“Tra storia e diritto: dall’impero austro-ungarico al Nation-Building del primo dopoguerra. La parabola della Repubblica cecoslovacca (1918-2018)” a cura di Lucia G. Sciannella, Romano Orrù e Francesca F. Gallo

Prof.ssa Lucia G. Sciannella, Lei ha curato con Romano Orrù e Francesca F. Gallo l’edizione del libro Tra storia e diritto: dall’impero austro-ungarico al Nation-Building del primo dopoguerra. La parabola della Repubblica cecoslovacca (1918-2018) pubblicato da Edizioni Scientifiche Italiane: in che modo la dissoluzione dell’impero austro-ungarico accese la questione delle nazionalità?
Tra storia e diritto: dall’impero austro-ungarico al Nation-Building del primo dopoguerra. La parabola della Repubblica cecoslovacca (1918-2018), Lucia G. Sciannella, Romano Orrù, Francesca F. GalloLa questione delle nazionalità rappresenta un aspetto cruciale della compagine imperiale ed elemento centrale del suo processo di disgregazione. Forze nazionali – come quelle ungherese e tedesche e, in parte, italiane – erano già presenti nell’impero asburgico dalla metà del XIX secolo. Nonostante la politica imperiale perseguisse un disegno strutturalmente di tipo centripeto, non fu mai possibile garantire all’impero una sostanziale omogeneità politica. Nel 1867 si giunge al compromesso austro-ungherese, ma furono evidenti, sin dal primo momento, le resistenze ungheresi, che comportò uno stato permanente di conflitto tra la nazionalità dominante (quella tedesca) e quelle soggette. Tale edificio dualistico entrò poi in crisi nella seconda metà del XIX secolo, testimoniando l’atavica incapacità dell’impero ad affrontare in modo organico e globale la questione delle nazionalità, preferendosi invece trattare, separatamente, con la molteplicità di gruppi etno-nazionali presenti al suo interno, in un contesto in cui non venne mai messo in discussione l’egemonia tedesco-magiaro. Con lo scoppio della prima guerra mondiale si evidenziò una distanza crescente tra le posizioni del governo viennese e quelle delle nazionalità soggette, che sarebbe sfociato, di lì a poco, nel riconoscimento del principio di autodeterminazione.

Quali vicende caratterizzarono i processi di Nation-Building del primo dopoguerra come quelli cecoslovacco e finlandese?
Si tratta di due processi apparentemente distanzi ma, nella sostanza, accomunati dal tentativo di conquistare autonomia e indipendenza dai rispettivi imperi. Nel caso finlandese, la dipendenza dalla Russia fu, nei secoli, sempre più percepita come un ostacolo al progresso in chiave liberale del Paese. Quest’ultimo, aveva progressivamente sviluppato importanti istituti giuridici che contribuirono a sviluppare una forte opposizione all’egemonia dell’impero. Da un lato, l’emergenza di una forma originale di controllo di costituzionalità preventivo, con il compito di verificare il rispetto dell’assetto costituzionale da parte della legislazione ordinaria e, dall’altro, l’introduzione delle c.d. “leggi di eccezione costituzionale” con le quali il Parlamento finlandese riuscì a modificare – anche senza l’assenso del governo centrale – l’assetto costituzionale. Il primo conflitto mondiale e la rivoluzione russa rappresenteranno, poi, il contesto storico e politico di riferimento che condurrà all’indipendenza della Finlandia dall’impero russo.

Nel caso della Cecoslovacchia, le radici dell’indipendenza affondano nella sistematica frustrazione dei tentativi posti in essere dai cechi, tra il XIX e il XX secolo, per ottenere autonomia dall’impero austro-ungarico. Pertanto, la prima guerra mondiale creò le condizioni essenziali affinché le aspirazioni autonomistiche dei cechi e degli slovacchi si concretizzassero, dando vita a un sistema costituzionale che rappresentò un unicum nel panorama europeo, non solo per la scelta repubblicana, ma anche in ragione dell’adozione di un sofisticato sistema parlamentare, il ricorso a libere elezioni, il multipartitismo, la tutela dei diritti fondamentali. Tali caratteri progressisti rispecchiava una società avanzata dal punto di vista sociale, culturale ed economico, caratterizzata dalla presenza di una solida classe borghese e di una forte classe operaia.

In quale contesto culturale e politico maturò lo scisma della Chiesa nazionale cecoslovacca?
Verso la fine del XIX secolo, una parte significativa del clero di lingua ceca, in Boemia e Moravia, sviluppò un sentimento di forte contrapposizione nei riguardi dell’eccessiva vicinanza e subalternità dalla chiesa cattolica nei confronti dell’impero austro-ungarico, sulla base della convinzione che la chiesa sostenesse l’egemonia dei tedeschi e degli ungheresi. Il clero ceco, invece, si sentiva più vicino alle esigenze di autonomia dei cechi e degli altri popoli slavi.

Nel 1890, ecclesiastici cechi e slovacchi fondarono un’unione – denominato Jednota – che appoggiò apertamente il processo di modernizzazione della chiesa cattolica, sostenendo, tra l’altro, l’introduzione della lingua volgare nelle celebrazioni liturgiche, l’abolizione del celibato dei sacerdoti e un riavvicinamento alla chiesa ortodossa. Il Vaticano tentò di reprimere tale movimento ma, lo scoppio della prima guerra mondiale, e il processo di indipendenza della Cecoslovacchia, pose le basi per lo scisma: nel Natale 1919, i sacerdoti aderenti alla Jednota iniziarono a celebrare la Messa in lingua ceca e nel gennaio 2020, l’ala radicale, che assunse il nome di Ohnisko, si pose a capo dello scisma, fondando la Chiesa cecoslovacca.

Quale ruolo ebbero i poteri statali nell’equilibrio costituzionale della Repubblica Ceca?
La Repubblica cecoslovacca assunse, nell’Europa del primo dopoguerra, un ruolo di Stato democratico, con una forma di governo parlamentare particolarmente progressista. La Costituzione ricalcava il modello politico-costituzionale delle Carte approvate dagli Stati divenuti indipendenti in seguito della caduta degli imperi. Si prevedeva un Parlamento di tipo bicamerale eletto a suffragio universale, con sistema proporzionale, da tutti le donne e gli uomini di età superiore ai 21 anni. Il Presidente era eletto dalle Camera e durava in carica sette anni, con un limite di due mandati e fungeva da garante del sistema costituzionale. Un aspetto degno di nota della Costituzione cecoslovacca del 1920 risiede nel fatto di essere stata la prima Carta a prevedere l’istituzione di una Corte costituzionale, distinta dall’ordinamento giudiziario, competente a sindacare la legittimità costituzionale delle leggi.

Il delicato equilibrio politico tra cechi e slovacchi venne, dunque, garantito da un quadro costituzionale in grado di gestire le problematicità legate alle minoranze nazionali. In questo contesto, le ataviche frizioni con i tedeschi dei Sudeti si affievolirono proprio in ragione della loro partecipazione alla vita politica della nascente Repubblica.

In che modo il nostro Paese venne coinvolto nel processo di edificazione nazionale di Cecoslovacchi e Jugoslavi?
Nel pieno svolgimento del primo conflitto mondiale, alcuni importanti figure politiche italiane avevano intessuto stretti rapporti politici con gli esuli cechi e slovacchi, scappati dai territori dell’impero. E fu proprio a Roma che nacque, nel 1917, la Lega italo-cecoslovacca e fu a Roma che vennero dati alla stampa i primi periodici sull’irredentismo ceco. Sempre in Italia, si inquadrarono e addestrarono i patrioti, attraverso la Legione cecoslovacca in Italia. E, infine, fu sempre a Roma, in Campidoglio, che si tenne il Congresso dei Popoli oppressi. Insomma, pezzi importanti della classe politica del Regno d’Italia appoggiò la causa cecoslovacca, sostenendo la fine della monarchia asburgica e la formazione di nuovi Stati nell’Europa centro-orientale e sud-orientale, sulla base del principio di nazionalità.

Lucia G. Sciannella è professore associato di Diritto Pubblico comparato presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Teramo

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