Tancredi, principe di Salerno, era sempre stato un signore umano e benevolo; ebbe un’unica figliuola, Ghismunda, che amava teneramente, più di quanto un padre avesse mai amato la sua creatura, e perciò, anche se la giovane aveva superato da un pezzo l’età da marito, non si decideva a farla sposare, per non doversi separare da lei.
Alla fine, la diede in sposa a un figlio del duca di Capua ma il matrimonio durò poco, perché lo sposo, di lì a non molto tempo, morì e la moglie, rimasta vedova, tornò dal padre.
Egli, nonostante la figlia fosse ancora un fiore, non ci pensava proprio a trovarle un altro marito e così ella prese la decisione di trovarsi un amante segreto. La scelta cadde su un valletto del principe, di nome Guiscardo, un giovane di umili origini, ma, quanto a modi e a gentilezza d’animo, un autentico gentiluomo. Lo incontrava spesso, nelle stanze del palazzo, e più lo vedeva, più lo apprezzava, per cui finì con l’innamorarsi di lui, ricambiata in questo dal giovane.
Un giorno, dopo pranzo, Tancredi, che aveva l’abitudine, di tanto in tanto, di recarsi negli appartamenti della figlia per conversare con lei, entrò, senza essere visto né udito da alcuno, nella camera di lei che, nel frattempo, si divertiva in giardino con le sue damigelle, e lì si addormentò.
Il caso volle che quel giorno Ghismunda, sfortunatamente, stesse proprio aspettando Guiscardo che la raggiunse presto in camera. Il principe si svegliò e vide quel che il suo valletto e sua figlia stavano facendo. Sdegnato e inviperito, stava per aggredirli, ma seppe trattenersi: sapeva bene quel che voleva fare, ma l’avrebbe fatto più tardi, in modo meno plateale e meno compromettente. Per il momento, decise di restarsene nascosto in silenzio.
Rimasto alla fine solo, Tancredi tornò, pieno di dolore e di rabbia, in camera sua. La notte seguente fece rinchiudere Guiscardo in una delle stanze del palazzo e, deciso a vendicarsi sull’amante della figlia, ordinò ai carcerieri del valletto di strangolarlo, strappargli il cuore e portare questo a lui. I due, naturalmente, ubbidirono e, calate le tenebre, eseguirono puntualmente quanto era stato loro comandato.
Il giorno successivo, Tancredi si fece portare una grande coppa d’oro, vi mise dentro il cuore di Guiscardo e ordinò a un suo fidatissimo cameriere di fare avere il tutto a sua figlia.
Ghismunda, quando le si presentò il cameriere del principe, prese dalle sue mani la coppa e, dopo averla scoperchiata, vedendo il cuore del suo Guiscardo, senza scomporsi, disse al servitore: “Soltanto una poteva essere la bara degna di un cuore come questo: una bara d’oro”.
Si fece allora portare dalle damigelle il piccolo vaso che conteneva l’acqua velenosa da lei preparata il giorno prima e la versò tutta quanta sopra il cuore sul quale aveva nel frattempo versato tutte le sue lacrime. Poi, senza alcuna esitazione, si portò la coppa alle labbra e bevve fino all’ultima goccia; si sistemò quindi sul letto in attesa della morte.
Il padre, accorso al suo capezzale, cominciò a piangere e disperarsi pentendosi della sua crudeltà. Decise allora di esaudire almeno l’ultimo desiderio di sua figlia e diede disposizioni perché lei e il suo Guiscardo fossero sepolti insieme e con tutti gli onori.