
Con ciò non voglio dire che dal mio libro non emerga quello che ritengo fosse il grande filosofo italiano. Tommaso Campanella è stato un autentico rivoluzionario, non è certo per un caso che egli fosse tra i primissimi in Europa a utilizzare il termine «rivoluzione» nel significato moderno di sommovimento politico e sociale. Le sue idee in politica, filosofia, religione, erano dirompenti rispetto al panorama intellettuale cinque-seicentesco. Infatti, egli visse metà della sua vita in carcere, spesso in condizioni disumane, sepolto per anni sotto terra. Campanella fu reo d’aver tentato una rivoluzione nella sua Calabria, tesa a istituire una repubblica che restituisse agli angariati meridionali la propria «libertà naturale», in nome dei suoi ideali che erano quelli di libertà, di giustizia sociale, di eguaglianza. E che ribaltasse il cristianesimo, sostituendolo con una religione naturale di orientamento libertino e panteistico. Egli fu un filosofo che amava la pace e il bene comune. Un pensatore per tanti versi ancora attuale, basti pensare alle sue battaglie per il merito (contro l’ereditarietà delle cariche), per la riconfigurazione del concetto di lavoro (lavorare tutti lavorare meno), per un’istruzione universale diremmo oggi ipertestuale, per la ricerca scientifica al di là di ogni dogma religioso, per le donne…
Quali interpretazioni ha subito il pensiero campanelliano?
Come accennavo, questo è il problema principale relativo a Campanella. Proprio per questo ho dedicato un libro a tutte le sue interpretazioni, il che mi ha messo di fronte a un cumulo impressionante di mistificazioni. Mistificazioni in larga parte dovute a cause ideologiche o apologetiche, a moventi politici o religiosi e non storiografici, che con lo studio di Campanella poco o punto avevano a che fare; né sono mancati casi (come pur dimostro) di interpretazioni derivanti da interessi grettamente personali. Sembra incredibile, considerando che si tratta pur sempre di un autore piuttosto celebre (se non altro per la Città del Sole), ma Campanella è uno di quei personaggi storici su cui più ha gravato il peso di invenzioni, miti, fraintendimenti che ne hanno distorto totalmente il pensiero. Su questo piano (ma non solo su questo) è un caso analogo a quello di Niccolò Machiavelli, del quale ancora si pensa che il suo motto fosse «il fine giustifica i mezzi», una frase che Machiavelli non scrisse mai.
Da più di cinquant’anni, poi, negli studi è totalmente dominante un’immagine di Campanella come utopista in gioventù e fedele cattolico nella maturità: un autore la cui opera principale sarebbe una sua monumentale Teologia. Un’assoluta sciocchezza! Eppure è quel che passa il convento, come usa dire. Ed è una chiave interpretativa che ha avuto come conseguenza quella di cancellare il nome del filosofo dall’evoluzione della modernità: dal Rinascimento, dal libertinismo, dal libero pensiero, dalla rivoluzione scientifica. Cioè dalle correnti intellettuali in cui giocò un ruolo da protagonista. È contro questa realtà che ho cercato di reagire col mio libro.
Come si giunse alla riscoperta di Campanella?
Possiamo parlare di autentica riscoperta solo per l’Ottocento, poiché tra la stagione illuministica e il periodo rivoluzionario il suo nome era man mano sparito dai radar della cultura europea. Per il resto lungo tutto il Seicento Campanella è stato sempre ben presente (avversato o ammirato) quale personalità di primo piano della cultura del dissenso. E dopo esser riemerso nel primissimo Ottocento tra i patrioti della prima generazione risorgimentale, quale simbolo della lotta italiana contro lo straniero, percorse l’Ottocento schiacciato tra un uso politico neo-guelfo e uno socialista, che ne stravolsero l’immagine ancor più.
L’autentica riscoperta di Campanella, la nascita di una storiografia campanelliana, è merito dell’avellinese Luigi Amabile, che a fine Ottocento riuscì a scoprire centinaia e centinaia di documenti mettendo a tacere secoli e secoli di sciocchezze, di miti, di invenzioni. Da allora, grazie a vari studiosi tra cui Giovanni Gentile, Luigi Firpo, Germana Ernst e altri, sono proseguiti senza sosta gli studi sul filosofo, ma, come accennavo, l’affermarsi dell’interpretazione ancor oggi dominante – che vuole in Campanella un ribelle poi rientrato nell’ovile della Chiesa – ha ridotto in un cantuccio il calabrese, schiacciato, per esempio, dal confronto col suo contemporaneo Giordano Bruno, oggi molto più famoso e celebrato. Un esito assurdo – senza nulla togliere, ovviamente, alla grandezza di Bruno – , dovuto solo e soltanto alla sopravvivenza di interpretazioni distorte che è giunto il momento di lasciarsi alle spalle, affinché questo grande autore sia finalmente studiato come merita, tornando a occupare il posto che gli spetta nella storia dell’Europa.
Quale bilancio si può trarre dell’opera e del pensiero di Tommaso Campanella?
Il bilancio è di una personalità di primo piano nel tardo Rinascimento, nel libertinismo, nel barocco, nella storia del libero pensiero e della rivoluzione scientifica. Un grande filosofo che ha lottato per le libertà e la giustizia, un uomo dalla tempra eroica, dotato di un coraggio e di un vigore straordinari, che gli permisero di sopravvivere a peripezie di vita eccezionali e a indicibili torture. Un rivoluzionario, un visionario capace di parlarci ancora adesso. Un autentico classico.
Al contempo, egli fu una delle principali vittime della repressione controriformistica che asfissiò l’Italia al tempo suo (e che ancora oggi non manca di sopravvivere in cascami puteolenti). Processato dall’Inquisizione quattro volte, condannato due (una delle quali a vita), tutti i suoi libri furono posti all’Indice dei libri proibiti (dal quale saranno cancellati addirittura nel 1900!). Il che non gli impedì di scrivere e pubblicare al di fuori dell’Italia migliaia di pagine. E di rivolgere alla Chiesa dalla fossa in cui era sotterrato, con coraggio sovraumano, il suo urlo di difesa di Galileo Galilei: la Chiesa aveva decretato che l’idea eliocentrica di Copernico (e di Galilei che la dimostrava) era eretica. Per il papa era il Sole a girare intorno alla Terra e non il contrario. Campanella, allora, scrisse il suo celebre pamphlet, l’Apologia pro Galileo (del 1616, pubblicata a Francoforte nel 1622), in cui difese lo scienziato pisano contro quella stessa Chiesa che lo teneva in carcere da quasi vent’anni. E ciò in nome del principio (oggi accolto nelle Costituzioni) della libertà della ricerca scientifica, indipendentemente da ogni dogma. Una pietra miliare nella storia dei diritti di libertà nell’Occidente, troppo spesso dimenticata a detrimento della molto meno importante Città del Sole, che, come dimostro nel mio libro, fino all’Ottocento fu pressoché sconosciuta, mentre con l’avanzare dei movimenti socialisti e comunisti divenne sempre più l’opera con cui identificare Campanella. Un qualcosa che il filosofo non ha mai pensato, un’autentica «invenzione della tradizione», e basti pensare che egli pubblicò la sua utopia come «appendice» a un’opera che riteneva ben più importante, dal titolo De politica, e con cui scriveva di aver «fondato la Scienza politica». Un’opera dimenticata da decenni ma che per secoli passò di mano in mano tra i dotti di tutta l’Europa, sempre indicata come segno della sagacia politica del grande filosofo stilese.