
Si può dire allora che Thibaut abbia vissuto in un ambiente intriso di letteratura volgare, in particolare di poesia.
Thibaut vive nella prima metà del XIII secolo (1201-1253) e trascorre la sua giovinezza alla corte di Francia più da ostaggio dopo la morte del padre avvenuta prima ancora della sua nascita (e perciò lui stesso viene definito postumo) e la separazione dalla madre Bianca di Navarra. È protagonista di notevoli eventi politici, tra cui la partecipazione a una lega di baroni che voleva detronizzare la reggente Bianca di Castiglia, moglie del re Luigi VIII e madre dell’erede al trono, per poi ricredersi – ciò che non gli sarà perdonato dagli alleati di un tempo; le lotte per conservare la titolarità della contea di Champagne contro le pretese delle cugine, figlie del fratello di suo padre che, pur mantenendo il titolo, era divenuto re di Gerusalemme, lì trasferendosi; la fattiva presenza nella conclusione della crociata contro gli Albigesi nel 1229; infine, la partecipazione sostanzialmente fallimentare alla crociata cosiddetta dei baroni del 1239. La sua attività politica e militare è quindi frenetica e si compie secondo un copione noto e collaudato per la società nobiliare medievale.
Eppure dalla scrittura lirica emerge anche un’istanza diversa che sembra anticipare la tradizione borghese dei jeux partis, particolarmente coltivati ad Arras e in Piccardia, ossia scambi poetici su temi che si richiamano certo all’amore cortese secondo modalità didascaliche (è meglio amare senza essere sposati oppure si può amare all’interno del matrimonio, ad esempio), e che con il tempo, grazie al ricorso a metafore anche inattese e a un lessico significativamente denso, appaiono sempre più intrisi della vita quotidiana relativa a una realtà sociale ormai profondamente distante dalle istanze cortesi. Thibaut è infatti autore di ben 9 jeux partis.
Thibaut quindi si muove sostanzialmente tra questi due poli. La sua è una scrittura che non può non richiamarsi all’etica cortese e all’ideologia della fin’amor, ma la sua posizione, privilegiata dal punto di vista sociale, pone problemi rispetto al canone, e quindi il corteggiamento e la scrittura d’amore più che rifarsi a un linguaggio strettamente feudale si spostano su un piano morale, sull’essenza del sentimento e delle emozioni che esso suscita, sul valore fondante del ricordo e della memoria, ciò che anticipa la scrittura lirica cronologicamente successiva.
Thibaut quindi si pone alla conclusione della parabola sociale che aveva visto la nascita della lirica cortese: mentre si scontra con il potere reale dei Capetingi che riduceva sempre più quello nobiliare, egli ricorre allo strumento della scrittura lirica che godeva di una lunghissima tradizione, ma lo innova dall’interno, dando vita soprattutto a un canzoniere in cui è possibile rintracciare un percorso diegetico che anticipa esperienze letterarie successive, da Guiraut Riquier a Guittone d’Arezzo, infine allo stesso Petrarca.
Quale stile originale caratterizza la sua poesia?
La poesia di Thibaut si caratterizza per uno stile densissimo e prezioso, di difficile leggibilità, che merita uno sforzo ermeneutico non indifferente. Thibaut introduce nelle sue liriche d’amore metafore e immagini destinate a grande fortuna (su tutte la sua identità con l’unicorno, che viene catturato dai cacciatori perché riposa sul grembo di una vergine). Si tratta di un simbolismo che è prossimo a sfociare nell’allegoria, cui pure Thibaut sembra guardare, se è possibile ammettere, come pure emerge da alcuni contributi del volume, una sua conoscenza della prima parte del Roman de la Rose, quella cioè imputabile a Jean de Meung. Il ricorso alle immagini ardite non esclude tuttavia anche una buona dose di ironia e di presa di distanza da esse, ciò che conferma la posizione ormai matura se non conclusiva dell’esperienza lirica cortese. Come osservato, quella tebaldiana è una scrittura libresca, che si nutre di e si fonda su esperienze liriche – e più in generale letterarie – precedenti e coeve, esperienze che sono rielaborate in modo originale. Non sempre si riesce a cogliere pienamente il senso dei suoi versi e quindi lo sforzo interpretativo si rende particolarmente complesso, ma necessario.
Thibaut de Champagne è l’unico troviero menzionato da Dante nel De vulgari eloquentia: in che modo tale citazione ci consente di recuperare la tradizione trovierica conosciuta dall’Alighieri?
In effetti Thibaut de Champagne è l’unico troviero citato nel De Vulgari Eloquentia per tre volte, due con la citazione dell’incipit della lirica De fin amor si vient sen et bonté, la terza con quella di Ire d’amor qui en mon cor repaire che in realtà va attribuita all’altro troviere dalla produzione assai consistente, ossia Gace Brulé, che appartiene alla generazione precedente quella di Thibaut, e con cui egli sarebbe stato in rapporti stando almeno alle Grandes Chroniques de France.
La limitata conoscenza della tradizione della lirica d’oïl da parte di Dante è d’altra parte giustificabile alla luce del fatto che solo due canzonieri, o raccolte liriche, sono stati copiati in Italia. Si tratta della sezione francese (di 63 testi) del più ampio canzoniere provenzale estense di Modena, e di una piccolissima silloge di appena 25 liriche copiata a Padova e confluita per scelta del committente e/o allestitore in un codice composito, che tramanda testi con istruzioni del buon vivere, di carattere filosofico e soprattutto storico, proveniente dalla Biblioteca Metropolitana di Zagabria e attualmente conservato presso la Biblioteca Nazionale e Universitaria della città croata. Proprio il canzoniere di Zagabria attesta la presenza di liriche di Thibaut mescolate a quelle di Gace Brulé, ciò che potrebbe aver indotto Dante al fraintendimento.
Come ho appena sostenuto in un intervento relativo a una Giornata di studio su Dante romanzo, tenutasi presso l’Alma Mater di Bologna, si deve presupporre che dopo l’esilio, durante le peregrinazioni di Dante in terra veneta, egli sia venuto a conoscenza di qualche codice che tramandava le liriche di Thibaut e che tale codice rappresenti sia una delle fonti del canzoniere di Zagabria, sia la fonte di Dante. È affidato ora agli studiosi il compito di provare a individuare sulla base di riscontri testuali precisi quali testi di Thibaut Dante possa aver letto. Sono già emerse riprese intertestuali o richiami tra i due poeti e altri emergono dagli studi contenuti nel volume appena edito (su tutti quello di Margherita Bisceglia), per cui in futuro sarà possibile provare a definire, sia pure con l’incertezza insita in questo tipo di indagine e con la cautela del caso, quali testi di Thibaut e di altri poeti, forse impropriamente a lui attribuiti, siano stati conosciuti e quindi riutilizzati da Dante.
Come si articola la tradizione manoscritta del Re di Navarra?
La tradizione manoscritta del Re di Navarra è particolarmente ricca e variata, ma soprattutto assai complessa. Infatti, trattandosi di un re-poeta, la raccolta dei suoi testi sovente apre i canzonieri francesi, anche quelli in ordine alfabetico.
Sostanzialmente si riconoscono due tipologie di raccolta, una più ampia e maggiormente rappresentata, che accoglie i vari tipi di testi in cui egli si esercitò, ossia canzoni tradizionali d’amore, canzoni di crociata, pastorelle e canzoni religiose, quindi débats e jeux partis, tanto che la successione di tali testi induce a vedere in questa tipologia un ‘libro d’autore’, con un percorso diegetico sostanzialmente riconoscibile, ciò che conto presto di dimostrare. L’altra tipologia vede invece la presenza ridotta di testi di Thibaut, dettata probabilmente da una scelta dei compilatori dei manoscritti e che tuttavia merita tutta la nostra attenzione, poiché lo studio della variantistica consente di vedere anche in questi testimoni minori prove di una fruizione differenziata dell’opera di Thibaut e soprattutto essi possono rivelarsi decisivi alla ricostruzione delle lezioni archetipiche.
Uno studio accurato della tradizione manoscritta che emerge da alcuni dei contributi del volume (soprattutto quelli di Emanuele Di Meo e di Elisa Verzilli, e in parte quello di Luca Gatti) e che si intende proseguire con il progetto di una messa a punto di un’edizione critica in formato digitale grazie al lavoro e alla sinergia dei collaboratori del Laboratorio di Lirica Romanza istituito presso l’Università La Sapienza da Paolo Canettieri e (uno dei due altri curatori del volume), non potrà che fornire strumenti di indagine ancora più raffinati per l’interpretazione della produzione lirica del grande re-troviere.
Allo studio della tradizione manoscritta si affiancheranno necessariamente quella del corredo iconografico delle sezioni liriche contenenti liriche di Thibaut, ciò di cui si è fornito un primo assaggio in una piccola sezione del volume a cura di Margherita Bisceglia, ma anche delle opere pittoriche che nel tempo sono state dedicate a Thibaut per comprendere anche la sua ricezione nel tempo; e soprattutto quella del corredo musicale, di cui si trovano già elementi di rilievo nelle pagine dei colleghi catalani Antoni Rossell e Adriana Camprubí, i quali, nel rivedere gli schemi melodici e le notazioni e ricorrendo al criterio dell’intermelodicità, hanno rivelato connessioni impensabili e poco riconoscibili da chi non ha competenze musicali, connessioni che arricchiscono la figura e l’opera di Thibaut.
Quali rapporti intercorrono tra l’opera di Thibaut de Champagne e altri testi lirici, soprattutto di tematica religiosa?
Un’indagine approfondita che sveli i legami di Thibaut con la produzione di altri poeti, sia in lingua d’oc sia in lingua d’oïl, deve ancora essere compiuta, ma nel libro ne dà già un saggio il contributo di Samuele Maria Visalli, che pure ha collaborato alla curatela. Tale ritardo discende essenzialmente dalla scarsa attenzione degli studiosi, in Italia e all’estero, verso la produzione lirica francese, che invece merita tutta la nostra attenzione, perché essa ha saputo reinterpretare in maniera originale e pertinente (si pensi su tutti alla personificazione del dio Amore) la precedente e poi coeva esperienza trobadorica, per cui si deve necessariamente considerare che lo scambio tra le due produzioni liriche non è avvenuto solo in una direzione, ossia dal Sud verso il Nord, ma anche al contrario, tenuto conto peraltro dell’importante contributo della coeva produzione mediolatina. Ne è prova il dialogo a distanza tra due grandi trovatori Raimbaut d’Aurenga e Bernart de Ventadorn (peraltro proprio con la assai nota canzone dell’allodoletta) e il troviere Chrétien de Troyes, ossia colui che ha permesso il trapianto dell’esperienza lirica trobadorica in terra galloromanza del Nord, e a cui con ogni probabilità si deve l’avvio del confronto. Il dialogo tra i tre autori, noto per gli addetti ai lavori come il débat ‘Carestia’, ruota intorno a una questione fondante della lirica d’amore, quella della corresponsione e ricompensa amorosa, che ha attraversato tutta l’esperienza poetica romanza da Chrétien appunto, fino a Giacomo da Lentini e alla poesia redantesca.
Uno studio di tal genere tra mondi apparentemente distanti, ma che in realtà non lo erano, e per il quale è necessario il lavoro di équipe, ci permetterà di disegnare una rete di relazioni intertestuali e richiami che illumineranno ulteriormente la scrittura poetica di Thibaut, perché essi consentiranno di individuare o ipotizzare quali siano state le sue letture.
Il re-poeta infatti si mostra particolarmente recettivo nei confronti della produzione poetica e letteraria precedente, ma anche di quella coeva che si stava elaborando in Francia. In particolare egli si rivela debitore della scrittura poetica di un grande autore come Gautier de Coinci, che fu anche un importante compositore oltre che autore dei Miracles de Notre Dame, per cui la produzione religiosa diventa un modo per la tradizione poetica del Nord di superare la crisi in atto di un modello, quello cortese, ormai in esaurimento. D’altra parte la lirica religiosa, fondamentalmente incentrata sulla figura di Maria che prende il posto della dama cortese, trova sempre più ampio spazio e in quel periodo storico, agli albori del Duecento, quando con il IV Concilio Lateranense del 1215 diventa obbligatoria la confessione auricolare, ma soprattutto si riconosce l’esistenza del Purgatorio. Rivolgersi, anche in versi, alla madre di Cristo rappresentava una forma di devozione alla ricerca di un’intercessione spirituale. L’attenzione rivolta dai poeti dopo Gautier e Thibaut alla lirica religiosa è certo quella dei clercs che si dilettano a scrivere in volgare, ma anche di esponenti, anche di spicco, della società borghese di Arras che sempre più va impadronendosi dei moduli espressivi cortesi e non è un caso, infatti, che essa viene praticata contestualmente alla scrittura di pastorelle, ossia di un genere in cui prevale il contenuto erotico o francamente osceno in una contrapposizione, solo apparente però, poiché in realtà entrambe le nuove modalità di scrittura lirica svuotano dal loro interno quella cortese, fatta di attese e speranze e profondamente laica.
In ogni caso, come sottolineato da Canettieri nelle pagine introduttive del volume, Thibaut si rivela essere un grandissimo lirico, oltre che un personaggio storico di rilievo, che ha saputo coniugare la scrittura poetica all’attenzione per la rappresentazione di sé come personaggio, ciò che lo rende moderno e degno dell’attenzione anche dei lettori del nostro tempo.
Lucilla Spetia è professore associato di Filologia e linguistica romanza all’Università dell’Aquila