
In che modo la comparazione può rappresentare uno strumento di mediazione culturale?
La comparazione comporta un’attività di mediazione culturale simile a quella richiesta dalla traduzione (che essa incorpora), per cui non si tratta soltanto di trovare termini corrispondenti, ma di omologare significati, rapportati alle rispettive mentalità.
Come vengono bilanciati, negli altri ordinamenti, diritti della personalità e all’informazione?
Sono isolabili alcuni modelli. Quello statunitense garantisce un’ampia immunità alla libertà di espressione e per neutralizzare reportages scorretti o campagne di stampa pregiudizialmente ostili si avvale soltanto di tecniche rimediali puramente interne al meccanismo processuale, adottando, ad esempio, il sistema del minuzioso esame preventivo dei giurati, delle istruzioni giudiziali, dell’isolamento della giuria, del rinvio o spostamento ad altra sede del processo, della modifica del verdetto in appello.
In netta opposizione si colloca il modello delineato dalla common law tradizionale ed in particolare dai sistemi inglese, australiano e canadese. Esso, definibile come protective approach, sembra evidenziare una maggiore preoccupazione circa i rischi che può presentare un esercizio incontrollato della libertà di stampa rispetto ad una serena ed imparziale amministrazione della giustizia. Allo scopo di garantire il giusto processo e quindi di promuovere la fiducia del pubblico nelle corti – unico e legittimo foro per la soluzione delle controversie – la libertà di espressione non è protetta incondizionatamente, ma il suo esercizio è fatto oggetto di una serie di limiti.
In particolare, sono previste sanzioni penali per reprimere la divulgazione di fatti o la manifestazione di opinioni che possano interferire con od ostacolare un procedimento giurisdizionale in atto o in potenza (“contempt by publication, sub judice rule”); possono essere inoltre disposti ordini preventivi di non divulgazione di notizie (di fonte legale o giudiziale) atte a turbare l’accertamento giudiziale dei fatti (come dati riguardanti l’identità dell’indagato minore o della vittima di violenze sessuali). La disciplina della diffamazione, d’altro canto, mira ad offrire una protezione sussidiaria ai diritti all’onore e alla reputazione incisi dall’attività di informazione.
Il modello europeo-continentale non differisce dai precedenti soltanto sul piano delle soluzioni operative, ma prima ancora nella percezione della natura e della tipologia degli interessi in gioco. Mentre i sistemi di common law attribuiscono grande rilievo al problema dell’impatto dei media sulle garanzie del giusto processo, sottostimando i riflessi negativi delle campagne di stampa sulla sfera personale dei soggetti coinvolti, la tradizione continentale sembra all’opposto meno preoccupata dell’incidenza del clamore mediatico sul concreto esito della vicenda processuale e invece più attenta all’esigenza di salvaguardare i diritti (dignità, privacy, reputazione) dei partecipanti al processo.
Quale evoluzione ha subito, nel laboratorio europeo, il diritto successorio?
L’analisi degli ordinamenti francese, tedesco e inglese, alla luce delle recenti riforme, confrontandoli con le soluzioni italiane fa emergere differenze talora rimarchevoli a margine dei criteri della chiamata ereditaria, dell’atteggiamento nei confronti di patti successori e testamenti congiuntivi, della successione necessaria. E’, peraltro, individuabile una certa convergenza verso l’espansione dell’autonomia privata, che risulta assecondata dal Regolamento UE 650/2012.
In che modo la vicenda dei contratti prematrimoniali tedeschi e americani è esemplare delle frequenti sintonie culturali tra ordinamenti di common law ed europei?
Osservati attraverso la segmentazione dei singoli contenuti, i contratti prematrimoniali rivelano coprire un largo spettro di funzioni. Negli Stati americani essi realizzano la valenza più ampia, trascorrendo dal versante patrimoniale della crisi coniugale – governando sia gli obblighi alimentari e di mantenimento, sia la spartizione patrimoniale – a quello successorio; altrettanto in Germania dove, però, rispetto al cosiddetto regime patrimoniale secondario opera l’opzione per la separazione dei beni. Essi sono comunque soggetti al controllo giudiziario sul contenuto e sul procedimento di formazione; alcune vertenze si sono presentate in entrambi i contesti, ed hanno ricevuto soluzioni simili.
Alcuni patti sono vietati in tutti gli ordinamenti: la clausola penale per la richiesta della separazione, gli impegni riguardanti la formazione ed educazione – civile e religiosa- della prole. Altri sono collocati in una zona grigia, seppur in forza di diverse argomentazioni: la rinuncia agli alimenti ora è nettamente osteggiata su basi concettuali, ora è variamente intralciata, dallo squilibrio presumendo l’inganno o la forzatura. Si è registrata la divaricazione a lungo protratta tra le due aree di common law, americana ed inglese, di recente ricomposta con l’estensione del primo modello.
Piuttosto che alle matrici degli ordinamenti, alle coordinate tecnico-giuridiche, occorre allora guardare ai rispettivi contesti sociali ed economici, onde verificare similarità tali da far presagire il trasferimento delle medesime soluzioni, oppure diversità idonee a giustificare la divergenza. Al fine di esplorare la trapiantabilità degli accordi prematrimoniali nel nostro ordinamento occorre isolarne le funzioni e rispetto ad esse operare la verifica. Lo sbarramento più netto – reperibile già sul piano legislativo – è ovviamente rappresentato dal divieto dei patti successori.
Alla stregua dell’equivalenza funzionale l’assimilazione più agevole è, invece, quella con l’opzione per la separazione dei beni. Dal confronto con il sistema tedesco nonché con il diritto americano risalta, tuttavia, la minor propensione italiana al controllo sull’informazione e la spontaneità del consenso, registrandosi un ben esiguo contenzioso incentrate su eventuali vizi della volontà diretta all’adesione alla convenzione matrimoniale, addirittura assente – a quanto consta – rispetto all’abbandono del regime legale all’atto della celebrazione del matrimonio
Come viene contrastata la deriva mercantilistica dell’attività forense negli ordinamenti stranieri?
L’indagine comparatistica registra il manifestarsi – a margine dello svolgimento in forma societaria – delle peculiarità della professione forense, strumentale alla tutela dei diritti.
Nel nostro ordinamento si è invocata l’adozione nei suoi confronti di misure coerenti con la funzione costituzionale. L’analisi comparatistica conferma queste riserve, esibendo modelli che vietano l’esercizio della professione legale in forma societaria ed altri ove è impedito l’ingresso negli studi a soci di mero capitale; peraltro, anche negli ordinamenti più liberali (come quello inglese) nei quali è ammesso il socio non professionista, è comunque prescritta un’autorizzazione dell’organismo di controllo da accordarsi previa verifica dell’attitudine ad esser parte di una società professionale. Negli Stati Uniti le riserve sono ribadite persino nei confronti di soci operosi, che si impegnino a rendere prestazioni complementari a quelle legali.
L’ingresso del socio di capitale è, insomma, ovunque circondato da sospetto in ragione dei rischi sia di condizionamento delle strategie difensive, sia di coartazione delle scelte delle posizioni da patrocinare. Le innumerevoli implicazioni sono legate, per un verso, alla prevenzione di conflitti di interessi e, per altro, alla tutela delle ragioni scarsamente remunerative; invero queste ultime rischiano di essere postergate laddove l’assunzione dell’incarico e la sua gestione siano orientati da un’ottica schiettamente mercantile. Ulteriore controindicazione proviene dall’assenza di meccanismi predisposti a tutela dell’accesso alla giustizia da parte delle classi meno abbienti: in maniera diretta, quale il gratuito patrocinio, oppure indiretta; tra questi ultimi la prassi giudiziaria – da noi respinta – di liquidare “risarcimenti punitivi”, i quali consentono ampio ricorso al “patto quota lite”, senza espropriare il danneggiato, dal momento che – cumulando la funzione deterrente – le somme sono liquidate in misura superiore all’entità del danno da ristorare.
Andrea Fusaro è professore ordinario di Diritto privato comparato all’Università di Genova e notaio in Genova. È autore di L’associazione non riconosciuta – Modelli normativi ed esperienze atipiche, (Cedam, 1991) e La determinazione convenzionale circa l’uso dei beni immobili nel diritto inglese e nel diritto italiano (ed. provv. 2002) oltre a centinaia di articoli scientifici. Ha curato con Guido Alpa e Mario Bessone la seconda edizione di Poteri dei privati e statuto della proprietà, in due volumi, pubblicata da Seam nel 2001 e, sempre con Guido Alpa, Le metamorfosi del diritto di proprietà, (Antezza, 2011).