
Alla luce della sua evoluzione storica, quale definizione è possibile dare del «terrorismo»?
Il terrorismo è un fenomeno difficile da definire: ne è prova che né la comunità scientifica né gli organismi internazionali hanno prodotto una definizione capace di raccogliere un sufficiente accordo. La causa di questa difficoltà è che usiamo la stessa parola – terrorismo – per definire due modalità d’azione che condividono alcuni presupposti in comune ma che sono diversamente orientate. La prima delle due è quella del terrorismo rivoluzionario, che usa l’atto violento per mobilitare il proprio popolo e per insegnargli la via del riscatto dall’oppressione. La seconda è invece la prassi, di origine militare, per la quale anche un piccolo gruppo può in certe condizioni, sfruttando la tecnologia bellica e usando la tecnica del “mordi e fuggi”, infliggere gravi perdite a un nemico ben più potente e che non si può affrontare in campo aperto. Questa seconda modalità del fenomeno del terrorismo viene naturalmente adottata anche dal terrorismo “rivoluzionario” ma non è posseduta da esso in esclusiva. Altre forze possono usarla, a cominciare dal contro-terrorismo. Se il senso del terrorismo rivoluzionario è quello di usare l’atto terroristico come strumento propagandistico nel percorso della propria rivoluzione, il senso di questa seconda modalità di azione terroristica è quello di spargere il terrore tra le fila nemiche. Disorganizzare l’avversario, spaventarlo e costringerlo a compiere azioni che non vorrebbe dover compiere. In breve il terrorismo è difficile da inquadrare perché usiamo una stessa parola per definire due fenomeni parzialmente diversi. L’immagine che rappresenta bene tutto ciò è quella del Giano bifronte. La testa è la stessa ma i due volti guardano in direzioni opposte.
Quale dimensione ha assunto storicamente il terrorismo?
Il terrorismo ha assunto dimensioni diverse nella storia. Esso è stato lo strumento di combattimento di popoli senza stato per ottenerlo, di nazioni controllate da stranieri per acquisire la libertà, di oppressi per guadagnarsi l’emancipazione. La fionda di Davide che atterra Golia. Ma è stato anche uno strumento delle mani di coloro che hanno voluto colpire il proprio nemico nascondendo la mano, che hanno cercato di influenzare e condizionare l’opinione pubblica avversaria, che si sono prefissi di manipolare il consenso della sfera pubblica. In breve, in questo secondo senso è stato la continuazione della politica con altri mezzi, esplosivi. Un’arma nelle mani degli strateghi della guerra psicologica.
Quale rilevanza ha assunto il Terrore durante la rivoluzione francese?
Il Terrore nella rivoluzione francese è il termine col quale si è voluta indicare la necessità di un sistema straordinario e violento capace di colpire e tenere a freno i nemici della rivoluzione. Dopo termidoro, poi, col termine di nuovo conio terrorismo si è voluta stigmatizzare questa pratica e condannarne la violenza e i suoi artefici, i giacobini seguaci di Robespierre: Quest’ultimo, come capo del regime del Terrore, è stato indicato perciò con un neologismo, come terrorista, divenendo così il primo terrorista della storia. Ne risulta che il termine terrorismo ha sin dall’origine un significato derogatorio. Viene assegnato per denunciare coloro che combattono per una causa riprovevole. Coloro che vogliono disgregare l’ordine sociale e introdurre l’anarchia: i terroristi sono perciò anche detti anarchici. Come altre volte nella storia (si pensi al caso dei gueux, i ribelli olandesi definiti così – pezzenti – dagli spagnoli e che si fregiarono orgogliosamente di questo epiteto dato loro per offesa, incidendo perfino una G sui propri mantelli) anche nel caso della denominazione terrorista accade che un termine assegnato con intenzioni dispregiative venga rivendicato da coloro che si sono sentiti eredi della tradizione robespierrista e giacobina.
Quale continuità è possibile rilevare tra il terrorismo come lo conosciamo oggi e la concettualizzazione tradizionale dell’azione rivoluzionaria, in specie anarchica?
Il mio libro sottolinea con forza i tratti di continuità tra il terrorismo odierno, di radice islamica, e la tradizione storica del terrorismo occidentale che ha prodotto eroi e martiri. Nessuno dei tratti usualmente considerati come distintivo del fenomeno del terrorismo islamico è infatti completamente inedito. Non lo è certamente il fatto che più colpisce l’immaginario collettivo e cioè la propensione al suicidio compiuto per la propria causa. Mentre il libro documenta con abbondanti esempi l’esistenza di una tradizione culturale occidentale e cristiana di donazione della propria vita per la collettività, il pro patria mori, tale tradizione è stata praticamente assente per secoli nel mondo islamico sunnita mentre essa è stata presente come tratto culturale in quello sciita pur senza dare origine a pratiche di massa. Per quanto ciò possa apparire strano il primo esempio di terrorismo suicida è stato “importato” in Medio oriente da un gruppo radicale giapponese di ispirazione marxista, l’Armata rossa, che combatteva contro gli israeliani a fianco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Riprendendo, nel far ciò, il gesto suicida dei kamikaze, quei piloti che durante la seconda guerra mondiale fecero schiantare i propri aerei su obiettivi nemici.
L’11 settembre è assurto a evento simbolo del terrorismo moderno: come si inserisce questo atto «terroristico» nella politica internazionale e con quali conseguenze?
L’11 settembre non nasce per caso. Esso è il frutto di una spregiudicata politica statunitense che ha puntato a finanziare e sostenere l’islamismo considerandolo un nemico essenziale per sconfiggere il proprio storico nemico, il comunismo sovietico. Per sloggiare i sovietici dall’Afghanistan le forze speciali statunitensi hanno addestrato i mujaheddin, i combattenti del popolo. Si trattava di resistenti afghani cui si aggiungevano volontari islamisti indottrinati nelle madrasse le scuole religiose pakistane. Un sistema di reclutamento su grande scala, sostenuto dal servizio segreto pakistano e finanziato da denaro saudita, un regime sostenitore di una visione islamista radicale. Al Qaeda del resto in origine non significa altro. Che ciò che la parola stessa suggerisce: la base; cioè la base di appoggio logistica della resistenza afghana, attività in cui era impegnato un giovane rampollo radicalizzato di un’importante famiglia saudita: Osama Bin Laden. Come la storia del moderno Prometeo (Frankestein) insegna, creare mostri, può riservare sorprese, e tragedie.
Quale futuro per il terrorismo?
Non lo so, ma è certo che la dimensione globale, con la istantanea diffusione di news in tempo reale su scala planetaria, si adatta perfettamente alla dimensione propagandistica e simbolica del gesto terroristico, che si presta perfettamente ad essere spettacolarizzato. La tendenza alla rarefazione della guerra combattuta da soldati-cittadini con “stivali sul terreno” e della sua sostituzione con guerre ad alta tecnologia combattute da missili teleguidati e da droni, crea uno scenario che apre spazi enormi all’uso del terrorismo da parte di una pluralità di soggetti e per diversi e contrastanti fini.
Francesco Benigno è Professore ordinario di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa