
di Sophia Kalantzakos
Università Bocconi Editore
«Nel 2010, diciassette elementi della tavola periodica noti come «terre rare» hanno conquistato da un giorno all’altro un’improvvisa notorietà. Fino ad allora, poche persone al di fuori dell’industria mineraria e dei settori high-tech avevano sentito parlare di queste particolari risorse: pur essendo già diventate indispensabili nella produzione delle energie rinnovabili e nelle tecnologie green (turbine eoliche, pannelli solari e sistemi di illuminazione ad alta efficienza energetica), nelle applicazioni high-tech (computer, smartphone, applicazioni mediche) e nell’industria della difesa (sistemi di guida per missili, bombe intelligenti, sottomarini), per decenni erano rimaste in ombra. Di colpo, le terre rare si sono trasformate da semplici input di applicazioni avanzate in materiali di importanza strategica ed economica meritevoli delle prime pagine dei giornali. Quale è stato il catalizzatore di questo cambiamento non solo nella percezione delle terre rare, ma anche della loro criticità?
Per cominciare, sul mercato delle terre rare, un paese gode di una posizione dominante che non ha confronti nella storia dei materiali strategici, e questo paese è la Cina. Benché altre risorse strategiche, come il petrolio, siano molto concentrate geograficamente, il fatto che un solo stato detenga il quasi monopolio della produzione di risorse così cruciali non ha precedenti. In effetti, non esiste nessun paese che abbia un controllo sulle forniture di un elemento essenziale come quello della Cina sulle terre rare. Secondo la lista dei materiali critici compilata dall’Unione Europea sulla base del rischio di fornitura e dell’importanza economica dei materiali pubblicata nel 2011, anche la produzione mondiale di altre risorse – identificate come «critiche» – proviene solo da un piccolo numero di paesi e di nuovo la posizione della Cina è dominante.
Inoltre, mentre nel caso del petrolio la tecnologia, sia di estrazione sia di trasformazione, è estremamente diffusa, nel caso delle terre rare è vero il contrario. Per il momento, e in un futuro prevedibile, la Cina non solo monopolizza almeno il 93 per cento di questi materiali, costituendo in un certo senso un’OPEC di un solo paese, ma controlla anche la loro metallurgia altamente specializzata e l’intera supply chain, dalla miniera al mercato, per molte cruciali applicazioni. Questo sostanzialmente conferisce alla Cina il controllo su una gamma significativa di input essenziali per l’economia mondiale, e in particolare per l’energia rinnovabile, l’high-tech e le applicazioni militari.
Il principale catalizzatore dell’improvviso rilievo attribuito alle terre rare e del risalto mediatico ad esse riservato è stato un singolo incidente internazionale che ha concentrato l’attenzione globale sulla capacità della Cina di usare il suo quasi monopolio per promuovere ulteriormente i suoi obiettivi strategici o, almeno, per rispondere in modo incisivo a una situazione di crisi. Nel settembre 2010, la Repubblica Popolare Cinese bloccò di fatto, pur senza una presa di posizione ufficiale, le esportazioni di terre rare verso il Giappone a causa di un incidente marittimo in acque contese in prossimità delle isole Senkaku (o, per la Cina, isole Diaoyu) nel Mar Cinese Orientale. Il fatto provocò un’onda d’urto che si propagò per tutta la comunità internazionale a causa del timore che la Cina potesse estendere l’embargo al di là del Giappone. Fu a questo punto che gli Stati Uniti, attraverso l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, intervennero per affrontare la possibilità di un’interruzione delle forniture, le ripercussioni del monopolio cinese delle terre rare e il suo uso a fini geopolitici. […]
A questo si deve aggiungere che, nel 2010, l’incidente diplomatico era stato preceduto da un cambiamento critico nella gestione cinese delle terre rare. La Cina aveva già lentamente ridotto le sue quote di esportazione delle terre rare dal 2006, ma nell’estate del 2010 i tagli avevano raggiunto il 40 per cento rispetto al 2009, e i prezzi degli elementi avevano cominciato a salire alle stelle. Questo drastico cambiamento nella gestione cinese delle terre rare ha suscitato una crescente preoccupazione nelle industrie che dipendevano dall’ininterrotta fornitura di questi materiali. Abbastanza stranamente, tuttavia, la questione scoppiò sul piano internazionale attirando l’attenzione dei governi, della comunità mondiale, dei media e del business internazionale solo quando la Cina fu percepita come disposta a usare il suo quasi monopolio a proprio vantaggio in una disputa territoriale. L’incidente fece riflettere i paesi industriali e fece comprendere che sarebbe stato forse prudente diversificare le fonti di terre rare.
L’attivismo globale della Cina, la potenza economica e l’influenza politica in breve tempo conquistate e la sua pianificazione strategica a lungo termine hanno suscitato qualche timore tra i paesi industriali. Questi ultimi osservano la Cina, trattano con la Cina, commerciano con la Cina, ma non sono certi di sapere che tipo di superpotenza sarà la Cina e come la sua affermazione influenzerà lo stato attuale dei rapporti di potere e i paradigmi della leadership globale. Per anni la Cina ha costruito le sue relazioni internazionali sul concetto del mantenimento di buone relazioni operative con gli altri paesi in modo da potersi concentrare sulla propria trasformazione interna. La RPC ha continuato a dipingere sé stessa come un paese in via di sviluppo che collabora con altri paesi del mondo in via di sviluppo su un’agenda comune. Come Stato, preferisce un mondo multipolare piuttosto che un mondo di rapporti tra superpotenze. Per di più, ha cercato di coltivare amicizie in luoghi che le altre grandi potenze hanno dimenticato o di cui sono state incapaci di occuparsi per ragioni politiche. Queste considerazioni non hanno costituito un ostacolo per la RPC, che si è attenuta a una politica di non interferenza negli affari interni degli altri paesi, anche in momenti di conflitto e violenza. […]
Vista la profonda preoccupazione suscitata a livello internazionale, è ancora più sorprendente che, prima della crisi geopolitica e di mercato del 2010, questi input di terre rare essenziali per l’energia pulita, l’high-tech e le applicazioni militari siano stati per lo più ignorati nelle analisi delle strategie dello sviluppo, specialmente da parte degli attori più forti e cioè gli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Giappone. Nelle riviste scientifiche sono state riportate molte ricerche sulle proprietà e le possibili applicazioni delle terre rare, ma questi dati non sono stati considerati nelle analisi degli esperti in tema di diplomazia economica, competizione basata sulle risorse e possibile effetto domino nell’arena internazionale.
Per quasi due anni, la crisi delle terre rare ha occupato le prime pagine dei giornali e ha prodotto vaste reazioni. I governi hanno espresso le loro rimostranze alla Cina per l’uso di quote e dazi sulle sue esportazioni di terre rare. L’interesse del settore privato per investimenti nei pochi progetti maturi di estrazione di terre rare fuori della Cina è cresciuto, mentre i prezzi proseguivano nella loro crescita esponenziale. Si è intensificata la cooperazione scientifica tra Unione Europea, Giappone e Stati Uniti nella ricerca di sostituti o innovazioni per ridurre l’uso degli elementi critici. […] Alla fine, il mercato ha cominciato a correggersi da sé: i prezzi sono scesi significativamente e nel caso delle terre rare più abbondanti sono addirittura crollati. […]
Conseguentemente, visto che, comunque, il tentativo da parte della Cina di usare la sua posizione di quasi monopolio non aveva prodotto alcun beneficio durevole per la Cina stessa, il resto del mondo poteva tornare alla normalità. La recessione mondiale, il contrabbando ininterrotto di terre rare dalla Cina e il considerevole aumento delle scorte accumulate durante la crisi hanno ulteriormente sdrammatizzato la prospettiva di un recupero a breve termine del prezzo delle terre rare e dato argomenti a chi voleva semplicemente voltare pagina. Tra gli analisti e i policymaker si è diffusa la sensazione che gli eventi del 2010 non fossero stati altro che una perturbazione passeggera.
La questione che vorrei esaminare in questo libro è la seguente: la crisi delle terre rare era davvero solo un temporaneo errore di funzionamento del sistema internazionale, senza uno strascico di ripercussioni politiche ed economiche? Penso di no. Se si esamina più attentamente la situazione complessiva, non si può non notare che la Cina mantiene la sua posizione di quasi monopolio. Di più, a causa dell’attuale ribasso dei prezzi di tutte le materie prime, comprese quelle energetiche e le terre rare, le miniere non cinesi che avevano già attratto investimenti, offrendo le prospettive più mature di fornire terre rare, sono oggi oppresse dai debiti e riescono a malapena a restare a galla. […]
La crisi delle terre rare, tuttavia, non è soltanto una disputa commerciale, né una semplice equazione economica. Non può essere vista soltanto attraverso la lente dell’industria della difesa, dell’high-tech e delle applicazioni verdi. Solleva anche questioni che riguardano l’uso cinese della diplomazia economica e mostra i risultati di una crescente competizione per le risorse. La si può considerare un eccellente case study, che riflette gli sforzi di un produttore di materiali «strategici» di mantenere e garantire la quota di mercato. Inoltre, la storia delle terre rare è una storia di innovazione tecnologica, competizione economica, posizione dominante e possibilità di conflitto e cooperazione. Questa complessità è ciò che i policymaker devono prendere in considerazione negli affari internazionali quando analizzano gli eventi per sviluppare risposte e strategie in un mondo sempre più globalizzato. Data la complessità e l’urgenza di un tale compito, diventa imperativo che certi fatti irrefutabili non vengano frettolosamente messi da parte.
Innanzitutto, con una popolazione mondiale destinata a raggiungere i nove miliardi nel 2050, è facile predire che la competizione per le risorse crescerà, specialmente per quanto riguarda l’energia. L’ascesa di Brasile, Russia, India, Cina e altri paesi del mondo in via di sviluppo significa che milioni di persone raggiungeranno i ranghi della classe media e vorranno partecipare a quello che si ritiene sia uno stile di vita moderno: una vita non solo ad alta intensità di energia, ma anche caratterizzata da consumi elevati. In secondo luogo, si nota con sempre maggior frequenza in una varietà di circostanze l’emergere del nazionalismo delle risorse. I paesi stanno cercando i modi migliori per ottenere prezzi più alti per le loro materie prime e, cosa ancora più importante, per diversificare le loro economie, sottraendole, in tal modo, alla totale dipendenza dalla rendita e dall’esportazione delle risorse e proteggendole dall’esposizione al ciclico alternarsi di espansioni e contrazioni del commercio internazionale delle commodity. In terzo luogo, le nanotecnologie e la crescente complessità delle applicazioni oggi richiedono una varietà senza precedenti di materiali provenienti dagli angoli più remoti del mondo. Le terre rare sono abilitatori e continueranno a essere essenziali nelle diverse liste di ingredienti che le moderne tecnologie richiedono per funzionare. Infine, alcuni paesi detengono posizioni dominanti nella produzione e nell’esportazione di materie prime essenziali e intendono usare tali condizioni di vantaggio per difendere le proprie quote di mercato. A questo scopo, cercano di ostacolare gli investimenti nell’estrazione di questi materiali in aree di nuova scoperta e di bloccare, ove possibile, l’incremento della produzione da parte di altri paesi percepiti come rivali, il cui prodotto addizionale diluirebbe quella posizione dominante.
Nel caso della Cina, il suo potere di controllo sulla produzione di terre rare e la sua capacità di manipolare il mercato le hanno permesso di difendere la sua quota, scoraggiando, azzerando o acquisendo investimenti in progetti minerari al di fuori dei suoi confini. Uno dei suoi obiettivi fondamentali potrebbe essere continuare a esercitare un controllo sull’industria high-tech, la produzione di energia da fonti rinnovabili e i sistemi di difesa. Inoltre, la Cina in molti casi controlla tutta la supply chain dalla miniera al mercato e controlla perciò il prodotto finale (per esempio, la produzione di magneti e monitor). Questo potere potrebbe ancora portare a interruzioni della produzione qualora, in futuro, la Cina dovesse decidere di limitare l’accesso alle terre rare.
Questi fatti, benché significativi, sono stati trascurati o sottovalutati nella considerazione di ciò che la crisi delle terre rare ha rappresentato su scala globale e della possibilità che si ripeta in futuro. Come minimo, fanno apparire sempre più evidente l’assenza di programmazione a medio e lungo termine da parte degli attori politici che, sotto la pressione del qui e ora, hanno mostrato reazioni impulsive alle sfide del momento. Ma non sono solo i politici ad avere la vista corta: la crisi delle terre rare ha provato che le imprese pronte a pagare una maggiorazione di prezzo per rare-earth elements (REE) prodotti al di fuori della Cina, quando il mercato era ai massimi, ora non sono disposte a supportare le poche fonti alternative esistenti a meno che i prezzi dei prodotti non siano uguali o inferiori a quelli della RPC. Inoltre, la risposta diretta di alcune imprese negli anni critici 2010 e 2011 è stata trasferire la produzione nella RPC per assicurarsi prezzi più bassi delle terre rare e un accesso alle risorse al riparo da qualsiasi interruzione.
In questo libro, dunque, mi propongo di presentare un’interpretazione più sfumata e olistica di quello che considero un paradigma significativo e distintivo della competizione per le risorse e un importante e fecondo case study per le teorie stabilite delle relazioni internazionali. Intendo anche spiegare come gli eventi che hanno reso la crisi delle terre rare di primaria importanza per la comunità mondiale sono aperti a una varietà di interpretazioni che possono condurre a valutazioni notevolmente differenti del loro significato ed impatto nel lungo termine. Benché alcuni analisti e policymaker, per esempio, abbiano posto l’accento sugli aspetti securitari e abbiano chiesto a gran voce di fermare l’aggressività della Cina, altri hanno sostenuto che il mercato avrebbe trovato soluzioni alle dispute sulle risorse e sui rapporti commerciali, insistendo che non vi è stata mai una ragione di allarme. Queste analisi opposte e in conflitto tra loro possono rendere nebulosa la questione per i governi e per gli operatori commerciali internazionali, quando, in realtà, da questa crisi scaturiscono molte lezioni che dovrebbero essere imparate e non ignorate solo perché la tempesta è passata. […]
Per inquadrare la mia trattazione delle questioni più importanti suscitate dalla posizione dominante della Cina nella fornitura di terre rare e dalla crescente dipendenza del mondo da questi materiali, il Capitolo 1 prende le mosse dal dibattito teorico generale concernente la competizione per le risorse, la scarsità di minerali e la «diplomazia economica» (economic statecraft) e il loro impatto sugli affari internazionali. In questo quadro, data la crescente importanza geopolitica e strategica delle terre rare, è utile esaminare la storia e i meccanismi attraverso i quali questi materiali sono giunti a occupare una posizione così essenziale in settori industriali critici. Nel Capitolo 2 esamino in dettaglio il loro impiego sempre più diffuso, il loro impatto sull’innovazione tecnologica, gli aspetti salienti del settore dai punti di vista della domanda e dell’offerta, le limitate possibilità di sostituzione efficace e di riciclo.
Nel Capitolo 3, come parte di questo più ampio esame delle questioni strategiche e di politica internazionale sollevate dal monopolio cinese sulle terre rare, considero due rilevanti esempi storici di risorse che sono diventate strategicamente importanti, il sale e il petrolio, esplorando le analogie con la recente crisi delle terre rare e indicando come questi parallelismi ci aiutino a meglio comprendere le variabili-chiave del caso odierno. Nel Capitolo 4 presento, infine, una descrizione dettagliata del modo in cui la Cina è giunta deliberatamente a dominare il settore e come le altre potenze industriali hanno reagito. Esattamente come Deng Xiaoping e i suoi successori avevano previsto, le terre rare, in quanto abilitatori, restano indispensabili in molte vitali applicazioni della vita moderna e, per questa ragione, continueranno a svolgere la loro parte nel disegno di una grande strategia cinese a lungo termine, che influenzerà le relazioni geopolitiche globali in modi con i quali i potenziali rivali della Cina non potranno non fare i conti.»