
Quale posizione occupa il concetto di responsabilità nelle nostre pratiche di valutazione del carattere, dell’azione, delle relazioni personali e delle interazioni sociali e istituzionali?
La responsabilità occupa una posizione centrale nelle nostre pratiche di valutazione e la tesi difesa in questo studio è che ciò dipende dal fatto che si tratta di pratiche interne ad una comunità governata da norme. Le norme consentono la cooperazione e la condivisione di attività tra agenti che sono auto-interessati ma anche sensibili alle norme. Questa sensibilità alle norme spiega una certa varietà di comportamenti normativi che sfuggono ai modelli più semplici di razionalità pratica, i quali escludono la possibilità di agire sulla base di principi, anziché in conformità ad essi. A mio avviso, per spiegare la centralità del concetto di responsabilità bisogna perciò addentrarsi in un dibattito meta-etico che riguarda la natura della normatività e la possibilità di seguire ragioni. Si tratta di una impostazione metodologica peculiare poiché finora chi si è posto il problema di fondare o, almeno, giustificare la responsabilità, ha si è occupato principalmente dei presupposti metafisici o empirici, indagando perciò gli argomenti a favore del libero arbitrio oppure le condizioni empiriche per l’attribuzione dell’agire intenzionale. In questo saggio ho cercato di mostrare che gran parte di questo dibattito si basa in realtà su alcuni presupposti meta-etici mai esplicitati, in particolare sull’idea che le capacità razionali non possano determinare l’azione. È su questo assunto che si basano gli argomenti scettici, alcuni dei quali propongono di eliminare il concetto di responsabilità in quanto basato su una falsa metafisica e su una morale punitiva e coercitiva. Queste teorie riconoscono alla responsabilità una funzione molto limitata e si preoccupano principalmente della sua giustificazione in un’ottica retributiva e dei suoi risvolti sanzionatori e coercitivi, ovvero della punizione e della pena. Si tratta di preoccupazioni importanti, sia dal punto di vista etico che politico. Ritengo, però, che la risposta a queste preoccupazioni non sia l’eliminazione del concetto di responsabilità, quanto una teoria normativa della responsabilità che ne metta in luce tutte le sue funzioni. La responsabilità è un concetto strutturale di relazioni tra persone interdipendenti, che possono comunicare e agire insieme ed è vitale nelle comunità nelle quali la distribuzione dei compiti è necessaria.
Quale funzione svolge il concetto di responsabilità nei diversi contesti valutativi, morali e non morali, individuali e collettivi?
Solitamente il concetto di responsabilità è legato a quello di imputabilità, di colpa e di pena. Gli argomenti scettici mettono bene a fuoco questa accezione della responsabilità. È innegabile che la responsabilità svolge una funzione regolativa in una comunità governata da norme. Ma questa funzione deve essere intesa in maniera più ampia, non solo relativa all’imputazione di una colpa. La comunità regolata da norme è una comunità i cui membri sono chiamati a dar conto del loro operato reciprocamente. Questo vincolo di reciprocità consente l’intelligibilità dell’azione individuale, ovvero rende la nostra azione comprensibile a noi e agli altri, e differente da atti che non sono vere e proprie azioni, come i moti convulsi del corpo. La funzione esplicativa del concetto di responsabilità non è da intendersi in senso strettamente speculativo. La capacità di spiegare e giustificare sulla base di ragioni ha un significato pratico in quanto ci consente di espandere la sfera dell’agire individuale, per esempio attraverso le interazioni cooperative, come individui che partecipano di una attività a mutuo vantaggio, oppure attraverso l’agire condiviso di soggetti collettivi. In tutte queste varietà di azioni, non possiamo non considerare gli altri responsabili perché questa è la forma delle relazioni personali tra adulti, relazioni personali vincolate dalla reciprocità. Naturalmente, ciò non vuol dire che tutti abbiano le stesse responsabilità o che non si abbiano responsabilità per persone e cose che non possono rispettare i vincoli di reciprocità. Ma tali vincoli sono essenziali al funzionamento di una comunità di agenti razionali finiti e mutualmente dipendenti quali noi siamo. Per agenti reciprocamente vulnerabili la responsabilità è vincolata dalla reciprocità proprio perché per tali agenti la cooperazione e la condivisione sono modalità costitutive dell’agire razionale. L’assunzione di responsabilità è anche una modalità di conoscenza pratica dell’azione nella quale l’agente si costituisce come tale. Perciò questo concetto ha anche una funzione epistemica. Rivendicare la responsabilità della propria azione è un atto pubblico che si inserisce in un contesto sociale e trae da esso le sue norme costitutive. In questo senso, l’agire di cui siamo responsabili non è il risultato di uno sforzo della volontà, né si può ridurre di ridurre all’esecuzione di un atto. Piuttosto, l’agire responsabile è regolato da aspettative normative e sociali ed è, in questo senso, negoziabile. Le aspettative normative danno forma all’identità dell’agente e perciò le pratiche di valutazione della responsabilità hanno anche un risvolto politico. A volte, la valutazione di responsabilità ha funzione e valore testimoniale: serve a rispondere ad un crimine riaffermando i vincoli di reciprocità che sono stati violati. Ci sono molti casi in cui è difficile dire se l’agente si assume la responsabilità delle proprie azioni o delle proprie credenze, perché gli è difficile riconoscersi completamente in quello che fa oppure credere qualcosa con assoluta convinzione. Articolando il contrasto tra responsabilità e alienazione ho cercato di mettere a fuoco una funzione trascurata delle pratiche di responsabilità, la funzione riparatrice. La rivendicazione di responsabilità non è solo un atto di affermazione di sé come agente, ma anche un atto riparatorio nei confronti di noi stessi o degli altri. Perciò il concetto di responsabilità è funzionale alla ricostituzione di una integrità violata e alla ricomposizione di relazioni personali compromesse.
In che modo esso si accorda con le nostre conoscenze scientifiche?
Gli studi scientifici sulla natura dei processi cognitivi e della deliberazione hanno messo in discussione alcuni modelli filosofici tradizionali della responsabilità, in particolare quelli che vincolano il concetto di responsabilità al libero arbitrio e al controllo psicologico. Le scienze pongono dei vincoli alle spiegazioni filosofiche, ovvero, impongono che tali spiegazioni siano plausibili dal punto di vista naturalistico. Tuttavia, anche le teorie filosofiche pongono dei vincoli di plausibilità alle spiegazioni scientifiche e, in particolare, chiedono che tali spiegazioni siano perspicue e salienti e questa richiesta contrasta con certi modelli scientifici riduttivisti. Il dibattito sulla responsabilità è un esempio di come la ricerca scientifica e la ricerca filosofica possono dialogare, porsi richieste reciproche e quindi lavorare in modo collaborativo e complementare allo studio dei fenomeni. Il fenomeno che ritengo centrale per la comprensione delle pratiche di valutazione della responsabilità è la capacità di essere guidati da norme, ovvero, la capacità di agire sulla base di un principio o di una ragione e, parallelamente, di contravvenire ad una regola, di violare un obbligo. La questione della responsabilità sorge laddove si pone il problema della normatività, la possibilità di osservare o violare una norma. Senza questo concetto non possiamo rendere conto del nostro agire e delle nostre attività deliberative e valutative dal punto di vista dell’agente. Lo studio della responsabilità non entra in collisione con le teorie scientifiche perché non comporta alcuna ontologia speciale o misteriosa, né presume che sia risolto in un modo o nell’altro il problema metafisico del libero arbitrio. Piuttosto, questo studio si occupa di spiegare la relazione di autorità che l’agente intrattiene con la sua azione, i modi con cui la rivendica come propria oppure la disconosce. Rivendicare o rifiutare la responsabilità per l’azione sono atti normativi distintivi suscettibili di una spiegazione filosofica che prende sul serio la prospettiva soggettiva dell’agente, le sue capacità deliberative e razionali di dirigere l’azione e orientare il futuro.
Perché la responsabilità è strumento indispensabile al vivere civile?
Il concetto di responsabilità è un concetto cardinale per la scelta individuale e per la vita delle comunità regolate da norme. Ci consente di richiamare all’ordine chi trasgredisce norme condivise, di identificare modi giustificati ed equi di sanzionare la trasgressione e di gestire la compensazione in modi altrettanto giustificati ed equi. Questo è l’aspetto regolativo della responsabilità che in parte risponde a intuizioni di tipo retributivista e invita riflessioni sulla pena e sulla sua giustificazione. Ma c’è un aspetto più fondamentale del concetto di responsabilità, quello vincolato dalla reciprocità che riguarda le relazioni personali e il vivere civile. Infatti, la rivendicazione di responsabilità è uno strumento politico essenziale di lotta per il riconoscimento. Reclamare responsabilità è un modo di negoziare i confini della comunità rilevante, mettendone in discussione gli standard. Insomma, questo concetto è uno degli strumenti più potenti che abbiamo per operare e sostenere il cambiamento sociale.
Carla Bagnoli è Professore Ordinario di filosofia teoretica all’Università di Modena dal 2010. È stata full professor alla University of Wisconsin, dove ha insegnato dal 1998. È stata Uheiro Visiting Scholar all’Università di Oxford e Visiting Fellow alla Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, Ecole Normale Supérieure de Lyon, University of Amsterdam e Harvard University. È autrice di numerosi saggi di epistemologia morale e di teoria dell’azione e ha curato Morality and the Emotions (Oxford University Press) e Constructivism in Ethics (Cambridge University Press).