“Tίς Omero Chi? Questione Omerica come questione Logica. Dove inizia il cammino dell’Occidente” di Sergio Landi

Dott. Sergio Landi, Lei è autore del libro Tίς Omero Chi? Questione Omerica come questione Logica. Dove inizia il cammino dell’Occidente edito da Effigi: come si è sviluppata nel tempo la Questione omerica?
Tίς Omero Chi? Questione Omerica come questione Logica. Dove inizia il cammino dell’Occidente, Sergio LandiLa “questione omerica”, ricerca della genesi delle opere intestate ad “Omero”, emerse intorno al 1700. In risposta al razionalismo, G. B. Vico, nella Scienza Nuova, mise a fuoco la storia delle civiltà a partire dalla “barbarie” dell’antica Grecia valorizzandone in funzione antirazionalistica gli elementi di primitivismo come radice di un pensiero che non rinnegava la Fantasia creatrice della poiesis. Se alla base della storicità degli Illuministi stava la concatenazione dei fatti prodotti dall’uomo, Vico rivendicava come fondamento della civiltà anche il cammino compiuto nel mondo del fantastico, delle simbologie e dei Miti. L’Omero, “poeta senza tempo né luogo” scrisse, era assunto a simbolo di una cultura diffusa e di una civiltà che intrecciava mito ed epos, umanità e religiosità del divino. Qualche anno dopo Wolf in “Prolegomena ad Homerum” sviluppò il tema del “popolo poetante” e successivamente della poetica omerica come enciclopedia. Era il filone antropologico degli studiosi pluralisti. Piuttosto che su un grande ed unico poeta costruttore di ventiseimila versi si metteva l’accento, con Parry, Havelock, Cerri, Codino e lo storico Chester Star sulla derivazione oralistica dei Poemi (Iliade ed odissea). Il canto itinerante degli Aedi e la recitazione dei Rapsodi contribuì a formare una vasta mole di formulari, tramandati, intorno alle gesta di Eroi, Divinità e Semidei che popolavano la memoria delle genti di Grecia in un miscuglio di dialetti e narrazioni che furono alla base della affermazione di una cultura comune. Antiche favole a sfondo epico che “quando e come furono messe per scritto noi non sappiamo” (Chester Star in “Le origini del Mondo Greco”). La scritturalistica e l’approccio degli “unitari” che vedevano nella complessità delle opere e nella loro costruzione una unica mano ordinatrice ed ispiratrice portò alla identificazione del Grande Poeta come artefice di narrazione e scrittura. Il filone dei filologi si arricchì di studiosi come Schadewaldt, Wilamowitz, Montanari e Di Benedetto. Le Grandi Opere non potevano prescindere dalla mano e dalla mente di un Grande Poeta anche se circondate dalle opportune cautele del “si presume” “forse” in molteplici varianti interpretative fino alla affermazione di un grande grecista, Martin West, che scrisse in modo singolare che la unitarietà dei poemi non poteva che essere ascritta ad un unico grande poeta…che non era Omero. Su queste sponde distinte e distanti si è dipanata la “questione” del Chi fosse Omero e se fosse Lui l’Autore. Prima del 1700 la Questione non si era posta. Dopo Cicerone che nel “De Oratore” (65 a.C.) aveva dato un lettura della formazione delle Opere ricordando “dicitur” che le opere erano state “disposte” (raccolte e messe in ordine) al tempo dei Pisistrati (circa 540 a.C.) vi fu un grande buio. Omero è come scomparso. Si susseguono Commenti e raccolte di Commenti (Eustazio di Tessalonica 1170), Leonzio Pilato che cura una edizione in prosa latina di opere di Omero per conto di Boccaccio. Aveva fatto scuola Papinio Stazio (citato anche nella Commedia) nel 90 circa d.C. con la sua Tebaide nel recupero di antiche tradizioni mitiche dell’Ellade assimilabili ai Miti dell’Iliade. Nel 1488 un esule greco Demetrio Calcondila aveva pubblicato una edizione dell’Iliade. Tommaso Campanella (1600 circa) aveva criticato “gli italiani che attendono a poetar con le favole greche” e collocava Omero nella “scuola inimicissima del vero” e “pasciuta d’ombre e di menzogne tante”. Ma su questa stroncatura si erano già esercitati Socrate, Platone e Aristotele che non dubitavano della esistenza di Omero e della produzione poetica a lui attribuita. Cosa era successo?

Nel 415 d.C. ad Alessandria la furia anti politeista e antiellenistica di una folta aggregazione di nuovi cristiani distrusse la Biblioteca, il suo angolo più prezioso, il Serapeo e fece a pezzi Ipazia espressione di una cultura scientifica libera e antidogmatica che aveva la radice nell’ellenismo. Che cosa rimase in quella tragedia delle opere di scienza, filosofia e cultura greca? Non lo sappiamo, né sappiamo cosa fu salvato dei lavori dei grammatici alessandrini dei quali a pezzi e bocconi furono recuperate parti, sottratte ad una altra furia, quella degli Ottomani che nel 1453 avevano conquistato Costantinopoli. Se agli alessandrini che avevano lavorato dal 330 al 143 a.C. su materiali sparsi era mancato l’Archetipo per alcuni secoli fino al Rinascimento mancò anche il lavoro organico dei grammatici di Alessandria che avevano chiosato, purgato, annotato ciò che presumibilmente era stato lasciato dalla prima edizione dei Pisistrati.

Quali indizi supportano la tesi di una datazione dei testi omerici al tempo di Pisistrato?
Quando i Pisistrati dettero agli Ateniesi le Panatenee, Olimpiadi recitative tra Rapsodi sulle tradizioni poetiche antiche, offrirono una grande scena su cui I cantori potevano non solo esercitare la loro abilità vocale, ma anche introdurre, su elementi precedentemente raccolti o trovati, varianti compositive . Gli “Omeridi” nascevano in gara tra loro. Che vi fossero, precedentemente già composti, ventiseimila versi trascritti in migliaia di papiri, magari risalenti a due/trecento anni prima è punto di ragionevole dubbio. Il primo che attribuì a Pisistrato o al di lui figlio Ippia l’esercizio della disposizione delle opere di Omero fu Cicerone. Non ci sono motivi per dubitare che il “dicitur” ciceroniano fosse la manifestazione di una conoscenza diffusa del fatto. Se Socrate, Platone e Aristotele ebbero da dire la loro critica sulla poetica omerica e lo fecero duecento anni dopo l’età dei Pisistrati non si può che ritenere che a quel tempo i materiali omerici furono più che ritrovati (dove, quanti, in quali condizioni, su quali supporti tecnici?) riordinati e frutto di nuova elaborazione. Aristotele (ma lo cita anche Dante) parlò di Pisistrato come un uomo che governò più come cittadino che come tiranno. Operò per far crescere Atene e la sua cultura, la consapevolezza di se e della sua capacità egemonica, non solo di dominio. Iliade ed Odissea rappresentarono un fattore di maturazione di una coscienza identitaria in un tempo che si lasciava alle spalle anarchia sociale e instabilità civica di cui la differenziazione dei linguaggi era uno dei fattori più evidenti. Le Opere sembrano lo specchio di una società greco/ateniese che si lasciava alle spalle il primitivismo dei costumi e costituiva i cardini di una civiltà moderna, del Logos, del Demos, del Nomos (il diritto che si libera della pulsione della vendetta). In questo senso l’aspetto ideologico colto nelle opere da parte di Di Benedetto (Il Laboratorio di Omero) vuol significare che nelle Opere non c’è solo la cucitura di antiche memorie ma un telos (disegno/ scopo) che doveva fornire al potere politico una copertura culturale tale da suscitare consenso popolare. Cinque indizi mettono in luce le contraddizioni di quanti presumono la scrittura delle opere nel IX od VIII secolo. Esiodo ed Omero, scrive Erodoto, “si suppone “siano coevi e vissuti 400 anni prima di lui (484-430 a.C.). Eppure mentre di Esiodo produttore di 1800 versi (Teogonia) si sa tutto, di Omero tutto si ignora. La Grande Guerra di Troia “si presume” si sia svolta in 10 anni intorno al 1180/1190 ma di essa nulla si sa circa una qualche documentazione materiale (gli scavi a Hissarlick ci dicono che li ci fu una città-Wilusa ma non quale strato dei 10 sia riconducibile alla grande Troia distrutta dai greci). Mente della battaglia di Quades di 50-80 anni prima tra egizi e Ittiti si sa tutto come si sa delle conseguenza (il patto tra i contendenti). L’elenco delle navi e della ipotetica ingente forza greca fa ritenere poco realistica la conduzione di una guerra decennale in assedio ad una città, regno autonomo dell’Impero Ittita. Molte, troppe sono le previsioni…sul passato di indovini che appaiono piuttosto consiglieri degli Eroi. Le “profezie” sembrano piuttosto costitutive di un disegno ispirato da un politico visionario che non da un poeta o troppo giovane o troppo vecchio per definire in modo organico il rapporto tra Etica e Diritto, Memoria individuale e Identità collettiva, verosimiglianza dell’incredibile e fiaba attualizzata nel racconto di Odisseo e poi la introduzione di un fattore di logica prima della logica nello scontro tra essere e non essere del dialogo tra Ulisse e Polifemo. Un quarto indizio ci porta alla affermazione di Cerri che ritiene “diversa la mano poetica ma anche la sua datazione ad un nuovo momento storico”. Ma anche Pasquali in Filologia e Storia contesta l’ipotesi che al tempo dei Pisistrati ad Atene vi fosse una Biblioteca contenente 48 libri peraltro in una suddivisione che fu successivamente adottata dal primo degli alessandrini, Zenodoto. I 1800 versi della Teogonia pervennero ai grammatici di Alessandria in 30 papiri e 60 manoscritti. Quanti papiri occorrevano per raccoglierne ventiquattromila? Quando Cerri ritiene che la edizione di Pisistrato sia stato l’anello finale della catena recitativa degli esperti in recitazioni omeriche non si può escludere ed è ragionevole pensare che essa sia stata anche il suo momento creativo. Rimane un ultimo indizio: la complessità compositiva delle opere, la loro differenziazione e complementarietà, la molteplicità di competenze per affrontare Etica, tecniche di combattimento, psicologia dei soggetti in campo, uomini e divinità, disegno geopolitico che sottende ad entrambe le Opere fa ritenere che il lavoro sia stato frutto di una organizzazione intellettuale (i Melpoi?) di cui un Poeta, tra poeti, poteva essere coordinatore ma sotto una guida ispiratrice ed una alta regia politica. Il Polutropon Pisistrato sembra essere stato l’uomo giusto al posto giusto, nel momento giusto.

Come si articolò la Questione omerica nella Grecia antica?
L’antico mondo greco era prigioniero dei Miti. Il quadro concettuale costruito da Esiodo tra VIII e VII secolo rappresenta con l’antropomorfismo del Divino un mondo ancora confuso. Dei che aspiravano ad essere umani, crudeli e ingannevoli, protagonisti delle peggiori pulsioni, umani che ambivano ad essere Dei. Verso e recitazione erano l’esercizio di popoli che cercavano una radice ed una ragion d’essere. Poco importa che si recitasse nelle Corti. Le Corti erano il Popolo (il Banchetto del Re dei Feaci nell’Odissea ne è una espressione scenografica inconfondibile). Dunque vi è una Classe di Guerrieri ed Agraria che deriva da antiche stirpi e che deve giustificare Se di fronte a tutti gli altri. Prevale l’identità genealogica. Si chiamano tutti col nome del Padre. Solo Ulisse dichiarerà di essere padre di Telemaco. Il mondo della antica Poesia e dell’Iliade e dell’Odissea (pur con forti differenziazioni) è ancora un mondo Di Magia e Fantasia. L’uomo Ulisse (Politico, Manager, Leader, mio testo edito da Booksprint Edizioni, 2020) si fa strada a fatica, è proprio una odissea, in un contesto di favola ed esseri mostruosi dove la barbarie è ancora diffusa. Nella odissea il Logos si affaccia (nell’Iliade la parola è solo espressione di sentimenti ed impulsi primordiali) ma come esercizio di Retorica e di Raggiro. L’inganno e il paradosso (io sono Nessuno) sono la cifra prevalente della comunicazione verbale prima che la Sophrosine SPA (Socrate, Platone, Aristotele) duecento anni dopo i Pisistrati fornisse gli elementi concettuali sofisticati di un esercizio nuovo del pensiero. Il baricentro si spostava sul lato sinistro della mente. Così nelle loro mire non poteva che esserci una Poetica che prigioniera del fantastico sfugge alla ragione. Alla ricerca del Sapere e del Vero, Platone nella Repubblica vedeva nelle Opere di Omero un rischioso intento didascalico e diseducativo (la Poesia come mondo della fantasia e del falso). Aristotele nella Poetica dichiarò che Omero ha soprattutto insegnato agli altri come dire il falso. Che Omero fosse l’autore delle opere intestatagli al tempo dei Pisistrati non era in discussione. Dopo di loro gli alessandrini, rettori della Grande Biblioteca, misero mano ai materiali di cui disponevano (e non si sa quali) per chiosare, togliere ed aggiungere ed in qualche caso non si può escludere anche manipolare arditamente per dare alle opere un qualche senso compiuto ed ordinato. Heinsworth (Ed. Valla, Odissea vol. II) sostiene che quello dei grammatici alessandrini fu un processo rielaborativo plurimo nel groviglio di imprecisioni, stranezze e incoerenze che i testi manifestavano. Cominciarono a quel tempo le dispute filologiche (eterogeneità, banalità, improprietà) sui testi disponibili . Le correzioni di lingua e di sintassi nascondevano problematiche reali di identificazione che gli scoli/appunti non chiarirono ma amplificarono. Rimaneva aristotelicamente misterico il rapporto tra Nous/intuizione e Logos/ragione che traspariva tra le righe.

La Consorteria dei Cantori/recitatori, I Melpoi di Mileto e gli Omeridi di Chio, avevano fatto del loro meglio per lasciarci un segno di come attraverso la poetica si erano gettati i germi di una civiltà che si andava liberando di antichi primitivismi. La civiltà ellenica era in cammino. Sul piano politico dopo la grande vittoria sugli eserciti orientali (Le Guerre persiane, Erodoto -500-479) i Greci, sicuri di se, si erano imbarcati nelle guerre fratricide del Peloponneso (Tucidide, 454-350) e la anarcodemocrazia di Atene si trovò a soccombere di fronte a Sparta. Il pensiero si era già esercitato sull’Archè, l’Infinito, l’Essere e il Divenire, il Numero e la Musica e il “conosci te stesso” di colui che “sa di non sapere”. Erano andati molto avanti rispetto a ciò che “Omero” aveva lasciato in eredità con l’iroso Achille vittima di una sindrome bipolare e Ulisse che chiude la sua vicenda con una Vendetta che sa di giusto risarcimento delle angherie subite (la gara con l’Arco) ma che poi in un libro aggiunto (dai soliti alessandrini) deve accettare il compromesso proposto/imposto dagli Dei con la classe aristocratica dei Pretendenti fondando così, sul Diritto, un nuovo Deal.

Quale interpretazione è dunque possibile offrire circa l’origine dei testi omerici?
Le ricerche compiute e la rassegna delle interpretazioni che si sono succedute, entrambe (oralisti e strutturalisti) terminanti in un vicolo cieco, fanno ragionevolmente ritenere che la formazione delle opere intestate ad “Omero” fu frutto di un lungo processo di manipolazione intorno a cui classi dirigenti colte disegnarono il volto della loro civiltà in cammino. Il cammino che si rintraccia fu collettivo (Logos, Demos, Nomos/diritto) ma anche individuale, dal Sapere al Fare al Saper Fare al Far Sapere fino al Saper Far fare. Dalle memorie tramandate oralmente si passò alla loro traduzione scritta quando la scrittura, dopo i secoli bui, consentiva una formulazione sintattica capace di integrare i numerosi e diversi dialetti con i quali si era recitato sul continente greco e sulle coste dell’Asia minore. Occorreva che la vecchia società agraria si trasformasse progressivamente in una società più articolata e multiforme di artigiani, commercianti, navigatori (vi è traccia nel popolo dei Feaci /Odissea). Questo passaggio produsse instabilità politica che solo con le Tirannidi fu imbrigliata sottraendo il Popolo alla prevaricazione della classe guerriera delle aristocrazie. Pisistrato di Atene ne fu la espressione più significativa. Governò con moderazione, costruendo rapporti non solo di dominio con le città vicine, Introdusse una moneta argentea di grande prestigio, ampliò la influenza ateniese, sviluppò una notevole flotta (come le mille navi della flotta achea dell’Iliade), introdusse misure fiscali di equità scontentando la classe aristocratica. Morì nel suo letto ed il figlio Ippia che ne aveva ereditato il potere fu soverchiato da un complotto ordito da Sparta in combutta con gli Aristocratici ateniesi insoddisfatti. A differenza di Pericle interessato alla più remunerativa attività degli architetti e scultori, incoraggiò la diffusione della Poesia e delle tradizioni poetiche degli antichi cantori. A lui risale la prima edizione (lo ricorda Cicerone nel De Oratore) delle opere intestate ad Omero che fu assunto a sigillo della validità della ottima recitazione e della vera tradizione. Piuttosto che scomodare il Poeta giovane o quello vecchio, cieco che si accompagnava col bastone appoggiato ad un allievo e che dettava i 14 mila versi dell’Odissea (o solo sintetici formulari ripetitivi?) è più logico pensare ad Omero come Garante, Pegno, Ostaggio (una delle traduzioni del vocabolo) assunto come tale da Pisistrato a copertura di un lavoro che nelle Panatenee i Singoli cantori andavano recitando mentre l’abile regia di un Tiranno che fu genio politico faceva trascrivere per fissare la storia civile dell’Ellade della quale Atene si proponeva come faro di cultura.

Sergio Landi è nato a Fauglia (PI) il 12/02/1950. Ha vissuto dal 1960 al 2016 a Livorno dove ha svolto attività politica, istituzionale e professionale. È sposato e ha tre nipoti. Dal 2016 in pensione. Dal 2107 vive nella Maremma Felix, nel paese di Roccastrada che fu Rocca Ghibellina. Ha studiato alla Università di Pisa, Facoltà di Scienze Politiche, e conseguito un Master in Financial Advising all’Università di Siena. Dal 2002 al 2012 è stato membro del CdA dell’Aeroporto di Pisa. Ha svolto attività di Consulenza Aziendale e Finanziaria. Dopo l’esercizio di finanza professionale, liberato dagli obblighi di lavoro, si è dedicato al recupero di molteplici conoscenze di cultura classica. Ha scritto Odissea. Ulisse politico, manager, leader (Booksprint Edizioni, 2020), Dante tra Amiata e Maremma (Effigi Edizioni, 2021), Tis Omero chi? (Effigi, 2022).

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