“Teoria dei giochi” di Pierpaolo Battigalli

Prof. Pierpaolo Battigalli, Lei è autore del libro Teoria dei giochi edito da Treccani: quando e come nasce la teoria dei giochi?
Teoria dei giochi, Pierpaolo BattigalliLa teoria dei giochi è l’analisi teorica delle situazioni interattive, cioè quelle situazioni in cui gli individui di un dato gruppo scelgono azioni che determinano congiuntamente esiti per tutti gli agenti. I giochi come gli Scacchi o il Poker sono esempi paradigmatici di situazioni interattive, ma queste ultime caratterizzano – più in generale – la sfera sociale, economica e politica. Inoltre i giochi in senso proprio hanno regole chiaramente definite e descrivibili e sono perciò più facilmente analizzabili con un rigoroso approccio logico-matematico. Per questo l’analisi teorica delle situazioni interattive ha preso le mosse dai giochi come gli Scacchi e il Poker, studiati da alcuni dei migliori matematici della prima parte del ventesimo secolo, tra cui Borel, von Neumann e Zermelo. L’analisi matematica dei giochi è nata in concomitanza con il grande impulso allo sviluppo assiomatico della matematica all’inizio del secolo scorso. Infatti tale analisi illustrava in modo efficace le potenzialità del processo di astrazione della matematica. Ma se l’analisi delle situazioni interattive si fosse limitata a questo, sarebbe rimasta una disciplina di nicchia. Invece von Neumann negli anni ‘40, stimolato dall’economista Morgenstern, ha colto la potenzialità della teoria dei giochi di rivoluzionare i metodi di analisi economica e sociale. Poi negli anni ‘50-‘70 la teoria dei giochi è lentamente penetrata nell’analisi economica e nei modelli formali di competizione politica. Ciò è avvenuto anche grazie al contributo di Nash, che con il suo concetto di equilibrio ha gettato un ponte tra la teoria dei giochi e l’analisi economica tradizionale.

Qual è il nucleo concettuale della teoria dei giochi?
Come spiego nel libro, la teoria dei giochi è un metodo di analisi più che una teoria in senso tradizionale. Anzitutto essa fornisce un linguaggio formale per descrivere le situazioni interattive, un aspetto fondamentale spesso trascurato. Si pensi ai mercati finanziari, o alle aste, in cui i partecipanti interagiscono tramite una piattaforma informatica. Le regole d’interazione devono necessariamente essere codificate in modo preciso, quindi devono essere esprimibili in un linguaggio logico-matematico. Naturalmente il linguaggio formale più appropriato per sviluppare una teoria astratta non è quello usato dai programmatori delle piattaforme di scambio, ma deve essere possibile una traduzione. In particolare, la rappresentazione formale di queste situazioni interattive deve poter distinguere la descrizione delle regole del gioco dalla descrizione delle caratteristiche personali dei partecipanti, cioè dei “giocatori”. Mettendo insieme questi due elementi, bisogna poi fornire una teoria del comportamento dei giocatori: date le regole e le caratteristiche personali, date le reciproche conoscenze e credenze dei giocatori su queste ultime (anch’esse rappresentabili in modo matematicamente rigoroso), che comportamenti ci si può aspettare da parte dei giocatori? In realtà, come ho cercato di spiegare nel mio libro, non esiste un’unica teoria a riguardo, bensì un insieme di teorie basate su un linguaggio comune. Le teorie vanno poi valutate sulla base dei loro fondamenti e delle loro capacità previsive, inclusa la capacità di descrivere come i cambiamenti nelle regole del gioco influenzano il comportamento. Per esempio, quali sono i meccanismi d’asta più adatti ad assegnare bande di radio-frequenza? Quali sono le regole migliori per le gare d’appalto? Senza una teoria che spiega come cambia il comportamento in base alle regole del gioco non è possibile rispondere a queste domande.

Quali applicazioni trova la teoria dei giochi?
Io sostengo che, almeno in linea di principio, qualunque situazione d’interazione sociale deve poter essere studiata con la teoria dei giochi. Poi per certi studi, per esempio quelli che riguardano certi mercati perfettamente concorrenziali, la teoria dei giochi non è in pratica necessaria. Per esempio, molti modelli utilizzati per prevedere l’effetto dell’abbassamento delle tariffe sullo scambio di merci e sui redditi nazionali non sono basati sulla teoria dei giochi. Per altri studi è così complesso formulare un’analisi genuinamente basata sulla teoria dei giochi che si è costretti a prendere delle scorciatoie, usando ipotesi implicite, quindi poco trasparenti. A mio avviso, questo è lo stato della teoria macroeconomica. La descrizione, ancorchè iper-semplificata, delle regole d’interazione di un’economia nel suo complesso, con mercati dei fattori produttivi, dei prodotti e delle attività finanziarie che si influenzano reciprocamente, sembra essere troppo complessa per dar luogo a modelli analiticamente trattabili. Ci sono macroeconomisti che usano la teoria dei giochi, per esempio per analizzare gli attacchi alle valute, ma si tratta di modelli di singoli mercati analizzati senza considerare effetti di retroazione attraverso altri mercati. La microeconomia invece studia il comportamento di agenti economici in mercati singoli, o in organizzazioni, o in situazioni di contrattazione, e ciò la rende adatta all’analisi basata sulla teoria dei giochi. Anzi, in moltissimi casi non ci sono alternative. Per esempio, l’analisi della contrattazione e l’analisi dei mercati con poche imprese è necessariamente un’applicazione della teoria dei giochi. Prima che tale teoria fosse sviluppata in modo sistematico, o gli economisti non erano in grado di formulare modelli ben fondati e interessanti, oppure sviluppavano applicazioni ante litteram della teoria dei giochi. Ecco perché quest’ultima è diventata parte essenziale degli studi economici.

Quali prospettive per la teoria dei giochi?
Poiché la teoria dei giochi è un metodo rigoroso di analisi delle situazioni interattive, credo che sarà usata in modo sempre più esteso. Per esempio, molti studiosi di informatica e di statistica che si interessano di “data science” e “big data” si stanno rendendo conto dell’importanza della teoria dei giochi, proprio perché sono portati a studiare comportamenti di molti individui interagenti (anche se talvolta gli individui in carne ed ossa sono gli sviluppatori del software installato su dispositivi interagenti come le “self-driving cars”). Più in generale credo che la teoria dei giochi diventerà ancora più interdisciplinare di quanto già non sia.

In precedenza ho lamentato uno scarso uso della teoria dei giochi in macroeconomia. Credo che ci saranno dei progressi su questo fronte. Infatti la teoria dei giochi permette un’analisi rigorosa e illuminante delle aspettative che gli agenti hanno gli uni sugli altri, così come un’analisi dei processi di apprendimento interattivo e degli stati stazionari (equilibri) di tali processi. Per la teoria macroeconomica sarebbe molto importante poter incorporare tali analisi nei propri modelli. Credo quindi che le difficoltà menzionate in precedenza saranno almeno in parte superate e che vedremo modelli macroeconomici analiticamente trattabili genuinamente formulati come giochi.

Un importante sviluppo della teoria che attualmente è solo agli inizi consiste nell’incorporare nell’analisi caratteristiche psicologiche e cognitive che deviano dal tradizionale modello di agente razionale. Infatti, benchè la nozione di razionalità sia stata ampliata in modo molto significativo intendendola in senso soggettivo, essa non può dar conto delle limitazioni cognitive e delle emozioni che caratterizzano il pensiero e il comportamento umano. La cosiddetta “economia comportamentale” ha fatto notevoli passi avanti in questo senso, ma non è stata pienamente integrata nella teoria dei giochi. Da teorico “puro” (o, più precisamente, astratto) mi viene spontaneo il seguente esempio. Ho precedentemente enunciato un “principio di separazione” che mi pare auto-evidente: l’analisi teorica deve poter distinguere la descrizione delle regole del gioco da quella delle caratteristiche personali dei giocatori. Ebbene, per quanto sorprendente ciò possa sembrare, questo principio non è pienamente applicato dalla teoria dei giochi formulata da von Neumann e poi estesa e raffinata da Kuhn e altri. Infatti la loro formalizzazione rappresenta l’informazione come una specie di successione di “fotografie” di ciò che un giocatore conosce in ogni momento del gioco. Ma questa è una rappresentazione spuria che non distingue tra ciò che viene comunicato ai giocatori secondo le regole del gioco e ciò che i giocatori si ricordano, che evidentemente dipende dalle loro personali capacità mnemoniche. Finora questo problema è stato sottovalutato perché l’ipotesi di razionalità usata nei modelli di teoria dei giochi implicava illimitate capacità cognitive, quindi anche mnemoniche. Sotto l’ipotesi di memoria perfetta, la formalizzazione tradizionale è adeguata: non ha importanza rappresentare esplicitamente ciò che viene comunicato ai giocatori, è sufficiente rappresentare (secondo la precedente analogia, “fotografare”) tutto ciò che hanno imparato. In realtà formulare la teoria dei giochi in ottemperanza al principio di separazione tra regole e caratteristiche personali non è molto difficile. Presto i nuovi manuali (a partire da quello che sto scrivendo) presenteranno una formulazione che rispetta pienamente tale principio. Ho citato questo punto soltanto perché mostra quanto poco si sia fatto per incorporare realistici aspetti psicologici e cognitivi nella teoria. Ma questa importante limitazione verrà gradualmente superata.

Pierpaolo Battigalli (Milano, 1961) è docente di Microeconomia e teoria dei giochi all’Università Bocconi. Si è dedicato allo studio dei fondamenti della teoria dei giochi, esaminando criticamente i concetti tradizionali e analizzando concetti nuovi giustificati da ipotesi trasparenti sui processi di formazione delle credenze soggettive e sul ragionamento strategico. Ha pubblicato sulle più prestigiose riviste scientifiche del settore. È stato eletto “Fellow” della Econometric Society e della Game Theory Society.

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