“Tradurre Tolkien” di Marcantonio Savelli

Prof. Marcantonio Savelli, Lei è autore del libro Tradurre Tolkien pubblicato dalle Edizioni La Vela: come si è articolata la storia della pubblicazione de Il Signore degli Anelli in Italia?
Tradurre Tolkien, Marcantonio SavelliLa prima edizione parziale del libro in lingua italiana (uscito in lingua originale tra il 1954 e il 1955) avvenne nel 1967, quando la casa editrice Astrolabio pubblicò il primo volume, La Compagnia dell’Anello, nella traduzione di Vittoria Alliata di Villafranca. L’operazione ebbe scarso successo, tant’è che l’editore decise di non pubblicare i rimanenti due volumi. Solo nel 1970 l’editore Rusconi stampò finalmente il testo completo. Il testo era ancora quello usato dall’editore Astrolabio, ma fu rivisto dal curatore Quirino Principe, che non condivideva alcune scelte di traduzione. Nel 2000, i diritti per la pubblicazione vennero acquisiti dall’editore Bompiani, che mantenne la precedente traduzione, comprese le correzioni e integrazioni di Principe. Nell’ottobre 2019, sempre dall’editore Bompiani, è stata pubblicata la prima parte dell’opera, La Compagnia dell’Anello, con una nuova traduzione ad opera di Ottavio Fatica. Nel corso del 2020 sono stati pubblicati anche i restanti due volumi della traduzione Fatica. La scelta di questo traduttore è stata indicata all’editore dalla Associazione Italiana Studi Tolkieniani (da non confondersi con la più longeva Società Tolkieniana Italiana), che lo ha anche supportato in fase di traduzione. Allo stato attuale, non è più possibile acquistare la precedente traduzione, che è stata ritirata dal mercato dall’editore.

Questa scelta da parte dell’editore, nonché la scelta del nuovo traduttore ed infine la selezione di chi lo ha prima proposto e poi supportato in corso d’opera, hanno destato non poche perplessità da parte degli appassionati e non solo. L’autrice della precedente traduzione, Vittoria Alliata di Villafranca, in una recente lettera aperta, ha evidenziato la poca trasparenza dell’operazione, che a suo giudizio ha portato alla messa al macero della propria traduzione – traduzione che era stata già vagliata ed approvata, a suo tempo, da Tolkien stesso – in base a motivazioni, simpatie e antipatie che poco hanno a che vedere con aspetti strettamente filologici e pertinenti la qualità letteraria. Soprassedendo sugli aspetti polemici, certo comprensibili ma che poco interessano la nostra indagine, duole constatare come un invio al macero di rado giovi alla cultura, e che la coesistenza di due (o più) traduzioni di un’opera importante e amata come quella tolkieniana avrebbe costituito esito né inusuale né deprecabile della controversa vicenda. Così non è stato.

Quali incongruenze ed errori di tono e registro linguistico si riscontrano, a Suo avviso, nella nuova traduzione de Il Signore degli Anelli, a opera di Ottavio Fatica, recentemente pubblicata da Bompiani?
In questo studio, dotato di una prefazione di Quirino Principe, già curatore della precedente edizione del testo tolkieniano, e di una nota firmata da Paolo Bertinetti, Professore Emerito di Letteratura Inglese presso l’Università di Torino, che devo ringraziare per il prezioso supporto, la ricerca si è soffermata, giocoforza, sulla nuova traduzione, privilegiando le circostanze in cui il raffronto con l’inglese appariva critico o problematico. Si è poi proceduto ad una analisi parallela relativa al medesimo passo, così come esso appare nella precedente traduzione italiana. Tramite l’utilizzo di semplici e chiare tabelle di raffronto, il lettore può facilmente e senza sforzo avere sotto gli occhi una selezione di passi critici nelle tre versioni, l’inglese e le due traduzioni, in modo da potersi fare una propria idea e prendere cum grano salis quanto proposto in sede di commento. Gli esempi analizzati sono centinaia.

Nella seconda parte del libro si è poi tentato di fornire una lettura generale, traendo alcune inevitabili ipotesi relative alla sorprendente frequenza di alcuni fenomeni, frequenza tale da renderne improbabile la prerogativa di casualità. Di tali conclusioni preferisco non anticipare troppo, dato che le semplificazioni a cui questa sede mi obbligherebbe rischierebbero di non rappresentare compiutamente il mio pensiero, nonché di non rendere appropriata giustizia ai meriti – e soprattutto ai demeriti – della traduzione Fatica. Basti però dire che questa nuova traduzione, che è stata salutata da alcuni come una necessaria opera di “svecchiamento” o in generale di miglioramento della precedente traduzione Alliata, presenta invece, a fronte di approfondita verifica, elementi di criticità tali, per entità e quantità, da compromettere, a mio parere in maniera grave, l’integrità del testo tolkieniano. Integrità nel complesso ben preservata, invece, dal testo Alliata-Principe.

In tempi recenti è capitato di leggere opinioni le più disparate, da parte di non specialisti, difficile dire quanto edotti riguardo alla analisi testuale di questa lunga e complessa opera, e quanto versati nel percepire le sfumature della lingua inglese. Tali opinioni hanno propeso, di volta in volta simpatizzando, magari per motivi estrinseci, verso l’uno o l’altro traduttore, quasi come se l’opera fosse stata scritta dai traduttori e non da Tolkien stesso. È invece frutto di grave fraintendimento porre il problema di un raffronto quasi come se si trattasse di un giudizio di gusto, della contesa tra due differenti concezioni dell’opera tolkieniana che avrebbero trovato nei due traduttori la loro naturale e legittima, ancorché antitetica, espressione. Niente di più lontano dal vero. Il confronto dei testi con l’originale inglese, infatti, non ha lo scopo di fare venire alla luce quale delle due traduzioni si confaccia maggiormente al capriccio di chi scrive queste righe, del traduttore, o del lettore, bensì di valutare la presenza di problemi oggettivi, i quali non sono da ricercare solo ed esclusivamente in errori di significato, ma anche di tono e di registro linguistico. È naturale, infatti, che una critica testuale non possa esimersi da una analisi delle scelte stilistiche, senza abbandonare tale ambito al completo arbitrio e alla soggettività, né trasformandolo in una disputa incentrata su convincimenti dogmatici e aprioristici. La libertà del traduttore non è una libertà esclusivamente sottoposta al dovere di mantenere una mole di mere informazioni, ma è anche soggetta alla necessità di preservare la forma, lo stile, con cui esse sono state espresse. Appare ridondante ricordare come, in un’opera d’arte quale è un testo narrativo, il confine che distingue un’opera di alto valore da una di valore mediocre sia da ricercarsi nella qualità narrativa, ben più che negli eventi narrati, ammesso e non concesso che codeste due dimensioni – quella contenutistica e quella stilistica – possano venire disgiunte.

I lettori di questo studio potranno quindi verificare come il raffronto con il testo inglese mostri con chiarezza incongruenze di resa stilistica nelle scelte di traduzione di Ottavio Fatica, tali da non lasciare spazio ad interpretazioni soggettive. Gli errori strettamente grammaticali o semantici – da cui nessuna delle due traduzioni in esame è esente – vanno certo corretti, ma non di meno vanno stigmatizzati problemi, ben più frequenti nella versione Fatica, di resa stilistica. Chiedersi perché soluzioni del tutto al di fuori del registro stilistico richiesto, come termini gergali, ingiustificatamente colloquiali, o tecnici, o inseparabili da contesti moderni o contemporanei, compaiano con tale allarmante e cacofonica frequenza in un testo di ambientazione medievaleggiante, è pratica oziosa che preferisco lasciare ad altri: il testo è l’unico oggetto del giudizio e ad esso si deve attenersi. Non occorre comunque certo troppa inventiva per intravedere tracce di tare ideologiche di attempata matrice in un’operazione, quale quella di traduzione, che dovrebbe invece improntarsi all’“invisibilità” del traduttore e all’umiltà intellettuale, al mettersi al servizio dell’autore di origine senza preconcetti e senza voler imporre una propria visione, ma accettando quella dell’autore, finanche nei suoi limiti. L’idea di “migliorare” il testo altrui è la più esiziale delle tentazioni per un traduttore.

Quali difficoltà presenta la traduzione del capolavoro tolkieniano?
Le difficoltà sono molteplici e difficilmente riassumibili, ma irraggianti principalmente da un unico fulcro: il fatto che Tolkien costituisca, sotto vari aspetti, un unicum nella storia della letteratura contemporanea. Egli è eccezione, non regola, ma eccezione maiuscola e memorabile, e proprio per questo sovente frainteso o sminuito, assimilato a letteratura “di genere” nel senso deteriore del termine, ovvero quella dei suoi emuli ed imitatori. Egli è sovente stato oggetto di antipatia ideologica o preconcetta da parte di certa critica cosiddetta “colta”, ma che colta di fatto non è, mancando degli strumenti culturali per poter comprendere un autore le cui ascendenze risalgono a testi mirabili ma fuori moda, seppure non certo per mancanza di qualità o perché abbiano mai cessato di dirci ciò che hanno da dirci. Mancando i termini di raffronto, le cose si complicano. O meglio, il raffronto esiste, ma va appunto ricercato non negli autori a Tolkien contemporanei, bensì nella letteratura medievale di cui egli fu profondo conoscitore ed a cui costantemente la sua opera si ispira, nonché, seppur forse in minor misura, nell’epica greca e in altri luoghi della tradizione classica. Come è noto, egli fu di mestiere filologo, professore ad Oxford, tra i massimi studiosi di letteratura medievale. Il testo di riferimento per comprendere la poetica di Tolkien è il poema in antico inglese Beowulf, a cui egli dedicò gran parte della propria carriera di studioso. I lettori delle nostre latitudini, forse meno versati nell’epica norrena, potranno udire nella austera ed aulica prosa tolkieniana echi di nitore petrarchesco, di lirica provenzale, o della solennità mai pomposa di un Tacito, che Plinio il Giovane volle sintetizzare con il ricercato aggettivo «δεμνως», che forse descrive bene, in una parola, anche lo stile dell’autore di The Lord of the Rings. In Tradurre Tolkien i lettori troveranno dunque non soltanto una analisi di traduzioni, ma un tentativo di approfondimento relativo alle caratteristiche uniche dello stile narrativo di Tolkien. Il desiderio è stato quello di proporre, al di là dell’attualità, una lettura stimolante e affascinante per ogni lettore desideroso di tornare ad immergersi con rinnovata consapevolezza nel ricchissimo mondo linguistico e letterario del grande scrittore inglese.

Marcantonio Savelli (1986), riminese, da molti anni risiede e lavora a Taipei, (Taiwan), dove ha ricoperto e tuttora ricopre incarichi di docenza presso alcuni tra i principali atenei taiwanesi. Allievo di Maurizio Malaguti, i suoi ambiti di ricerca spaziano tra filosofia e letteratura medievale. Tra le sue opere recenti ricordiamo Collecting the Treasures of the Old Masters (Taipei, 2019) e Erec (Cosenza, 2019). É anche autore di numerosi articoli scientifici dedicati a Tolkien, pubblicati su riviste specializzate italiane e straniere.

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