“Tramutazioni dell’Orlando furioso. Sulla ricezione del poema ariostesco” di Francesco Lucioli

Prof. Francesco Lucioli, Lei è autore del libro Tramutazioni dell’Orlando furioso. Sulla ricezione del poema ariostesco pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura: quale fenomeno editoriale si ingenerò, in Italia, all’indomani della pubblicazione dell’Orlando furioso?
Tramutazioni dell'Orlando furioso. Sulla ricezione del poema ariostesco, Francesco LucioliGià prima della pubblicazione della terza e ultima redazione nel 1532, l’Orlando furioso è sottoposto a numerose e differenti forme di riscrittura, che ne accompagneranno poi il successo e la circolazione per tutto il corso del Cinquecento e almeno fino alla metà del Seicento. Si basa sulla prima redazione del poema, apparsa a stampa nel 1516, uno strambotto di Bartolomeo Tromboncino considerato il primo esercizio di adattamento musicale di una stanza del Furioso. Dalla seconda redazione, stampata nel 1521, è invece ricavato l’opuscolo intitolato Historia del re di Pavia, nient’altro che un’anonima ristampa, con minime varianti, della novella di Astolfo e Iocondo (OF XXVIII, 4-74). È tuttavia soprattutto dopo il 1532 che prende corpo un’ampia produzione editoriale di testi che ruotano intorno al Furioso e che ne sanciscono il definitivo successo. Sulla base del loro legame con la fonte, Klaus Hempfer ha descritto tali opere come forme di ricezione «esplicita» o «produttiva» (o anche «creativa»): nella prima categoria rientrano gli apparati paratestuali che via via accompagnano il Furioso in edizioni sempre più ricche dal punto di vista tipografico (e che comprendono vite del poeta, allegorie e annotazioni ai canti, liste di metafore e fonti utilizzate, rimari, illustrazioni sempre più dettagliate), ma anche i commenti al poema volti ad offrirne nuove interpretazioni o letture allegoriche; alla seconda tipologia editoriale appartengono invece tutte le forme di riscrittura, serie come facete, in cui vengono riprese parti più o meno estese del Furioso. In particolare a partire dagli anni Quaranta del Cinquecento, la diffusione di edizioni del poema è accompagnata dalla circolazione, a stampa e manoscritta, di differenti adattamenti: le ottave ariostesche sono infatti utilizzate per giochi di società o intrattenimenti accademici, offrono il modello per componimenti musicali come lo strambotto, il madrigale o l’ercolana, sono incluse in riscritture centonarie ironiche o in erudite riflessioni sulla natura e il ruolo delle donne, vengono moralizzate in raccolte sentenziose in volgare come in latino, sono tradotte in dialetto e in parodia. In tutti questi casi, le stanze del Furioso sono variamente smontate, riassemblate e riscritte, dando vita a un ampio ventaglio di testi differenti per forma, genere, stile, finalità, contenuto, lingua; diverse sono poi le interpretazioni del poema di volta in volta offerte ad un pubblico eterogeneo, raccolto nelle piazze frequentate dai cerretani, così come nelle corti aristocratiche, nelle tipografie o nelle accademie. Analizzare tali forme di ricezione del Furioso significa non solo ragionare su una delle numerose modalità con cui il poema ariostesco viene riscritto e riadattato da letterati più o meno colti, uomini come donne, per rispondere ai gusti di un pubblico sempre più ampio e alle esigenze di stampatori interessati a mettere in commercio nuovi prodotti editoriali; significa anche confrontarsi con le differenti letture che dell’opera offrono testi di certo minori, e pur in grado di contribuire alla sua canonizzazione, in maniera forse inconsapevole, ma talvolta più rapida e incisiva della trattatistica e della coeva riflessione erudita.

Che cos’è la ‘tramutazione’?
Francesco Novati si era posto la stessa domanda nel 1914, quando si era occupato di alcune stampine popolareggianti cinquecentesche in cui la la parola “tra(ns)mutazione” era riferita a particolari composizioni poetiche. Novati aveva collegato tali esperimenti metrici all’artificio poetico della glosa spagnola, ossia un testo che include al proprio interno un altro testo in maniera sistematica e organica. Una tramutazione dell’Orlando furioso si presenta dunque come un poemetto in ottava rima in cui ogni strofa si conclude con un verso ricavato dalla medesima stanza del poema ariostesco, ripreso secondo l’ordine in cui figura nell’originale. Le tramutazioni sono dunque formate, nella maggior parte dei casi, da otto stanze, ciascuna terminante con il corrispettivo verso della stessa stanza del Furioso. Esistono tuttavia anche forme diverse di tramutazione, come testimonia il modo in cui vengono ripresi gli endecasillabi della fonte: le tramutazioni ariostesche di Laura Terracina, ad esempio, sono composte da sette stanze, perché il distico conclusivo delle strofe del Furioso è conservato integralmente e collocato in conclusione della stanza finale. Ci sono però casi in cui tutti i versi di una stanza ariostesca vengono ripresi a coppie, così da creare tramutazioni di sole quattro strofe, oppure poemetti in cui gli endecasillabi sono ripetuti sia all’inizio che in conclusione della stessa strofa, o ancora tramutazioni costruite su due o più stanze del Furioso in successione. Nel volume si propone una specifica nomenclatura per le differenti forme di tramutazione, e in appendice si offre un’antologia con l’edizione moderna di cinquantotto testi. Nell’analisi dei componimenti poetici si è cercato di marcare la differenza tra tale tecnica combinatoria e altre forme di riscrittura del poema ariostesco. La sistematicità della ripresa testuale e l’organicità del meccanismo di scomposizione e riassemblaggio dell’originale sono infatti elementi che distinguono la tecnica della glosa – e quella della tramutazione, su di essa esemplata – da forme di riscrittura che, seppur apparentemente analoghe, si rivelano a più attenta lettura concettualmente distinte, a partire dai centoni. Se gli autori di centoni sfidano i loro lettori a riconoscere i versi tratti da fonti differenti e inseriti in maniera non regolare all’interno di un nuovo testo di arrivo, che poco o nulla ha a che fare con la fonte, gli autori di tramutazioni procedono in maniera differente: i versi ariosteschi, seppur decontestualizzati dalla collocazione originaria, non perdono la loro forma né il loro significato, caratteristiche che vengono anzi in certo qual modo amplificate dalla collocazione all’interno di una nuova strofa creata appositamente per glossare (come una glosa, appunto) i versi iniziali. Le tramutazioni rientrano così a pieno diritto non solo tra le forme di riscrittura del Furioso, ma anche tra gli esempi più significativi di ricezione «produttiva» o «creativa» del poema: la loro doppia natura di glosse e di poemetti originali le pone infatti in dialogo diretto sia con i commenti, le allegorie, le stanze di argomento e gli altri apparati paratestuali che accompagnano le edizioni del Furioso, sia con le sue imitazioni, le continuazioni, le riscritture musicali e dialettali, gli adattamenti in altre lingue e generi letterari.

Quali forme assunse la riscrittura con cui il Furioso è diffuso sul mercato editoriale tra ’500 e ’600?
Alessandro Luzio descriveva come una «fungaia» l’intricata selva di riscritture, dialettali ma non solo, incentrate sul Furioso, mentre Marina Roggero ha adottato l’immagine della «nebulosa poetica» per riferirsi ai numerosi prodotti a stampa che gravitano intorno al poema ariostesco, e ne declinano stanze ed episodi in formati differenti e con diverse finalità. Per relazionarsi con tale ricchissima fioritura editoriale può essere utile ragionare sul livello di aderenza o rielaborazione testuale che tali opere dimostrano rispetto alla loro fonte. Si può così abbozzare uno schema all’interno del quale le differenti forme di riscrittura vengono a collocarsi sulla base del loro grado di fedeltà al Furioso. Il vertice è rappresentato da quei poemetti che riproducono intere porzioni testuali del poema senza alcuna alterazione, o con varianti minime: è il caso degli excerpta o “stralci”, ossia operine anonime in cui vengono ripubblicati episodi particolarmente fortunati, come i lamenti di eroine come Isabella e Olimpia, o passi facilmente isolabili, come la novella di Astolfo e Iocondo citata in precedenza. Ad un livello inferiore si collocano le tramutazioni che, come già osservato, riprendono intere ottave (o anche serie di ottave in successione), ricollocando gli endecasillabi ariosteschi all’intero di nuovi contesti, ma rispettando l’ordine in cui i versi figurano nelle strofe originali. Ci sono quindi numerosi componimenti poetici, a partire dai centoni, che riproducono fedelmente soltanto distici o singoli endecasillabi tratti del Furioso, ripresi però senza alcun ordine e per lo più senza far riferimento alle strofe in cui sono originariamente inclusi. Il livello minimo di fedeltà testuale al poema è rappresentato invece da quelle operine nelle quali il Furioso è utilizzato quale semplice ipotesto per “travestimenti” e parodie: si va dai numerosi casi di riscrittura dialettale in cui gli scontri tra cavalieri sono trasformati in battaglie culinarie e gli amori elegiaci in amplessi tra popolani, a esercizi di adattamento giocoso come Li trofei del mal francese tramutati dalle prime stanze de’ canti dell’Ariosto, operina pubblicata a Milano nel 1645 a nome di Girolamo Rasore, in cui tutte le ottave incipitarie del poema sono riscritte dalla prospettiva di un malato di sifilide. È evidente come in quest’ultimo caso il riferimento al Furioso serva a riaffermare il carattere parodico di un componimento che, a parte la ripresa delle rime o di alcune spie testuali, poco o nulla ha a che fare con il poema di Ariosto. Significativo è tuttavia il fatto che l’operetta sia incentrata su tutte le quarantasei stanze proemiali del Furioso: a questa sezione del poema sono infatti dedicate differenti forme di riscrittura, dalle tramutazioni che compongono il Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando furioso di Laura Terracina (apparso a stampa per la prima volta nel 1549 e più volte riedito tra XVI e XVII secolo), alle riscritture musicali di Tutti i principii de’ canti dell’Ariosto di Salvatore Di Cataldo (1559) e dei Madrigali a quattro voci sui «cominciamenti» del Furioso del reverendo Francesco Ricciardo (1600), fino alle traduzioni latine dei Rolandi Furiosi cantus cuiusque principia Latinitate donata di Visito Maurizio (1570). È questo un segno evidente della maggior fortuna di alcune specifiche parti del poema.

Quali interpretazioni del poema originario offrono tali riscritture?
Alcuni di questi adattamenti offrono letture del Furioso che risultano spesso in linea con coeve e successive forme di interpretazione dell’opera. Il già ricordato Discorso di Laura Terracina, ad esempio, fornisce una moralizzazione dei proemi ariosteschi non dissimile da quelle offerte da alcuni degli apparati paratestuali che accompagnano le edizioni del Furioso a partire dagli anni Quaranta del Cinquecento, e anticipa le analisi più strutturate del poema da parte di esegeti come Simone Fornari, Alberto Lavezuola o Orazio Toscanella. Le ottave incipitarie dei canti non sono però le uniche sezioni del testo a risultare particolarmente fortunate da un punto di vista di ricezione: sono infatti sottoposti a differenti forme di riscrittura soprattutto il primo canto del Furioso e le stanze di lamento dei suoi personaggi. Il primo canto è oggetto di numerose riformulazioni parodiche, in lingua e in dialetto, riadattamenti musicali (ad esempio in forma di ercolana), traduzioni e moralizzazioni in lingua latina, nonché tramutazioni. Un caso singolare è offerto da una tramutazione anonima datata alla seconda metà del Cinquecento da Francesco Foffano, testo in cui la prima stanza del primo canto è riscritta in modo da offrire una sorta di riassunto delle trame narrative maggiori del Furioso. Si tratta chiaramente di un esercizio di stile, che tuttavia dialoga tanto con i commenti al poema – secondo i quali la stanza incipitaria presenta in nuce il contenuto di tutti e quarantasei i canti – quanto con gli apparati paratestuali con cui l’opera è messa in circolazione, a partire dalle ottave di argomento che introducono i canti in alcune stampe di secondo Cinquecento. Singolare, da questo punto di vista, la trascrizione di tale tramutazione in appendice ad un codice del Furioso, in cui la riscrittura è presentata come «argomento» dell’intero poema. Al primo canto, come osservato, si affianca il successo delle stanze di lamento di alcuni personaggi: gli amanti Bradamante e Ruggiero, cavalieri come Orlando, Sacripante e Rodomonte, donzelle come Olimpia, Isabella e Fiordispina. I lamenti di personaggi ariosteschi hanno straordinaria fortuna anche in altri generi, dalle riscritture musicali alle traduzioni latine, dai centoni agli excerpta; e tuttavia le tramutazioni tentano di riaffermare il valore non solamente romanzesco di tali episodi del poema. A partire dalle sillogi liriche di Terracina, che dedica numerosi componimenti alla riformulazione di ottave patetiche, le tramutazioni di lamenti instono sul carattere elegiaco dei protagonisti del Furioso, spesso posti in relazione con altri modelli letterari, a partire dalle heroides. L’esempio più significativo di tale riscrittura-interpretazione è offerto dal Lamento d’Isabella et di Zerbino tratto dal Furioso de l’Ariosto et più diffusamente in ottave ridotto di Antonio Maria Consalvi, poemetto composto a Venezia nel 1593, in cui vengono dilatate in forma di tramutazione le undici stanze successive dedicate alla morte di Zerbino (OF XXIV, 76-86). L’operetta non è solo una tramutazione, ma anche una sorta di continuazione del Furioso, perché l’episodio di Isabella e Zerbino termina con una metamorfosi dei due amanti in fiumi. La tramutazione si conclude quindi con una tramutazione, una metamorfosi, un artificio che riafferma il significato elegiaco dell’episodio, e allo stesso tempo rappresenta una vera e propria mise en abyme del genere della glosa.

Francesco Lucioli è Assistant Professor in Italian presso University College Dublin. Si interessa di letteratura italiana di età umanistico-rinascimentale, sul doppio versante volgare e neo-latino. È autore dei volumi Amore punito e disarmato. Parola e immagine da Petrarca all’Arcadia (2013) e Jacopo Sadoleto umanista e poeta (2015). Ha inoltre curato l’edizione moderna della Instituzione d’ogni stato lodevole delle donne cristiane di Agostino Valier (2014) e dell’Aedificatio Romae di Giuliano Dati (2012).

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