
Tina Anselmi iniziò il suo impegno di lotta politica sin da giovane come staffetta partigiana: quali episodi di quell’esperienza racconta nel Suo libro?
Tina Anselmi scelse alla giovane età di diciassette anni di aderire alla Resistenza, senza se e senza ma. La scelta fu motivata dalla orribile visione del 26 settembre 1944 a cui assistette a Bassano del Grappa, dove frequentava l’Istituto Magistrale. Quel giorno i nazifascisti costringono gli studenti e la popolazione ad assistere all’impiccagione di trentuno giovani, catturati senza nessuna responsabilità di atti di guerra, tra cui il fratello della sua compagna di banco. La Anselmi avrà a dire: “Potevamo assistere alla sofferenza, a quello che avveniva intorno a noi senza far niente? (…) Per non sentirci corresponsabili dei massacri. E la nostra risposta venne”.
Qual era la personalità di Tina Anselmi?
Una donna solare, capace di affrontare con competenza le responsabilità che la vita le ha offerto, di operare per lo sviluppo democratico del paese, fedele alle istituzioni anche se non sempre le scelte che dovette sostenere rispondevano ai dettami della sua coscienza, come quando Ministro della Salute firmò la legge sull’aborto, che come cattolica e credente personalmente non condivideva, ma come ministro approvò nel principio della laicità dello stato.
Quali vicende segnarono la vita e l’attività politica di Tina Anselmi?
Tina Anselmi ebbe due incarichi parlamentari, quattro incarichi di governo, presentò 475 disegni di legge, 134 atti di indirizzo e controllo, di cui sedici prima firmataria, e 128 interventi in Parlamento.
Tina Anselmi ricoprì importanti incarichi affidati per la prima volta nella storia repubblicana a una donna: cosa rappresentò per tutte le donne del nostro Paese il suo esempio?
Fu la prima Ministra donna a ricoprire il dicastero del Lavoro e quello della Salute, si impegnò giovane a difendere le operaie tessili della Castellana nel rinato sindacato democratico, fu Presidente della Commissione Nazionale Parità della Presidenza della Repubblica. Ma la giovane Tina fu anche impegnata a difendere e tutelare le donne prostitute dopo la chiusura delle case di tolleranza, lavorando fianco a fianco con Lina Merlin, socialista, che fu la promotrice dell’abolizione delle cosiddette case chiuse. Ma fu anche la donna che dialogò, unica, con la famiglia Moro, nei giorni terribili del rapimento dell’onorevole Aldo Moro. Dialogò con figure molto importanti della storia del nostro paese, in particolare con donne anche più giovani di lei, oltre le differenze e le appartenenze politiche e di partito, riconoscendo le differenze, ma lavorando per il bene comune. Per questo fu ed è tuttora molto amata, anche se la sua figura non ha avuto la valorizzazione che merita. Mi auguro che il mio libro possa contribuire a rilanciare e far conoscere soprattutto ai giovani il suo percorso di vita e di impegno nelle istituzioni.
In un momento delicato per la vita della Repubblica, la Anselmi fu scelta per presiedere la Commissione parlamentare di inchiesta sulla P2: come interpretò il Suo incarico?
Delegittimata, insultata, minacciata, vilipesa, spesso lasciata sola anche dal suo stesso partito, lavora con fermezza e senza sosta come Presidente della Commissione P2. Servitrice della Repubblica, fu tra le persone che in quegli anni oscuri contribuì a salvare il paese da una svolta autoritaria e dai torbidi fatti, che sconvolsero fino alle fondamenta il nostro paese. Alla fine dei lavori della commissione la lista dei corrotti risulterà di gran lunga superiore a ogni prevedibilità. In poco più di tre anni verranno pubblicati 120 volumi sull’inchiesta della P2.
Qual è l’eredità umana e politica di Tina Anselmi?
Il mio libro vuole offrire un profilo di Tina Anselmi, ricostruito con attenzione e rigore delle fonti, ma anche attento al suo essere, alla sua personalità, alla sua modalità di vivere e affrontare le prove che la vita le ho posto. Una donna che ho definito donna della primavera, il suo tempo ideale e simbolico. Trame di vita, incontri, relazioni, affetti e amore per la sua terra, la sua Castelfranco fino alla fine dei suoi giorni, rimandando a una storia collettiva e corale che pone il Novecento come fulcro e sguardo privilegiato, per narrare una storia di vita che può offrire oggi spunti a tutti noi e speranze di un futuro nel quale la democrazia e i diritti siano alla base della convivenza civile.
Marcella Filippa vive a Torino. Storica, saggista, traduttrice, giornalista pubblicista, vincitrice di premi letterari, ha diretto mostre, realizzato sceneggiature per documentari. Consulente di case editrici, responsabile di collane editoriali sul pensiero femminile europeo. Ha pubblicato libri di storia del Novecento sul tema del razzismo e di storia delle donne, tradotti anche all’estero, e ha curato volumi collettanei. Direttrice della Fondazione Nocentini, è stata docente all’Istituto Europeo di Design. Collabora con istituti culturali internazionali. Tra i suoi libri: Avrei capovolto le montagne, Dis-crimini, La morte contesa, Donne a Torino nel Novecento, Rita Levi Montalcini. La signora delle cellule, Tina Anselmi. La donna della democrazia.