“Tu se’ lo mio maestro… Scritti papirologici e filologici” a cura di Giuseppina Azzarello

Prof.ssa Giuseppina Azzarello, Lei ha curato l’edizione del libro Tu se’ lo mio maestro… Scritti papirologici e filologici, Omaggio degli studenti udinesi al Prof. Franco Maltomini in occasione del suo settantesimo compleanno, pubblicato da De Gruyter: quale importanza riveste la ricerca papirologica del prof. Maltomini?
Tu se’ lo mio maestro... Scritti papirologici e filologici, Giuseppina AzzarelloIl Prof. Franco Maltomini, che ha studiato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa ed è poi divenuto professore ordinario di Papirologia presso l’Ateneo udinese, è a tutt’oggi uno dei massimi esperti di magia antica (greca e latina) a livello internazionale. Pur avendo iniziato il suo percorso universitario motivato da un forte interesse nei confronti della Letteratura greca (specialmente la tragedia e la lirica), ben presto la sua attrazione verso i papiri, cioè il materiale scrittorio più usato nell’antichità, lo ha spinto a specializzarsi su terreni meno battuti come appunto quello relativo alle pratiche magiche. Si tratta di un ambito interessantissimo perché coniuga aspetti legati alla tradizione religiosa con altri più immediatamente vicini al vivere e al sentire della gente comune, svelando i bisogni e gli affanni degli esseri umani che ci hanno preceduto: affrontare un evento dall’esito incerto come una gara sportiva, superare una malattia, conquistare la persona amata e persino punire ferocemente un nemico sono alcuni dei motivi che spingevano gli antichi a rivolgersi ai maghi. Per preparare l’incantesimo più adatto per l’occasione, questi ultimi ricorrevano alle indicazioni e illustrazioni riportate da manuali che sintetizzavano conoscenze provenienti da diverse culture (egiziana, greca, ebraica,…). In tal modo i maghi erano in grado di soddisfare le richieste dei clienti, realizzando uno specifico incantesimo o un amuleto, tarati sui loro bisogni e ispirati alle indicazioni dei libri consultati. Per nostra grande fortuna i papiri (e altri materiali cosiddetti “leggeri” come i cocci di argilla – i cosiddetti ostraka –, le tavolette di legno e metallo, la pergamena e in periodo arabo la carta) ci hanno tramandato sia manuali di magia che prodotti realizzati da singoli maghi così che siamo in grado di studiare non solo i principi “ufficiali” della scienza magica ma anche il modo in cui questi venivano applicati nel mondo greco-romano e bizantino. Il prof. Franco Maltomini è uno dei pochi studiosi al mondo capace di decifrare questo tipo di testi e interpretarli in un più ampio contesto.

Qual è lo stato attuale della ricerca papirologica?
Dalla scoperta dei rotoli di Ercolano e del primo papiro in Egitto alla metà del Settecento, la scienza papirologica ha fatto passi da gigante. Una prima fase della storia della disciplina è stata necessariamente dedicata – oltre che alla ricerca di papiri in Egitto e alla loro pubblicazione – anche alla sua definizione e teorizzazione. I papiri hanno infatti messo gli studiosi – persino i filologi e gli storici più esperti – di fronte ad un mondo sconosciuto, fatto di istituzioni, consuetudini, tipologie di testi, titoli e nomi che difficilmente potevano essere comparati con quanto i testi letterari e le iscrizioni avevano testimoniato fino a quel momento. C’era persino bisogno di un sistema codificato per rappresentare i testi papiracei nelle trascrizioni offerte dalle edizioni: come indicare un danno sulla superficie? In che modo rappresentare i simboli indicanti valute o unità di misura? Con quale mezzo mostrare al lettore che la lettura di una traccia abrasa o di una lettera particolarmente corsiva non è da considerare sicura? Come rendere palese una integrazione di testo, in un punto in cui l’editore, pur in presenza di superficie rovinata, è sicuro di ciò che il papiro riportava in origine?

Poste dunque le basi della disciplina, durante tutto il Novecento e fino ai giorni nostri, le nostre conoscenze rispetto alla storia amministrativa, economica, sociale e culturale del regno tolemaico e dell’impero romano e bizantino si sono notevolmente ampliate. Grazie alla scoperta e alla decifrazione di documenti provenienti dagli uffici dei maggiori funzionari statali, dei granai, dei templi, o dagli archivi delle grandi famiglie aristocratiche o di singole persone appartenenti alla classe media, siamo in grado di ricostruire per esempio le dinamiche delle carriere politiche, i rapporti tra i grandi proprietari terrieri e i contadini, la condizione delle classi lavoratrici e delle donne in particolare, i termini della giurisprudenza e la pressione fiscale sui contribuenti. Studi specifici condotti sui testimoni papiracei hanno rivelato aspetti inediti sul piano socio-culturale e relativi all’istruzione, all’alfabetismo, alla diffusione del sapere, alle biblioteche, alle feste e agli spettacoli.

Gli scavi portati avanti dalle università in località strategiche dell’Egitto e condotti da team di papirologi ed archeologi hanno apportato grandi novità sia sul fronte testuale che topografico. Per esempio, la pubblicazione di ostraka provenienti dagli accampamenti militari del Deserto orientale, si sta svelando fondamentale per ricostruire nei dettagli la vita dei soldati posti a difesa di luoghi strategici come le miniere, consentendo anche di apprendere le dinamiche relative alle parole d’ordine e ai turni di guardia nonché lo stato di salute dei militari e delle loro famiglie. Gli scavi condotti a Tebtynis (Fayum) hanno svelato l’esistenza, lungo l’asse centrale del villaggio, di edifici dedicati alle feste locali, restituendo numerosi cocci di argilla conservati in situ che testimoniano persino la quantità di birra elargita durante i banchetti che vi si svolgevano.

Negli ultimi anni la papirologia ha infine messo a servizio dello studio dei papiri le acquisizioni raggiunte dalle Digital Humanities. La maggior parte delle collezioni internazionali ha digitalizzato i papiri mettendoli a disposizione della comunità scientifica per lo studio e la pubblicazione senza scopo di lucro. Team di papirologi hanno sviluppato database tra loro connessi, relativi a papiri documentari, letterari e semiletterari, e inoltre creato una piattaforma digitale nella quale i testi, arricchiti di metadata e immagini digitali, sono ricercabili ed editabili dalla comunità dei papirologi.

Grazie a progetti di ricerca finanziati su base nazionale ed internazionale, aspetti specifici dei papiri costituiscono l’oggetto di indagini ampie, moderne e sempre più interdisciplinari.

Cosa rivela lo studio dei reperti papiracei circa l’uso nella medicina antica di colliri per la cura delle affezioni oculari?
I papiri hanno notevolmente arricchito le nostre conoscenze sulla medicina antica, altrimenti nota solo attraverso i grandi maestri della medicina per tramite della tradizione medievale, sulle cui dinamiche si legge in uno dei contributi del volume, scritto da Christina Savino. Grazie ai testimoni papiracei è possibile poi verificare la diffusione della letteratura medica nella società e la sua effettiva applicazione nella cura delle malattie. Numerose ricette mediche su papiro e altri materiali testimoniano nello specifico come le malattie degli occhi fossero particolarmente diffuse in Egitto: la secchezza del clima e probabilmente l’abitudine di stropicciare gli occhi con le mani a fronte di condizioni igieniche non ideali, favorivano infezioni che diventavano croniche e potevano persino degenerare in malattie più gravi. Il rimedio consigliato dai medici consisteva essenzialmente nell’uso di colliri, alcuni dei quali preparati con sostanze che stimolavano la lacrimazione. Essa aveva infatti lo scopo di decongestionare l’occhio o semplicemente vincere la secchezza oculare. In altri casi invece il preparato doveva avere un’azione calmante. Le sostanze usate per i colliri erano soprattutto vegetali: zafferano, mirra, pepe, zenzero, aloe, ma anche miele che, secondo la testimonianza di papiri dell’archivio di Zenone, il segretario di Apollonio, ministro delle finanze di Tolomeo II, doveva essere di prima qualità.

Nel volume, Anna Monte, una giovane studiosa, specialista di papiri medici, raccoglie tutte le testimonianze relative ai colliri chiamati oxydorkika, cioè atti ad acuire la vista, una tipologia tramandata sia dalle opere di medici come Galeno che dalle ricette papiracee. Le prescrizioni dei medici vissuti nell‘Egitto greco-romano consentono così di verificare l’impiego di farmaci dei quali altrimenti sapremmo solo dalla letteratura medica ufficiale.

Il P.Rain. Unterricht kopt. 326 contiene strane divisioni: quale spiegazione può essere fornita al riguardo? Quale funzione svolgevano le tabelline aritmetiche greche provenienti dall’Egitto?
Il manufatto in questione, una carta di età araba conservata presso la collezione papirologica della Biblioteca nazionale austriaca a Vienna, contiene delle tabelle di frazioni, una forma aritmetica usata dai Greci per esprimere le divisioni: in altre parole, invece di scrivere per esempio 4 : 2 = 2 essi formulavano l’operazione come 1/2 di 4 = 2. Le serie di frazioni sono frequentemente attestate nell’Egitto greco-romano e bizantino e costituiscono la gran parte delle tabelline aritmetiche pervenuteci. Esse sono scritte su papiro e altri materiali, specialmente legno, particolarmente usato nell’ambiente scolastico.

Normalmente si trovano serie progressive, più o meno complete, a seconda dello stato di conservazione del manufatto o della tipologia di testo: idealmente le serie iniziavano con la tabellina di 1/2 e andavano avanti con le frazioni successive (1/3, 1/4, 1/5, etc.); è possibile però che il papiro o la tavoletta riportasse solo una o poche serie numeriche, specialmente se il testo in questione era un esercizio scolastico. Nel caso della carta viennese riedita nel volume dalla giovane studiosa Alessia Zangrando, le serie di frazioni riportate (1/9, 1/10, 1/12, 1/24) risultano anomale: non solo esse non sono immediatamente successive, ma anche sembrano riflettere una precisa scelta da parte di chi le ha scritte. Sulla base del confronto con altri testi, contenenti le stesse serie di divisioni accanto ad oroscopi, la studiosa conclude che le tabelline numeriche potrebbero provenire da un simile contesto ed essere servite come base per calcoli di tipo astronomico.

Normalmente invece le tabelline aritmetiche riportate dai papiri e da altri materiali – soprattutto tavolette di legno e cocci di argilla (ostraka) – possono essere ricollegate ad altri ambienti. Uno di questi è la scuola, considerato che diversi manuali scolastici testimoniano come l’apprendimento delle lettere e quello dell’aritmetica andavano di pari passo. Un altro è quello degli uffici contabili: la necessità di calcolare le quote fiscali dovute ogni anno in base a precisi parametri nonché quella di convertire grandezze da una unità di misura ad un’altra, rendeva indispensabile per i contabili disporre di prontuari aritmetici. Tra l’altro, a differenza che ai giorni nostri, nei risultati delle divisioni l’eventuale parte frazionaria (i nostri decimali) non poteva essere espressa da frazioni a numeratore maggiore di 1, ma doveva risultare dalla somma di frazioni unitarie, cioè a numeratore 1: per esempio se il risultato di una divisione era 4,75, quindi 4 + 3/4, bisognava esprimerlo come 4 + 1/2 + 1/4. È facile quindi rendersi conto di come, più complesse si facevano le divisioni, più difficile era per il contabile tenere a mente risultati espressi secondo questa modalità.

I contributi raccolti nel volume sono aggiornati sulla base delle recenti edizioni dei papiri ossirinchiti: quali novità salienti esse introducono?
Molti dei papiri discussi nel volume provengono dalla città di Ossirinco, letteralmente la città “del pesce con il naso a punta”, una delle località più significative dell’Egitto romano e bizantino. La città, nella quale scavarono gli inglesi e gli italiani all’inizio del secolo scorso, si trovava nel Medio Egitto e ci ha restituito migliaia di papiri, oggi per buona parte conservati alla Sackler Library di Oxford. Alcuni di questi papiri appartengono a dossier ed archivi documentari, gruppi di testi cioè che fanno riferimento ad uno stesso contesto. Al dossier di Flavios Hermias, defensor civitatis (una sorta di avvocato della cittadinanza) di Ossirinco, è dedicato il contributo di Arianna Tomat, che, decifrando un papiro inedito e riesaminando gli altri documenti del dossier già conosciuti, ipotizza la presenza di copie e bozze tra le carte del nostro personaggio.

Fra i dossier documentari di Ossirinco, spicca poi l’insieme di documenti relativi alla famiglia dei cosiddetti Apioni, una casata aristocratica, originaria della città, le cui vicende possiamo seguire per quasi due secoli: il più antico testo riconducibile al dossier è infatti probabilmente del 436, l’ultimo invece risale al 622. I personaggi principali della famiglia, che portavano a generazioni alterne il nome di Strategios ed Apion, grazie alle loro personali abilità e ad una sapiente politica matrimoniale, riuscirono a raggiungere i gradi più alti della carriera politica e a ricoprire un posto elevato nella scala sociale. Tant’è che essi sono testimoniati non solo dai papiri ma anche da fonti storiche e giuridiche: solo per fare qualche esempio, Apion I, che fu nominato prefetto del pretorio straordinario dall’imperatore Anastasio durante una guerra contro i Persiani, figura più volte in opere storiografiche e cronachistiche; Strategios II, ministro delle finanze di Giustiniano e uomo di fiducia dell’imperatore, è nominato in un famoso editto imperiale riguardante l’amministrazione dell’Egitto; alla moglie di Apion III sono indirizzate lettere da parte del papa Gregorio Magno. Da un certo punto in poi gli Apioni si trasferirono a vivere a Costantinopoli, dove possedevano un palazzo, mentre ad Ossirinco mantennero una splendida villa suburbana, dotata di terme e persino, probabilmente, di un ippodromo privato. Alla ricostruzione della villa contribuisce nel volume Arianna Calabretto che, riesaminando il papiro che è a tutt’oggi il testimone più importante in merito, scopre che il triclinio, cioè la lussuosa sala da pranzo, era adornata di capitelli dipinti.

L’impegno costante dei papirologi nel decifrare i papiri ancora inediti conservati negli armadi delle collezioni e nella reinterpretazione di testi già pubblicati, ha permesso, specie negli ultimi decenni, di scoprire aspetti fondamentali della storia degli Apioni, le cui implicazioni riguardano in ultima analisi la nostra conoscenza della storia dell’Impero Romano d’Oriente. Si è potuto per esempio precisare che il primo personaggio di cui abbiamo notizia, Flavios Strategios I, fu amministratore del patrimonio privato dell’imperatrice Eudocia, moglie di Teodosio II. Sembra poi che il successivo capofamiglia, Apion I, non fosse in realtà il figlio di Strategios I, ma suo genero, e che il matrimonio avesse consentito di unire due consistenti patrimoni estendendo così l’influenza della famiglia al di fuori dei confini regionali dell’Ossirinchite. Molti punti oscuri permangono tuttavia sia rispetto alla storia della famiglia che all’amministrazione delle sue proprietà.

I papiri pubblicati nel volume apportano novità rispetto ad alcune tra le questioni più dibattute. Una di queste riguarda l’identità di un certo Menas, rappresentante legale degli Apioni nei contratti stipulati ad Ossirinco. Essendo gli Apioni impegnati nella loro carriera politica al di fuori dell’Egitto, era necessario che nelle transazioni legali venissero rappresentati da una persona di fiducia. Nella stragrande maggioranza dei casi questo ruolo è svolto da Menas, definito oiketes, “servo domestico”: tuttavia è quanto meno sorprendente che, a giudicare dai papiri in nostro possesso, Menas svolgesse questo ruolo per più di 100 anni! In uno dei contributi del volume, Federica Silveri tenta di trovare una spiegazione a questa anomalia, analizzando dettagliatamente le formule dei contratti e il panorama giuridico relativo alla rappresentanza legale, come testimoniato nel Corpus Iuris. Considerata la tendenza da parte di alcuni a mettere in dubbio l’autenticità dei contratti facendo leva sul fatto che i servi rappresentanti dei padroni non fossero presenti, Giustiniano emanò una costituzione che impediva di far ricerche in tal senso. Sarebbe bastato dimostrare che la parte contraente non si trovasse fuori città. Quale migliore strategia quindi che quella di far uso di un rappresentante legale fittizio la cui assenza dalla città non avrebbe mai potuto essere provata?

La figura del notarios, un impiegato della casata le cui mansioni non sono state finora studiate in modo specifico, è invece oggetto del contributo di Valentina Covre. L’attento esame di un papiro berlinese, indirizzato a un certo Flavios Strategios la cui precisa relazione con la famiglia degli Apioni non è stata ancora individuata, le consente infatti di attribuire alle mansioni del notarios anche quella del versamento di donazioni ad istituzioni benefiche per conto della casata che lo impiegava.

La figura di Biktor, vicedominus degli Apioni all’inizio del VII secolo, è oggetto invece del contributo di Linda Putelli, che, grazie ad una puntuale revisione delle lettere di questo importante amministratore della casata, riesce a risolvere problemi testuali e scoprire interessanti dettagli di contenuto.

Anche sul versante dei notai alla cui presenza venivano stipulate le transazioni, due contributi del volume rivelano aspetti innovativi, ponendosi sulla scia dei testi recentemente pubblicati nei volumi della collezione di Oxford. Lo studio puntuale delle grafie nelle quali sono scritti i corpi dei contratti e l’analisi meticolosa delle firme stilizzate con le quali i notai li concludono, ha portato Elena Bonollo, Roberto Coden e Arianna Ghezzo all’identificazione di scribi e all’assegnazione di documenti a precisi uffici notarili, dimostrando la fluttuazione di personale da un ufficio all’altro. Quest’ultima prospettiva è potenzialmente destinata a dare una svolta significativa agli studi futuri sui notai bizantini.

Quale futuro, a Suo avviso, per la papirologia?
La papirologia è, tra le Scienze dell’antichità, sicuramente una delle più fresche e innovative. La scoperta di un nuovo papiro, la rilettura di un testo già edito, la reinterpretazione dei testimoni alla luce di un comune background possono rovesciare da un momento all’altro convinzioni di decenni e aprire nuove prospettive alla ricerca. L’introduzione di strumenti propri delle Digital Humanities a supporto della ricerca papirologica e la collaborazione internazionale nella condivisione di immagini e pubblicazioni hanno dato negli ultimi tempi un impulso fondamentale a questi studi. Cataloghi digitali e banche dati testuali consentono ricerche precise e veloci su tutti i papiri pubblicati, rendendo lo studio possibile anche a chi non disponga nell’immediato di una ricca biblioteca papirologica. Va da sé che ogni ricerca degna di questo nome va fatta sulle pubblicazioni originali, ma disporre di un corpus di testi digitale è un aiuto prezioso nell’orientamento iniziale tra le fonti. Considerato poi che lo studio dei testi papiracei è strettamente legato all’osservazione del manufatto, la possibilità di controllare trascrizioni sulle immagini digitali dei papiri, confrontare scritture e verificare possibili identità di mani migliora i risultati delle ricerche e li accelera notevolmente.

Il futuro della papirologia è quindi più che altro legato alla qualità dei suoi esponenti, alla capacità dei docenti di formare nuovi studiosi che si dedichino alla decifrazione delle difficili, ma affascinanti scritture corsive. In questo senso, il volume vuole essere un messaggio vivente, dato che tutti coloro che hanno contribuito sono stati studenti dell’Università di Udine, e sono oggi giovani studiosi, insegnanti, professionisti dell’editoria. L’emozione della scoperta, che viene dalla decifrazione di una parola, dall’identificazione di un personaggio, dall’attribuzione di un testo ad un archivio è il motore che dà impulso agli studi papirologici. Come si può apprezzare nel contributo di Elisabetta Balossi all’interno del volume, la lettura di un pi (Π) invece che di un tau (T) in un papiro peraltro già edito da studiosi di grande esperienza, porta all’identificazione di un personaggio e di un gruppo di documenti riferibili a lui e alla sua famiglia. Lo studio puntuale degli sbagli di uno scriba nel famoso contratto di matrimonio di Elefantine, il più antico documento greco su papiro che contenga una data precisa, consente a Sara De Bortoli di aprire uno spiraglio sulle modalità con le quali lo scriba ha compilato il testo davanti alle famiglie degli sposi e ai loro testimoni. La riconsiderazione di tutti i documenti direttamente e indirettamente riconducibili alle pratiche notarili di periodo tolemaico, innescata dallo studio di un papiro inedito, permette a Sara Marmai una presa di posizione innovativa rispetto agli studi condotti finora sul fenomeno.

Non mancano di certo i papiri per chi vorrà cimentarsi nel loro studio; ciò che dobbiamo aver cura di non far mancare è l’ingegno, la passione, l’entusiasmo e persino l’umiltà con la quale ci si accosta al testo scritto da un essere umano secoli fa, cercando di decifrarlo nel rispetto eventualmente delle sue imprecisioni ortografiche o difficoltà di espressione, e tentando di ricostruire senza forzature il senso di quell’elaborato. Ascoltare quelle voci dal passato, ricostruire quelle vite, rispettare quelle culture, e nel fare ciò mai giudicare con disprezzo il lavoro di altri studiosi che ci abbiano preceduto, è il codice d’onore che i papirologi si sono dati e che in ultima analisi assicurerà la continuazione non già della papirologia o delle scienze dell’antico, ma di tutto il genere umano.

Giuseppina Azzarello è Professore associato di Papirologia presso il Dipartimento di Studi Umanistici e del patrimonio culturale dell’Università degli Studi di Udine

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