
È necessario non cadere in tale confusione semantica e ricordare invece come il concetto di autorità sia anzitutto un concetto duale. Concetto duale significa che è sempre necessario che qualcuno che riconosca a qualcun altro l’autorità e, in questo modo, la legittimi. Non esiste, dunque, autorità se non all’interno di una relazione, sia essa personale o sociale.
Se è bene fuggire dalla confusione che il concetto di autorità, nella mente dei contemporanei genera tanto fastidio, è necessario, al contempo, chiarire cosa tale concetto indichi. Autorità deriva dal verbo latino augere che significa accrescere, aumentare. L’etimologia della parola, che permette di comprendere il significato autentico e genuino del concetto di autorità, rivela soprattutto che essa deve essere intesa non come esercizio di dominio e di potere, talvolta anche con mezzi di oppressione e di coercizione, ma come un servizio per aiutare la crescita. La vocazione originaria dell’autorità è dunque l’orientamento al bene e alla crescita, sia personale che comunitaria.
Quale interpretazione dell’autorità vigeva nella Chiesa antica?
Le comunità cristiane delle origini nascevano grazie alla predicazione di un apostolo. L’apostolo era persona ritenuta credibile e proprio per questo a lui si riconosceva autorità a cui riferirsi. Tali apostoli, spesso itineranti per costituire comunità, potevano però contare, per la vita della comunità, su alcuni collaboratori: i presbyteroi e gli episkopoi. È bene ricordare come l’insieme dell’aspetto organizzativo delle comunità e soprattutto l’esercizio dell’autorità, avevano come elemento costitutivo e criterio di comprensione, la celebrazione eucaristica celebrata in ogni comunità. Infatti “nel corpo dell’eucarestia, la Chiesa antica poteva vedere allo stesso tempo il corpo di Cristo e il corpo della Chiesa” (Zizioulas). Pertanto colui che presiedeva l’eucaristia – che era (ed è) l’epifania della vita della Chiesa comunione del corpo di Cristo – è anche colui che presiede la comunità per tutto ciò che concerne la fattiva adesione personale e comunitaria proprio alla salvezza di Cristo. Si tratta dunque di un’autorità che riguarda principalmente la fede e i costumi (in quanto condizione e verifica dell’accoglienza sincera della grazia della vita nuova di cristo nel battesimo e nell’eucaristia, che è partecipazione alla santità stessa di Dio). Dell’autorità dei vescovi e dei preti si inizia però a parlare tra la fine del II e l’inizio del III secolo. Comunque sia l’autorità nella Chiesa antica si è affermata gradualmente e si è ampliata sostanzialmente in tre modi: attraverso l’emanazione di leggi per il bene della Chiesa, attraverso la giustizia e attraverso la correzione degli errori.
In tale lungo e complesso processo si assiste a una distinzione concettuale interessante ovvero alla differenza tra auctoritas e potestas. Se la potestas esprime la facoltà di possedere una proprietà, l’auctoritas fa riferimento a qualcuno che porta a compimento un’azione e dunque che autorizza la potestas. Tale distinzione rimarrà fino a papa Gelasio e, successivamente, i concetti di autorità e di potere finiranno per coincidere.
Qual è la lezione del concilio Vaticano II riguardo all’autorità nella Chiesa?
Prima di dire cos’è e come intendere l’autorità della Chiesa ovvero l’autorità che esercita la Chiesa, è bene ricordare che per la Chiesa stessa la prima autorità è la Scrittura. Essa è un’autorità normativa, ma non normata. Ciò deriva anzitutto dal fatto che «essa è la Parola definitiva di Dio rivolta all’umanità e fatta “carne” nella persona di Gesù Cristo (cfr. Eb 1,1-3)» (R. Fisichella, “Autorità delle Scritture”, in Lexicon, p. 107) Inoltre, insieme all’autorità della Scrittura, per la Chiesa ha un valore normativo anche la Tradizione (R. Fisichella, “Autorità delle Scritture”, in Lexicon, p. 1072-73). Infatti, la Rivelazione è espressa dalla Scrittura e dalla Tradizione, che insieme, «sono come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com’Egli è (cfr. 1Gv 3,2)» (DV 7).
Per quanto riguarda l’autorità che la Chiesa esercita, il Concilio Ecumenico Vaticano II precisa che essa è da intendersi anzitutto come partecipazione all’autorità di Cristo. In particolare, l’autorità di Cristo è partecipata alla Chiesa in ordine al compimento della sua stessa missione che è quella di rendere testimonianza della rivelazione di Dio. La Chiesa, dunque, nel suo insieme, esprime la propria autorità nel rendere testimonianza alla verità di Cristo.
Quali sfide pongono alla Chiesa e all’autorità i social media?
Nella storia della Chiesa abbiamo assistito ad una progressiva istituzionalizzazione dell’autorità giungendo, ad esempio, all’approvazione del dogma dell’infallibilità durante il Concilio Vaticano I. Tale processo di riconoscimento dell’autorità istituzionale è un processo che si è realizzato all’interno di una cultura che possiamo definire tradizionale dal punto di vista del sistema dei media. In particolare si è sviluppato e profondamente radicato nella cultura cosiddetta tipografica propria di una società fortemente gerarchizzata. I media elettronici prima e soprattutto lo sviluppo dei social network poi – in parallelo a una progressiva trasformazione culturale di ampio respiro, dalla società borghese dell’Ottocento alla società delle masse nel Novecento – hanno però modificato in maniera significativa sia i processi che conducono alla credibilità sia il riconoscimento dell’autorità.
All’interno di questo processo si colloca anche la Chiesa che, pur avendo origine e finalità specifiche ed essendo dotata di un’autorità di tipo spirituale, non può eludere comunque le logiche di funzionamento delle strategie comunicative tipiche di un contesto “postmediale”.
Nell’era degli influencer, in che modo la Chiesa può legittimamente coltivare l’autorità?
Siamo passati dalle celebrity di qualche decennio fa all’aggiornamento continuo della lista dei top ten influencer o di quelli maggiormente pagati. Oggi assistiamo anche alla proposta di influencer marketing, di connessioni tra denaro e influencer. Ma cosa significa essere influencer oppure definire qualcuno come influencer?
Da una parte, esistono situazioni nelle quali viene riconosciuta a una persona credibilità e autorità, ma non è detto che questo, anche per questioni numeriche, possa trasformarsi in un riconoscimento sociale e pubblico e possa portare a un cambiamento di opinione. Dall’altra parte, è vero anche il contrario: chi è nelle condizioni di incidere su opinioni e atteggiamenti pubblici non è detto che sia necessariamente credibile, ovvero che goda di una reputazione condivisa.
Non dimentichiamo che oggi, in quella che vene definita postmedialità, noi non facciamo esperienza dell’autorità, quanto piuttosto della sua rappresentazione mediale. Per questo, un nuovo ordine di riflessioni deve essere messo in campo: non basterà più (ma è mai bastato veramente?) decodificare il messaggio proposto dalla fonte – poniamo, un creatore di contenuti digitali, uno storyteller del nuovo Millennio – ma sarà necessario mettere in atto un processo di comprensione profonda non solo del “dictus”, ma soprattutto del profilo del mio interlocutore, del quale non possiedo appunto che frammenti rappresentativi. Sarà dunque necessario oggi più che mai avere non solo una visione – ecclesiologica – ma anche una strategia – comunicativa – per attestare continuamente credibilità perché altri, riconoscendola, riconoscano alla Chiesa anche autorità. Per questo penso che l’unica autorità che la Chiesa può legittimamente coltivare è quella della testimonianza convinto, come dice Papa Francesco, che non abbiamo bisogno di «parolai che promettono l’impossibile», piuttosto «di testimonianze che il vangelo è possibile».
Dario Edoardo Viganò è Professore Ordinario di Cinema, fotografia e televisione presso l’Università Telematica Internazionale UNINETTUNO, dove ricopre anche la carica di Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione nonché Professore Ordinario (prima fascia) presso la Pontificia Università Lateranense dove insegna Storia e Critica del Cinema, Introduzione alle scienze della comunicazione sociale, Teoria e analisi critica dei linguaggi, Chiesa, Comunicazione, Società. Tra il 2015 e il 2018 ha ricoperto l’incarico di Prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede con il ruolo di responsabile e coordinatore della Riforma dei media vaticani. Tra il 2013 e il 2015 è stato Direttore del Centro Televisivo Vaticano. Tra il 2004 e il 2013 è stato Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo (FEdS) e Direttore della «Rivista del Cinematografo». Tra le sue pubblicazioni, oltre a Testimoni e influencer. Chiesa e autorità al tempo dei social (Edizioni Dehoniane Bologna, 2020): Il Cinema dei Papi. Documenti inediti dalla Filmoteca vaticana (Marietti, 2019); Manuale del FilmMaker. Scrivere, produrre, distribuire (Morcelliana, 2019); Connessi e solitari. Di cosa ci priva la vita online (Edizioni Dehoniane Bologna, 2017); Fratelli e sorelle, buonasera. Papa Francesco e la comunicazione (Carocci, 2016); Fedeltà è cambiamento. La svolta di Francesco raccontata da vicino (Rai Eri, 2015); Etica del cinema (Editrice La Scuola, 2013); Chiesa e pubblicità. Storia e analisi degli spot 8×1000 (Rubbettino, 2011); La musa impara a digitare. Uomo, media e società (Lateran University Press, 2009).