di Eshkol Nevo
Neri Pozza editore
Tre famiglie su tre piani immerse in una timida quotidianità raccontata in tre monologhi. Un gioco narrativo alla periferia di Tel Aviv, tra il detto e il non detto, tra quel che pensiamo guardando l’altro e quel che è realmente.
Scale, ascensore, pianerottolo, attese. Un condominio come teatro dell’anima.
Arnon racconta la quotidianità al piano primo, racconta di sé come padre della piccola Ofri, una bambina di soli nove anni ospite nella casa di due anziani condomini nelle rare occasioni in cui Ayelet, la sua giovane mamma, non può occuparsene. In un lungo scritto ad un amico Arnon svela le sue preoccupazioni rispetto all’oscuro legame tra Ofri e il vecchio Hermann e da lì la profonda necessità di protezione nei confronti della figlia che sospetta essere stata abusata dall’anziano vicino.
Arnon per Eshkol Nevo si fa rappresentante vivo del primo dei tre piani dell’anima propri della teoria psicoanalitica di Sigmund Freud. L’interior designer Arnon è l’Es, l’istinto, il principio del piacere. Per Freud uno degli istinti primari, nonché una delle fonti primarie di energia psichica, è l’istinto sessuale. È proprio questa la ragione per cui l’istinto sessuale è inequivoca cornice dei movimenti di Arnon e dei suoi continui scontri tra i pensieri e la realtà che lo circonda.
Il piano secondo è raccontato dalla “vedova” Hani in una lettera alla sua più grande amica di sempre. Hani è chiamata “la vedova” da ognuno degli inquilini della palazzina borghese e la ragione è data dalla perenne assenza del marito Assaf, costantemente all’estero per lavoro.
Questo triste appellativo, “la vedova”, è forse uno dei principali espedienti di cui l’autore si serve per rendere con struggente evidenza lo scontro tra l’opinione dei condomini e la vita reale di ciascuno degli attori del teatro del quotidiano.
Hani ha affrontato la maternità in solitudine e in solitudine affronta il terrore di condividere con la madre lo spettro di una psicosi, la stessa che aveva costretto la mamma di Hani ad un ricovero in un ospedale psichiatrico durante l’adolescenza, nel periodo del Bat Mitzvah della figlia.
La giovane madre del secondo piano è gravemente depressa e la sua statica condizione trova conforto nelle sole due anime che ha dato alla luce. Nella lettera a Neta, Hani racconta di una serie di eventi – a tratti nella paura di averli solamente immaginati- legati alla figura di Eviatar, fratello del marito Assaf che fortemente lo detesta, il quale irrompe in casa loro per rifugiarsi dai creditori.
L’inattesa reazione di Hani che lo ospita per giorni e il legame sviluppatosi tra i due porta la neomamma del piano secondo a rivivere, nella lettera indirizzata alla cara amica, ognuno di quei momenti. Nel raccontare Hani rivive ognuna delle singole paure legate alla potenziale perdita del marito nel caso in cui i suoi gesti venissero scoperti: “Assaf non grida. Cancella. Chi tradisce la sua fiducia, viene eliminato dalla lista dei suoi beneficiari interiori. E una volta che ti ha eliminato dalla lista, diventa impossibile rientrarci”. Hani incarna, nell’ansia del ritorno di Assaf il piano dell’anima rappresentato dall’Io che è la speranza, la consapevolezza, il tentativo di conciliare aspettativa e realtà. Spera di non essere scoperta, spera che i bambini non raccontino al papà del simpatico zio da poco conosciuto, spera di essere in grado di discernere tra sogno e realtà, spera di non cedere allo spettro della follia che nel romanzo assume le sembianze di un barbagianni oltre la loro finestra.Le parole di Eskhol Nevo si muovono abilmente da un piano all’altro, nell’abbraccio di Hani a Dovra sul pianerottolo della palazzina borghese che rappresenta, per le due donne, casa. Dovra è un giudice ormai in pensione alla disperata ricerca dell’affetto del marito defunto.
“Quando esco, ti saluto in cuor mio. E rientrando, in cuor mio ti saluto. Ancora più tremendi sono i momenti in cui non ti sento più. Momenti che ultimamente si sono moltiplicati. D’un tratto non riesco a ricordare la forma delle tue orecchie. Riesco a risolvere uno dei tuoi cruciverba criptici senza di te. A sturare il lavandino senza di te. Allora sento il vuoto dove prima c’eri tu. Sento che questa casa è vuota dove prima c’eravamo noi. E se ci rimarrò mi cattureranno le tele di ragno della tua morte; mi si tessono intorno e finirò per morire come un insetto”.
È cullata dalla sua stessa voce registrata ad una vecchia segreteria telefonica ai tempi appartenuta al marito, attraverso cui racconta proprio a Michael del loro amore: “le coppie veramente unite si spartiscono non solo le mansioni casalinghe, ma anche le mansioni della memoria”.
Nell’illusione di poter ristabilire un contatto con Michael, ex magistrato anche lui, Dovra ripercorre da un lato – e con l’aiuto degli oggetti propri di quell’appartamento dal quale non riesce a separarsi – tutti gli anni di vita coniugale condivisi e, dall’altro, il triste distacco con l’unico figlio Arad. Questi era stato responsabile di un incidente stradale che era costato la vita a una giovane donna incinta. Il padre Michael, che incarna rigidi valori morali – e ciò anche in virtù della propria professione – non tenterà in alcun modo di alleggerire o risparmiare la pena al ragazzo colpevole. Ciò provocò un definitivo distacco, tanto fisico quanto emotivo, all’interno del nucleo familiare. Dovra, da sempre costretta a dividersi, aveva deciso di abbandonare un Arad sfuggente e iracondo, preferendo a lui la figura del marito Michael.
Lo schema freudiano viene affrontato da Nevo solo nel terzo dei monologhi, solo al piano terzo, e viene introdotto da uno dei sogni di Dovra raccontati al marito attraverso i messaggi della vecchia segreteria. Nel sogno Dovra deve essere operata, e l’organo cui deve essere operata è proprio il Super-Io di Freud, rappresentato tanto dal piano terzo quanto dalla figura del giudice Michael, il quale severamente richiama all’ordine così come aveva richiamato all’ordine Arad nella tragica vicenda che l’aveva coinvolto. Dovra racconta al marito di Freud e di come: “al piano più alto, il terzo, abita sua altezza il Super-Io. Che ci richiama all’ordine con severità e ci impone di tenere conto dell’effetto delle nostre azioni sulla società”.
Lo scrittore israeliano Eshkol Nevo si riconferma in Italia con questo nuovo quadro narrativo del 2015, tradotto e pubblicato nel 2017 a cura di Neri Pozza editore. Qualche anno più tardi, nel 2020, un omonimo film ispirato al romanzo, diretto dal celebre Nanni Moretti viene presentato al festival di Cannes. Tanto nel libro quanto nel film a colpire è la precisione con cui si raccontano tre nuclei familiari, attori della società moderna e paralizzati da una solitudine che è la stessa tanto a Tel Aviv quanto a Prati, dove l’omonimo film è ambientato. La soluzione a questa solitudine imperante è suggerita proprio dall’autore attraverso Dovra, che in una delle ultime pagine si racconta a Michael: “…l’importante è parlare con qualcuno. Altrimenti, tutti soli, non sappiamo nemmeno a che piano ci troviamo, siamo condannati a brancolare disperati nel buio, nell’atrio, in cerca del pulsante della luce”.
Teresa Mazzullo