
Invece il concetto di “omosessualità”, inteso nel modo in cui lo usiamo io e lei, è moderno, ha radici che risalgono al più al Settecento, ed oltre tutto non è l’unico nella nostra società: deve infatti contendere lo spazio culturale ad altri concetti che “spiegano” l’esistenza delle persone omosessuali in un modo o nell’altro (di solito, negativo). Si pensi per esempio al concetto di “ricchione” o “femmenella” esistente nel Sud Italia, che è alternativo al concetto di “omosessuale”, anche se oggi è in via di lenta fusione con esso. Ed è sempre stato così, in ogni secolo: il messaggio del mio libro è proprio che in nessun momento storico è mai esistito “un” concetto unico e condiviso da tutti di cosa sia l’omosessualità. Sbagliano quindi gli storici che ne parlano al singolare, come se fosse un concetto unico: “la omosessualità moderna” eccetera.
Se ci guardiamo attorno, vediamo che nella nostra società esistono persone che ritengono che i comportamenti omosessuali non configurino affatto un “orientamento” ma solo una sequela di errori che allontanano dall’unico orientamento sessuale concepibile, quello procreativo impostoci da Dio. Ma altrettanto vivace è pure la vecchia idea secondo cui le persone omosessuali costituirebbero una sorta di “terzo sesso”, un “sesso intermedio”, che si colloca tra quello maschile e quello femminile. L’enorme successo della “teoria queer” sta di fatto ridando vita a questa idea, che pensavamo fosse ormai quasi un relitto ottocentesco. Invece ormai se si parla di gay, si pensa sempre più spesso a transessuali e transgender, come se si trattasse di una realtà unica. La rivincita dell’ideologia del “terzo sesso”, appunto.
Ecco, siamo già a tre “narrazioni”, a tre spiegazioni di cosa sia l’omosessualità, tutte e tre presenti nella stessa società e nello stesso momento storico. E ne esistono altre ancora… Ebbene, anche nell’antichità succedeva la stessa cosa. Gli storici accademici contro cui io polemizzo nel mio libro ritengono che sia sufficiente riferire quello che dicevano le autorità ufficiali (preti, inquisitori eccetera), ossia i cosiddetti “discorsi del potere”, per sapere “cosa ne pensavano i nostri avi sull’omosessualità”. Io invece sono andato a caccia soprattutto degli “altri” modi di concepirla, perché sono quelli fra i quali si nascondono i punti di vista dei diretti interessati, che hanno cominciato prestissimo a protestare di “essere nati così”, e che per loro certi desideri non erano affatto “contro natura”, bensì secondo la “loro” natura.
Il suo racconto parte addirittura dalla Bibbia.
Perché “addirittura”? Volendo, avrebbe potuto partire dagli egizi, dai babilonesi e dagli ittiti, però il libro sarebbe diventato troppo tecnico per il grande pubblico, oltre che troppo voluminoso, quindi ho rinunciato a scrivere un capitolo su di loro. Ma da quando abbiamo attestazioni scritte, abbiamo anche attestazioni di comportamenti omosessuali nella razza umana.
L’idea che l’omosessualità sia una “invenzione” recente, mentre invece l’eterosessualità no in quanto “naturale”, è ideologica. L’omosessualità fa parte dell’eredità biologica della razza umana, esattamente come l’eterosessualità. È una “variante naturale del comportamento umano”, come la definisce l’OMS.
Quanto al partire dalla Bibbia, non poteva essere altrimenti, vista l’importanza che quest’antologia letteraria antica, purtroppo, continua ad avere sul dibattito contemporaneo. Ma per uno storico è comunque interessante osservare come chi scrisse quei testi avesse dell’omosessualità una concezione del tutto diversa da quella di noi contemporanei, ivi inclusi coloro che oggi citano la Bibbia come base per le loro ideologie. La condanna dell’omosessualità esiste sì nella Bibbia, ma non perché fosse ritenuta “contro natura”. L’idea di “contro natura” è infatti greca e pagana (il primo in assoluto ad usare questo concetto non è la Bibbia, bensì Platone nelle Leggi), ed era ignota agli autori della Bibbia. Il cristianesimo avrebbe assorbito questo concetto (tramite Paolo di Tarso, che era intriso di filosofia greca) da Platone e dagli Stoici, ossia dai pagani, non dalla Bibbia.
Ciò premesso, gli autori della Bibbia vedevano un pericolo nei rapporti omosessuali perché erano toebah, “contro la purità rituale”, allo stesso modo in cui lo erano i rapporti eterosessuali con una donna mestruata. Dico “allo stesso modo” perché la Bibbia usa gli stessi concetti per condannare entrambi i comportamenti, e addirittura propone la stessa pena – la morte – per chi se ne macchia.
Ebbene, tutti sanno che la Bibbia condanna certi comportamenti fra maschi, ma nessuno ricorda mai che condanna anche, alla pena di morte appunto, una quantità assai maggiore di comportamenti fra maschi e femmine. Dire che “la Bibbia condanna l’omosessualità” anziché “la Bibbia condanna i comportamenti ritualmente impuri” è quindi sbagliato, ed ho cercato di mostrare, come storico, quale differenza ciò faccia anche ai fini pratici. Semplicemente, gli autori della Bibbia ragionavano in termini di atti, non di orientamenti, quindi non potevano né condannare l’omosessualità né approvare l’eterosessualità, orientamento quest’ultimo che ai loro occhi poteva esprimersi anch’esso in modi altamente riprovevoli, socialmente pericolosi, nonché sgraditi alla divinità. Non pretendo di convincere nessuno coi miei documenti e ragionamenti, dato che i fanatismi detestano i fatti, tuttavia spero almeno di essere riuscito a ricordare, come già altri prima di me, che alla Bibbia si fanno dire montagne di cose che non ha mai detto, trascurando a bella posta le cose che invece ha detto per davvero… e che non sono gradite a chi la cita ad ogni piè sospinto. Io lo chiamo un “approccio da supermarket”: si entra nella Bibbia col carrello della spesa, si prende solo quello che piace, e il resto lo si lascia lì, come se non esistesse. Comodo!
Qual era il giudizio sull’omosessualità nel mondo grecoromano?
Diverso dal nostro, ovviamente. Gli antichi riconoscevano la pulsione omosessuale come pulsione naturale, come uno dei modi in cui poteva esprimersi “naturalmente” la sessualità umana, e ne parlavano come di un fatto della vita, con grande franchezza. Ma da qui a fare di loro, come spesso è stato fatto, una realtà in cui l’omosessualità era esaltata e portata alle stelle, ce ne corre. Proprio perché era un fatto della vita, come l’eterosessualità o le piene dei fiumi o gli incendi, l’omosessualità andava regolata, controllata, sorvegliata e se necessario punita. I nostri avi erano particolarmente turbati di come un atto sessuale potesse “togliere l’onore” a chi lo subisse, facendo un’eccezione solo per il matrimonio, l’unico contesto in cui una donna non venisse “disonorata” dal fatto di “subire” l’atto sessuale. Analogamente, anche un atto omosessuale disonorava chiunque lo subisse. E qui non c’era matrimonio che lo potesse salvare. Se si trattava di uno schiavo, il disonore non era importante, perché uno schiavo era un oggetto e non poteva avere onore. Al massimo il proprietario – e non sto scherzando – poteva chiedere un risarcimento per il danneggiamento d’un bene mobile. Ma se la vittima era un ragazzo libero, destinato a diventare un cittadino, allora le leggi erano severe, a volte anche spietate.
L’onore era il centro della considerazione sociale sia per una donna che per un uomo: portarlo via, con la violenza o anche solo con la seduzione, voleva dire condannare la vittima alla morte sociale. Lucrezia si suicida per lavare l’onta di avere subito uno stupro; per un ragazzo la logica non era diversa. Subire, ti macchiava per tutta la vita. Dunque le leggi greche proteggevano i ragazzi liberi contro l’ubris (parola che vuol dire sia “arroganza verso terzi”, sia “stupro”) e quelle romane contro lo stuprum, che per i romani poteva essere anche “consensuale”. Questo perché era la qualità dell’atto, non la volontà della persona, a qualificarlo come illecito. Esattamente come noi oggi consideriamo la pedofilia un reato anche se il bambino era consenziente: qui non conta la volontà, come nel rapporto fra adulti, bensì la tipologia dell’atto, che è proibito in quanto tale. Oltre a ciò, il disprezzo sociale per chi viveva l’omosessualità come scelta di vita, come “orientamento”, appunto, era implacabile. Le parole usate per definire queste persone (cinedi, pàtici…) erano insulti da scagliare contro i propri peggiori nemici, come sa chiunque abbia letto Catullo o Marziale. No, decisamente questo non era affatto un presunto “paradiso dei gay”.
Nel mio libro riassumo infine l’ormai ampia letteratura storica che mostra come la condanna dell’omosessualità presente nel cristianesimo abbia accolto e fatta propria, a iniziare dal linguaggio e dai concetti usati per veicolarla, questa ostilità sociale, che si era andata acuendo nei secoli in cui il cristianesimo s’è formato. Non è una tesi mia e non è una tesi nuova, ma è la tesi che ho visto confermare da tutti i documenti che ho letto, quindi l’ho fatta mia.
L’omofobia nacque in seguito all’avvento del Cristianesimo?
No, come ho appena detto preesisteva ad esso, sia pure in forme differenti, ed esiste oggi anche dove di cristianesimo non s’è mai sentito parlare. Il cristianesimo si limita a innestare due importantissime novità sull’omofobia preesistente.
Primo, laddove la filosofia grecoromana (specie Stoica) considerava sì l’attrazione omosessuale un dato della vita (al pari dell’attrazione eterosessuale) e i comportamenti omosessuali filosoficamente sbagliati, in quanto contro la razionalità del piano divino della Natura (nel quale il fine razionale del sesso è la procreazione), il cristianesimo nel fare sua tale visione delle cose stabilisce che anche l’attrazione omosessuale in quanto tale è sbagliata e inaccettabile, basandosi sulle condanne bibliche per giustificare il nuovo punto di vista. Con il cristianesimo, anche il puro desiderio omosessuale è sbagliato, in quanto ispirato non da un istinto animale interiore, sia pure “sregolato”, bensì dal diavolo, dall’esterno. Non c’è spazio per esso nel piano di Dio.
Secondo, col cristianesimo la morale non è più una scelta filosofica o politica individuale, come era stata nell’antichità classica, ma s’identifica col volere stesso di Dio, e quindi lega ed obbliga ogni singolo individuo nell’intera società. Qui resta ben poco da scegliere: puoi essere solo o con Dio o contro di lui. Ciò ha aperto la strada a persecuzioni efferate, laddove il mondo classico aveva sempre gestito le trasgressioni omosessuali come un problema di “ordine pubblico”, al pari della prostituzione, senza mai porsi l’obiettivo di sradicare dalla Terra fino all’ultimo “sodomita”. Il cristianesimo invece ci provò, perché il sodomita nega, per il fatto stesso di esistere, che la Natura sia ordinata secondo un immutabile piano di Dio, che è omnium naturarum conditor. Al sodomita va tolta la vita, perché la sua vita, il fatto stesso di esistere, dimostra che non esiste nessuno “piano di Dio” in cui tutto è preordinato e immutabile.
Quale destino subì l’omosessualità durante i secoli bui del Medioevo?
Il Medioevo dura mille anni, parlare di “un” destino è impossibile. A seconda del secolo, cambia il comportamento sociale: l’epoca carolingia non è il Rinascimento… È però importante ricordare che l’aspetto forse più noto della persecuzione dei sodomiti in questo periodo, la condanna a morte dei “sodomiti” per mezzo del rogo, fu un lascito dell’antichità classica ormai cristiana al mondo medioevale, con il Corpus iuris civilis e le Novellae di Giustiniano. Dopo il Mille, grosso modo nel periodo della cosiddetta “Riforma gregoriana”, in cui la società borghese (ossia dei Comuni) entra in urto con la morale cristiana fin lì gestita dall’aristocrazia feudale, giudicata troppo lassa, la grande scuola di giuristi di Bologna riscopre il Corpus iuris civilis, e lì dentro ci trova la condanna al rogo per i sodomiti. E crede di fare opera di restauro della gloria antica e della giusta morale riproponendo la pena del rogo come la più adeguata. Il sacro romano imperatore stesso, che si dichiara il legittimo erede dell’impero romano, si adegua al volere dei suoi “predecessori”.
Il primo rogo per sodomia è attestato nel 1266, a Basilea; da allora il costume si diffonde per tutta l’Europa (con l’eccezione delle isole britanniche, che hanno sempre fatto storia a sé, su questo punto). Solo nel Settecento e con la critica illuministica questa pena verrà percepita come sempre più barbarica, ed entrerà via via in desuetudine, per essere infine abrogata ufficialmente con la Rivoluzione francese.
Dall’altro lato della medaglia, l’adorazione per l’antichità classica tipica del Rinascimento italiano portò a imitare gli antichi anche sulla trattazione degli amori omosessuali. La letteratura italiana sul tema omosessuale, sia in latino sia in italiano sia anche in greco, nel Quattrocento e Cinquecento è semplicemente traboccante. Parlo di letteralmente centinaia e centinaia di documenti. Ci si potrebbero scrivere intere monografie, solo su questi autori.
Nel mio libro insisto più volte sul fatto che fino a metà Seicento, ossia fino a quando l’Inquisizione riesce ad avere l’ultima parola sulla nostra cultura, soffocandola, “la” nazione che occorre studiare per capire la storia occidentale dell’omosessualità è l’Italia (dopo, invece, sarà semmai la Francia, poi ancora la Germania, come oggi lo sono gli Usa). Ovviamente gli storici accademici anglosassoni, che non spiccicano una parola d’italiano e figuriamoci poi di latino, hanno affermato a più riprese che l’omosessualità “nasce” in Inghilterra nel Settecento. Sì, certo, va bene: e il compagno Popoff ha inventato l’elicottero e il telefono…
Nell’Inferno dantesco i sodomiti sono i più numerosi tra i peccatori.
Nell’Inferno dantesco i sodomiti sono gli unici a cui Dante si rivolge con rispetto dando loro del “voi”, a differenza dello sbrigativo “tu” che usa con tutti gli altri (meno uno). Inoltre in un sodomita egli indica il suo maestro spirituale. Perché? Ma perché Dante, che politicamente è un reazionario, vive ancora la morale medievale aristocratica precedente a questa evoluzione che ho appena descritto, e che giunge a compimento esattamente nel corso della sua vita. Per lui è del tutto possibile essere allo stesso tempo un grande uomo meritevole di rispetto, e un sodomita. La condanna teologica è seria (ma ricordiamo che i sodomiti sono presenti anche nel Purgatorio, come una delle due schiere di lussuriosi che si “ammusano” come formiche, dunque per Dante anche il sodomita può meritare la vita eterna) ma la condanna umana può essere più indulgente — più “corriva” e “complice”, avrebbero detto i riformatori.
Questo implica che la scelta morale di Dante iniziò a non essere più compresa, da una società che aveva cambiato punto di vista, fin da immediatamente dopo la sua morte. E tutti i commentatori lì a chiedersi, fin dai primi decenni del Trecento, come mai avesse trattato tanto rispettosamente persone che, dopo tutto, avevano compiuto il più schifoso dei peccati, o come mai avesse infangato il Latini se davvero lo rispettava così tanto. Se l’avesse accusato di omicidio o stupro di bambine, la cosa non avrebbe turbato nessuno, mentre invece… ah, la sodomia! Qualcuno arrivò a ipotizzare che Dante simpatizzasse coi sodomiti perché di nascosto era anche lui uno di loro. Altri pensarono che il suo fosse sarcasmo, e che il testo andasse letto “per lo contrario”. Altri che avesse voluto vendicarsi del Latini, che avrebbe cercato di sedurlo, in questo modo subdolo. L’ipotesi più banale, ossia che Dante sapesse che Brunetto era omosessuale (come ci mostrano alcuni documenti che nel libro cito) e che la cosa non lo sconvolgesse affatto, è stata scartata per secoli come “assurda” e “impossibile”. Ma per la morale di Dante è molto peggiore un ignavo che un sodomita. Figuriamoci però se il messaggio poteva piacere a generazioni di ignavi, ignavissimi commentatori di Dante…
In epoca moderna quali vicende subisce l’omosessualità?
Se per “moderno” intendiamo “successivo al 1492”, abbiamo una progressiva affermazione di una coscienza di sé, a tratti addirittura di comunità, nei gruppi di sodomiti che crescono di dimensioni man mano che si affermano le grandi conurbazioni moderne. Anche grazie al diffondersi di quella corrente filosofica nota come “libertinismo”, che sostiene che la morale deve basarsi solo sulla Ragione e non sulle religioni. Ovviamente le religioni ci hanno lasciato un ritratto tremendo del “libertino”, ossia quella di essere capace di qualsiasi turpitudine morale e soprattutto immorale, in quanto “senza Dio”. Invece molto più banalmente il libertino affermava che se la Natura ci ha dato certi organi rendendone possibile l’uso in certi modi, tali usi non potevano essere contro le intenzioni della Natura. Al massimo potevano essere contro i dettami delle religioni, che però sono costruzioni umane, inventate per addormentare le coscienze delle masse e impedire che si ribellino ai dominatori. Quindi il comportamento omosessuale, se compiuto senza stupro e corruzione, è del tutto legittimo. Non stupisce poi che i libertini siano la bestia nera di tutti gli storici religiosi.
A partire dal tardo Cinquecento e primo Seicento, nei processi per sodomia gli imputati parlano apertamente di “noi” e “loro”. Un processo del Cinquecento, a cui ho dedicato un capitolo, ci ha restituito una cerchia di sodomiti che a Roma si sposavano fra loro, con un rito sacrilego che costò loro la vita, e che parlava apertamente di “noi” e “loro”. È in questa (sotto)cultura, affermo nel mio libro, e non nel mondo medico (come invece afferma la storiografia accademica ufficiale) che nasce la coscienza di costituire un gruppo sociale a parte. Che nasce la dichiarazione di “essere nati così”. Al limite, di essere scherzi di natura, di essere portatori di un handicap, addirittura un “terzo sesso”, però in nessun caso colpevoli intenzionali di una trasgressione alle leggi della Natura. L’idea, rivendicata da questi imputati e repressa con la massima severità dalle autorità, è che il sodomita obbedisce a una “legge di natura” interiore, che è sua, e che è cogente quanto quella che segue l’eterosessuale nei suoi desideri. Il filosofo libertino Antonio Rocco, in un libro del 1630, chiede se un orologio che batte le ore a un orario diverso da quello di tutti gli altri orologi ha forse colpa di questo fatto, quando è stato l’Orologiaio a costruirlo in modo che battesse le ore proprio in quel modo. Inutile dire che questa è una idea eretica, e che Rocco fu denunciato più volte all’Inquisizione per le sue idee, scampandola solo per alte protezioni politiche. Ma la sua era pur sempre un’idea che qualcuno era stato in grado di concepire e propalare già nel 1630.
L’epoca vittoriana viene additata come la più retriva, in termini di morale sessuale.
Mah, io a certe classifiche non credo. Per dire: l’epoca vittoriana di per sé non è stata certo più retriva di, che so, quella Puritana, tanto per restare al Regno Unito.
Tutte le morali rigide hanno in comune il fatto di essere tali solo per i poveri, mentre per chi ha i mezzi e il potere, i periodi in cui esse trionfano possono rivelarsi occasioni di vere e proprie abbuffate sessuali, prive di qualsiasi limite. Questo perché laddove tutto è ugualmente proibito, viene meno la distinzione fra trasgressione lieve e trasgressione grave, quindi tanto vale darsi a quelle gravi perché tanto le conseguenze sono le stesse.
E infatti, se si era ricchi, nella Londra vittoriana ci si poteva togliere qualsiasi capriccio sessuale molto più di oggi, sfruttando i corpi del proletariato affamato: per pochi spiccioli si potevano addirittura comprare bambine come oggetti sessuali. Non era neppure illegale, fino al 1885… I peggiori maiali della storia sono sempre stati i rigidi moralisti. Anche l’Isis oggi getta dai tetti i “sodomiti”, perché Allah lo vuole, però ha ripristinato la schiavitù sessuale, intesa proprio come possibilità di comprare e vendere donne per abusarne sessualmente.
D’altro canto, storicamente parlando l’omofobia vittoriana (un atteggiamento tipicamente britannico) è stata sì importante, perché tutte le nazioni del mondo che oggi hanno una legislazione fortemente omofobica appartengono senza eccezioni ad uno di questi due gruppi: o sono ex colonie britanniche, o sono paesi islamici. Da questo punto di vista, su scala mondiale l’omofobia vittoriana ha fatto danni che sono secondi solo alla Sharia, e quindi può essere definita come una delle peggiori sciagure mondiali nella storia dell’omosessualità. Dopodiché, è opportuno ricordare che negli stessi anni l’Italia (o la Francia, o la Spagna) non era altrettanto retriva, tant’è che gli inglesi venivano a cercare gli amanti in Italia. L’Inghilterra non è il mondo, e la storia delle nazioni anglosassoni non è affatto, come in troppi credono, la storia del mondo. Ricordarlo non sarebbe poi così male, almeno ogni tanto.
Quando nasce e si afferma una cultura omosessuale?
Dipende da cosa si intende con queste due parole. Se si intende una cultura gay, allora nasce dopo i moti di Stonewall, nel 1969, che generalizzano una coscienza di sé che prima era diffusa solo fra pochi individui. L’eccezione da quel momento diviene la regola. Se invece si intende genericamente una cultura prodotta da persone omosessuali per altre persone omosessuali, allora, che so, costituiscono di fatto una “cultura omosessuale” già i sonetti e le tenzoni della Cerchia perugina che studio nel libro (Cecco Nuccoli, Marino Ceccoli e brigata), scritte a inizio Trecento in un linguaggio criptato per parlare dei loro amori omosessuali e soprattutto delle loro pratiche omosessuali. Ma anche alcuni testi greci e latini sono già di questo tipo (penso agli epigrammi di Stratone di Sardi, per esempio), anche se ben poco si è salvato dal grande naufragio dell’antichità.
Chiariamo però un punto: fino al secolo scorso quella omosessuale poteva essere solo “sottocultura”, ossia cultura subalterna. Pubblicare un libro, una poesia, una lettera, e più tardi anche un film o una canzone, a tematica espressamente e apologeticamente omosessuale, era un reato. Era un invito al sequestro da parte della censura, che non si è mai fatta pregare per entrare in azione.
Dunque la cultura omosessuale precedente Stonewall va studiata con criteri e strumenti analitici diversi da quelli che usiamo per la cultura del 2017, dato che è spesso cultura dell’allusione, del parlare in codice, di dire e non dire. Come lo è la cultura del camp, per esempio. Se sei interno a quella logica, capisci perfettamente che Donne di George Cukor (del 1939) parla in realtà di un gruppo di “checche” scatenate. Se non lo sei, non ti passerà mai neppure per la testa una simile chiave di lettura. Ed è così perché il regista (che era gay) ha voluto che fosse così, non per un caso.
Se qualcuno trova assurda questa mia chiave di lettura, fa benissimo a pensarlo e a dirlo: è così che deve essere: plausible deniability. La maggioranza degli spettatori non deve capire l’allusione. Altrimenti scatta la censura: il “Codice Hay” proibiva espressamente di nominare l’omosessualità nei film. Ma questo è già un altro discorso rispetto alla ricostruzione del mio libro, che si ferma intenzionalmente al 1945. Mi sarebbero servite altre 700 pagine solo per parlare di quel che è venuto dopo…