con Gilson, infatti, il Garin degli anni Cinquanta ritiene che il Medioevo abbia assimilato, inglobato l’antichità senza stabilire con essa una relazione di alterità. In questo senso l’Umanesimo è manifestazione unicamente riferibile al Rinascimento, cioè costituisce l’“avanguardia” del Rinascimento. Alla svolta degli anni Settanta, invece, Garin si discosta dall’Umanesimo civile che ha caratterizzato gran parte della sua produzione scientifica sul periodo rinascimentale, e volge lo sguardo verso tematiche connesse al “disincanto del mondo”, all’utopia, laddove il disincanto non implica mai ripiegamento e resa.

Quali diversi umanesimi sono stati formulati da Garin nella sua intensa attività scientifica?
Formatosi filosoficamente alla scuola fiorentina di Ludovico Limentani e Francesco De Sarlo, Garin nell’ultimo biennio universitario focalizza l’attenzione sulla filosofia inglese del Seicento e del Settecento. La sua tesi di laurea sui sermoni morali di Joseph Butler, discussa nel giugno del 1929 sotto la guida di Limentani, dà l’avvio a una serie di lavori storiografici sugli illuministi inglesi, i cui esiti confluiscono nel volume d’insieme uscito nel 1942 L’illuminismo inglese. I moralisti. Attraverso queste prime ricerche sul Seicento e Settecento inglese Garin giunge nei primi anni Trenta a studiare l’Umanesimo: in un certo qual modo sono stati i Platonici di Cambridge a condurlo alla lettura di Ficino e Pico. In particolare il cammino gariniano verso le ricerche sulla cultura umanistica e rinascimentale sia stato un cammino a ritroso dall’Illuminismo all’Umanesimo, laddove la monografia su Giovanni Pico della Mirandola del 1937 rappresenta il primo scritto gariniano sull’Umanesimo. In questo scritto la riflessione gariniana pone indirettamente l’accento sull’essenza religiosa del movimento umanistico. In particolare nella prima fase della sua intensa attività scientifica Garin sembra assumere una posizione spiritualistica, definibile nei termini di un «esistenzialismo religioso», in cui prevale l’elemento cristiano. In realtà Garin non è un pensatore che si richiama alla fede cristiana. Tuttavia sotto il profilo storiografico, nel primo quindicennio della sua attività di studioso dell’Umanesimo, attraverso l’approfondimento delle opere di esponenti dello spiritualismo francese, egli giunge alla convinzione che l’anima dell’Umanesimo sia nella sua essenza religiosa. La tematica della libertà umana, la celebrazione della pace religiosa e filosofica, l’esaltazione dei valori spirituali e la medesima tesi pichiana dell’uomo come libero e artefice del proprio destino prevalgono nei lavori di Garin sulla cultura umanistica e rinascimentale dalla metà degli anni Trenta fino alla seconda metà degli anni Quaranta, lavori che si situano entro il soprammenzionato “esistenzialismo religioso”, che lascerà spazio, intorno agli anni Cinquanta, al cosiddetto “umanesimo civile. Occorre chiarire che nel corso del suo percorso storiografico Garin non rinnega la matrice religiosa, cristiana dell’Umanesimo, ma, verso gli anni Cinquanta, egli si distacca progressivamente dall’elemento religioso e pone al centro della propria indagine sull’età umanistica e rinascimentale l’elemento civile, immanente. È opinione comune, suffragata anche dagli studi di Ciliberto e Claudio Cesa, che Garin sia stato attratto dalla lezione di Antonio Gramsci, la cui lettura delle Lettere dal carcere, pubblicate da Einaudi per la prima volta nel 1947, lo avrebbe affrancato dalla «tentazione religiosa» portandolo a elaborare una concezione della realtà terrena e mondana. Mi preme rammentare che Garin, dalla prima metà degli anni Cinquanta, in parallelo con gli studi sul Rinascimento, ha iniziato a focalizzare l’attenzione sulla cultura italiana del Novecento: ne sono un esempio le Cronache della filosofia italiana, del 1955. A scorrere gli studi che Garin ha dedicato al pensiero novecentesco soprattutto negli anni Settanta, si individua un’attenzione verso esponenti del materialismo storico come Antonio Labriola, nonché un esame delle discussioni del marxismo e l’evoluzione del socialismo nel nostro Paese, esame che sembra quasi sfociare nella teorizzazione dello sviluppo della cultura del popolo italiano verso un modello pedagogico di “umanesimo sociale”, ispirato a una filosofia sui generis dell’immanenza, scevra di dogmatismi, ma che fa i conti con il materialismo storico marxista. Questa sorta di “nuovo umanesimo”, si delinea dagli studi gariniani dedicati alla cultura novecentesca italiana, ivi comprese le edizioni di scritti labrioliani. Dagli studi del già citato Ciliberto si desume, invece, che la meditazione gariniana, alla «svolta» degli anni Settanta, si allontana dall’Umanesimo civile accostandosi a temi legati al carattere drammatico dell’età umanistica e rinascimentale caratterizzata da utopia e disincanto. Il mutamento del Rinascimento e dei suoi rapporti con il Medioevo nell’evoluzione dell’interpretazione gariniana sulla cultura umanistica e rinascimentale implica ovviamente il mutamento di problematiche ad esse connesse, quali la questione dell’ermetismo, della magia e astrologia, la questione del rapporto tra Rinascimento e rivoluzione scientifica. Come scrive Garin stesso nel 1989 in Umanisti, artisti, scienziati. Studi sul Rinascimento italiano: «D’altra parte senza idee ricerca storica non si fa, e se di quelle idee alcune si sono venute modificando per via, o sono cadute, altre si sono invece venute consolidando e articolando. Così l’immagine di circa tre secoli di cultura, soprattutto italiana, è venuta almeno in parte mutando, e alcune grandi figure, valga per tutte Leon Battista Alberti, hanno cambiato volto, nonostante ogni resistenza e l’affezione di taluni dotti alla conservazione dei luoghi comuni». E l’interesse per la figura di un pensatore “eclettico” come Leon Battista Alberti al contempo matematico, architetto, scienziato, artista, è dettato anche dall’insistenza di Garin di voler porre l’accento sull’unità della cultura che il movimento umanistico portava con sé, la stessa unità della cultura che ha rappresentato il filo conduttore della sua intensa attività quale studioso dell’età umanistica e rinascimentale.

Il Suo lavoro si focalizza sulle fonti delle ricerche di Garin e sull’ambito culturale in cui maturano le sue esperienze: quali evidenze ne ha tratto?
In questo mio lavoro ho cercato di verificare alcune modulazioni della nozione di Umanesimo nel pensiero contemporaneo, presentate nel periodo in cui Garin si è formato alla ricerca storica. Dapprima mi sono richiamata alle letture degli esponenti del pensiero cristiano a cui Garin fa riferimento, quali Gilson e Jacques Maritain per poi volgere lo sguardo all’indagine heideggeriana sull’umanesimo su cui Garin si è soffermato nel rilevante saggio ‘Quale umanesimo?’ pubblicato per la prima volta in francese nel 1968 e ripubblicato nel 2005 in italiano nel «Giornale critico della filosofia italiana». In questa prospettiva secondo Garin nell’analisi heideggeriana sono notevolmente semplificati sia la caratteristica peculiare del movimento umanistico-rinascimentale, sia il concetto dell’uomo in essa contenuta, né sono oggetto di approfondimento «le dimensioni di quell’antico, né le caratteristiche di quel rapporto con gli ‘altri’ in cui quell’umanesimo si costituisce». È, invece, messa in luce vigorosamente nella disamina heideggeriana la necessità di distinguere tra le tipologie di umanesimo. Si tratta di una distinzione fondata su differenti concezioni dell’uomo: da una parte un umanesimo nel quale «l’uomo si costituisce attraverso un riferimento ‘storico’ inteso come confronto culturale»; dall’altra «posizioni in cui nulla di simile è reperibile, in un discorso che verte su una ‘immutabile’ essenza o natura dell’uomo». Garin ribadisce che in tutte e due le tipologie di umanismo è implicita una «concezione generale, una ‘metafisica’, anche se discutibili appaiono le indicazioni heideggeriane in proposito». A suo giudizio, tuttavia, è delineato correttamente il tratto comune che contraddistingue gli umanesimi ‘storici’. Nel complesso, secondo Garin, il merito del testo della Lettera sull’umanismo (1947) di Martin Heidegger è duplice: aver evidenziato «l’usura del termine umanesimo»; aver mostrato limpidamente che la «distinzione fra umanesimo ‘storico’ (rinascimentale e post-rinascimentale) e umanesimi ‘teorici’» non può essere ridotta alla «distinzione fra non-filosofia e filosofia, fra posizioni speculative e istanze filologiche, storiche, pedagogiche o retoriche». In entrambi i casi si tratta di «concezioni dell’uomo e del suo ‘destino’: concezioni più o meno esplicitate, ma pur sempre ‘metafisiche’, non esaurite nelle loro istanze, sempre risorgenti in modi diversi, sempre ritornanti con termini ambigui». D’altro canto per Garin quella «chiarificazione, storica e concettuale insieme», che il testo di Heidegger suggerisce a prescindere dalle «posizioni teoretiche» heideggeriane, «non solo non seguì nelle discussioni posteriori, ma non fu incoraggiata dallo stesso linguaggio heideggeriano». Infine mi sono richiamata all’umanesimo ateo di Sartre e al suo scritto del 1946 L’existentialisme est un humanisme, cui pure Garin si riferisce in taluni suoi scritti. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra la riflessione gariniana e l’esistenzialismo in genere concordo con Ciliberto secondo cui Giovanni Pico della Mirandola rappresenta il tramite attraverso cui Garin si apre a questa corrente, sia pure optando per la prospettiva religiosa che caratterizza l’indagine sull’Umanesimo in particolare negli anni Trenta e Quaranta. È da notare che nel 1937, anno di pubblicazione della monografia gariniana su Pico, Sartre stava muovendo i primi passi verso la carriera di filosofo e quindi il suo nome non è presente negli scritti di Garin. Non bisogna però dimenticare che nel saggio del 1968 Garin fa riferimento al principio esistenzialistico sartriano secondo cui «l’esistenza precede l’essenza». Qui Garin confronta l’Umanesimo e la concezione sartriana richiamandosi alla tesi di Pico che afferma che «non c’è una natura umana, che l’uomo non ha una specie, che il suo destino è libero atto di scelta con cui decidere la sua essenza». Tale tesi viene sostenuta da Pico nel De hominis dignitate, un testo che viene definito da Garin come il «documento chiarissimo e tutt’altro che unico del ripudio di una natura umana che non sia conseguenza di una scelta: progetto e non destino». Nel complesso non ritengo si possano trarre da questo mio saggio introduttivo conclusioni univoche, che probabilmente Garin non avrebbe voluto dare, attento come era al dato storico, al suo accertamento e al dibattito variegato che esso era in grado di ispirare. Personalmente ho ritenuto utile, per il lettore, integrare le aggiunte e le correzioni apportate al fascicolo n. 2 del «Giornale critico della filosofia italiana» all’ultima edizione della Bibliografia degli scritti di Garin (Roma-Bari, Laterza 1999) e ricostruire gli interventi dedicati alle opere gariniane, in una “speciale” bibliografia aggiornata.

Stefania Zanardi dopo aver conseguito il Dottorato di ricerca in Filosofia è stata, per quattro anni consecutivi, assegnista di ricerca nell’Università di Genova, dove attualmente è professore a contratto nel corso di Laurea magistrale in Metodologie filosofiche. Nel 2018 ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale a professore associato in Storia della filosofia. Ha al suo attivo diversi studi in ambito storico-filosofico tra i quali: Dal carteggio tra Eugenio Garin e Delio Cantimori, «Rivista di storia della filosofia», LXVII, 2012, pp. 809-826; Note sui rapporti tra Eugenio Garin e Hans Baron, «Rivista di storia della filosofia», LXXIII, 2018, pp. 181-193; La filosofia di Antonio Rosmini di fronte alla Congregazione dell’Indice. 1850-1854, FrancoAngeli, Milano 2018.

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