
Come si è articolata la storia del programma spaziale della Repubblica popolare cinese?
La domanda è complessa e il volume, in un prima parte, cerca proprio di rispondere a tale interrogativo, ripercorrendo le diverse fasi di sviluppo del programma spaziale della Rpc, per poi esaminarne i traguardi più recenti, dal lancio delle sondi lunari Chang’e alle missioni marziane. In generale però, si può dire che le origini della storia del programma spaziale cinese possono essere rintracciate nella seconda metà degli anni ’50, quando fu istituito il Quinto Istituto del Ministero della Difesa nazionale, primo centro di ricerca missilistico del Paese. La storiografia cinese ha peraltro periodizzato le fasi dello sviluppo aerospaziale secondo un percorso che segue l’evoluzione della più generale storia cinese contemporanea, le cui vicende e fenomeni socio-politici ne hanno fortemente influenzato indirizzi e risultati. Non a caso, alla prima fase degli anni ’50, caratterizzata dall’assistenza da parte dell’alleato sovietico, seguì una seconda fase negli anni Sessanta, inserita nel quadro della Rivoluzione culturale, quando il programma spaziale cinese conobbe il forte impatto del clima di caos e violenza che caratterizzò quel determinato periodo storico. Successivamente si individua uno stadio di riforma e apertura, quello degli anni ’80, nel corso del quale i piani spaziali di Pechino furono riorientati verso obiettivi pratici e la Cina avviò la commercializzazione all’estero dei propri lanciatori; infine, gli anni ’90 e 2000, rappresentano il periodo di pianificazione e attuazione delle missioni con equipaggio umano, da interpretarsi nel quadro di un più ampio, articolato e sofisticato sviluppo satellitare. Al di là di tale rassegna cronologica però, ciò che risulta fondamentale – ed è questo l’obiettivo che il volume si propone di perseguire – è problematizzare le modalità con cui la storia spaziale cinese è stata finora narrata, decostruendo i tanti “miti” che attorno ad essa si sono sviluppati.
Che caratteristiche presenta la narrazione dello sviluppo astronautico del Paese messa a punto dalla macchina mediatica del Partito comunista cinese?
Le caratteristiche della narrazione dello sviluppo astronautico cinese sono varie e rappresentano il prodotto di un lungo e articolato processo, ancora oggi in corso. Nei primi decenni dell’epoca maoista non esisteva una vera e propria narrazione dello sviluppo aerospaziale del Paese, dal momento che il lavoro svolto presso gli istituti di ricerca missilistica era noto solo a una ristretta cerchia di tecnici, leader politici e militari. Negli anni ’70, invece, grande spazio venne dato dalla macchina della propaganda del Partito al lancio del primo satellite cinese, ampiamente celebrato nel quadro del culto della personalità maoista e dell’esaltazione della Rivoluzione culturale. È però solo nel periodo di “riforme e apertura” degli anni ’80 che i successi spaziali cinesi trovarono ampio spazio sui media del Paese, nell’ambito di un re-inquadramento discorsivo dei progetti astronautici all’interno della visione maggiormente pragmatica della nuova leadership al potere. In questo contesto, il discorso cinese sull’aerospazio si spogliò della retorica maoista che lo aveva fin lì caratterizzato e fu reindirizzato verso l’esaltazione del ruolo che le tecnologie spaziali, soprattutto quelle satellitari, avrebbero potuto assumere ai fini del soddisfacimento di reali esigenze concrete, quali il monitoraggio delle condizioni meteorologiche o la telecomunicazione. In questo contesto, si sottolineava come la Cina si sarebbe concentrata sulla produzione di satelliti con un’applicazione pratica, così da favorire lo sviluppo tecnologico e la crescita economica del Paese. Ancora negli anni ’80, si avviò una prima riflessione storiografica sulle vicende aerospaziali domestiche, al fine di collocarle in una prospettiva diacronica, restituendo una visione più articolata del complesso processo di evoluzione delle stesse.
Solo a partire dagli anni Novanta però, in concomitanza con l’emergere di un richiamo sempre più forte da parte della leadership di Jiang Zemin all’idea di “nazione”, la Repubblica popolare formulò un vero e proprio racconto legato al suo percorso extra-atmosferico. L’affermarsi di una narrazione nazionalista dell’epopea cosmica cinese fu accompagnato dall’istituzionalizzazione di una memoria storica legata alle esperienze del Paese in tale settore, nel quadro di un’esaltazione di quanti, tra tecnici, scienziati e ingegneri, avevano contribuito alla realizzazione delle missioni aerospaziali. È proprio in questo contesto, ad esempio, che si avviò un processo di mitizzazione di Qian Xuesen, considerato il padre fondatore dell’industria spaziale cinese. Al contempo, si effettuò un recupero della cultura tradizionale e di quella rivoluzionaria, entrambe impiegate per elaborare un pantheon extra-atmosferico in cui personaggi storici e mitologici furono cooptati al fine di animare un “cosmo con caratteristiche cinesi”. Nel corso dei primi anni 2000 poi, la narrazione spaziale della Rpc si è arricchita del tema del “sogno di volare” (feitian meng), realizzatosi nel 2003, con il lancio del primo astronauta cinese Yang Liwei a bordo della navetta Shenzhou-5: in quel contesto, Yang fu celebrato come un eroe nazionale ed esaltato come un eroe confuciano.
L’ascesa spaziale conosciuta dal Paese nei primi anni 2000, peraltro, ha imposto alla Cina di dotarsi di meccanismi narrativi di “giustificazione”, al fine di presentare agli occhi della comunità internazionale un programma astronautico pacifico, non diretto alla militarizzazione delle orbite, come invece spesso la accusano, con prove più o meno fondate, politici ed esperti occidentali, in particolar modo statunitensi. Tale operazione di “giustificazione” è peraltro cruciale anche a livello domestico, al fine di contrastare quanti ritengono che il programma spaziale sottragga risorse alla sanità, all’istruzione e alla risoluzione di altre questioni socialmente rilevanti.
Un discorso a parte nell’elaborazione della narrazione cinese sull’aerospazio, infine, andrebbe fatto per il periodo dell’amministrazione Xi Jinping, che, a mio avviso, sta rappresentando una fase discorsiva per molti aspetti diversa rispetto a quelle precedenti. In questi ultimi anni infatti, il tema del “sogno spaziale” (hangtian meng), come il volume prova a spiegare, ha sostituito il precedente slogan del “sogno di volare”: in tale prospettiva, la nuova formulazione narrativa cinese non è più volta a dimostrare al mondo che la Cina possiede le capacità tecnologiche per volare nello spazio o porre degli astronauti in orbita – obiettivi ampiamente raggiunti da tempo –, quanto piuttosto a descrivere una “Nuova Era” basata su una presenza a lungo termine nell’ambiente extra-terrestre, grazie a una consolidata infrastruttura spaziale, più robusta e complessa, e con un grado di innovazione e sofisticatezza senza precedenti.
Tonio Savina, dottore di ricerca in Civiltà dell’Asia e dell’Africa presso l’Università di Roma “Sapienza” e cultore della materia in Storia della Cina contemporanea presso lo stesso Ateneo. Nel 2022 ha ottenuto una borsa post-doc presso gli archivi dell’Agenzia Spaziale Europea e nel 2023 la Taiwan Fellowship presso l’Academia Sinica di Taipei, dove nel 2018-19 è stato visiting Ph.D. student alla National Chengchi University. I suoi interessi di ricerca vertono su tecno-nazionalismo, teorie della narrazione e space diplomacy della RPC; a quest’ultimo tema ha dedicato il volume I rapporti tra Cina e Stati Uniti dagli anni Settanta agli anni Duemila. Una prospettiva astropolitica (2020).