
Tuttavia, solo successivamente, all’epoca di Gregorio Magno, che fu papa dal 590 al 604, appare questa formula, che mantiene solo formalmente il rimando alla figura di Simone Mago ma di fatto viene utilizzata per descrivere i tentativi di compravendita degli ordini e delle cariche ecclesiastiche.
Quale formulazione ne rinveniamo negli scritti dei Padri della Chiesa?
Tra i Padri della Chiesa l’endiadi symoniaca heresis si ritrova principalmente negli scritti del santo papa Gregorio Magno, che con quest’espressione descrive un abuso allora molto diffuso, ovvero lo scambio di denaro o di favori in vista dell’elezione all’episcopato, della promozione agli ordini maggiori come il presbiterato o il diaconato o il conferimento di un incarico di rilievo nella Chiesa, e lo collega all’idea di eresia. Nella tradizione della Chiesa, un’eresia è la negazione ostinata di una verità di fede o l’affermazione di una dottrina contraria ad essa, e l’epoca dei Padri è segnata dalla nascita di moltissime eresie, che danno luogo a lotte molto intense ed a veri e propri conflitti. La novità del pensiero di Gregorio Magno è che si può diventare eretici non solo professando una falsa dottrina ma anche con un comportamento pratico, che va a colpire la necessaria libertà nella scelta dei candidati più idonei per gli ordini sacri e gli uffici ecclesiastici, pretendendo di fare commercio di ciò che deve invece essere conferito e ricevuto gratuitamente.
La preoccupazione del Papa, che emerge da moltissime sue lettere e da altri scritti, ruota attorno all’idea che sia assolutamente necessario salvaguardare il processo di scelta e l’elezione delle persone più idonee per gli ordini sacri – allora i Vescovi venivano eletti dal presbiterio e dal popolo riuniti – da ogni forma di corruzione o da ogni possibile, si direbbe oggi, scambio di favori o conflitto di interessi. Va anche detto che, nel mondo tardo antico, quando si trattava di conquistare posizioni di potere, simili comportamenti erano all’ordine del giorno, sia presso i regni nati dallo sfaldamento dell’Impero Romano di Occidente che in altre regioni, e proprio per questo gli scritti di Gregorio Magno affermano che il diventare prete, o vescovo, va sottratto a queste logiche, e se accade qualcosa in questo senso, non è solo un peccato, seppur grave, ma una deviazione dalla vera fede in Gesù Cristo.
Quale evoluzione caratterizza l’idea di symoniaca heresis fino alla Riforma gregoriana?
Un passaggio essenziale dello sviluppo della nozione di simonia come eresia si ha nel momento in cui essa diventa uno dei punti di scontro della lotta per la riforma della Chiesa nel X e XI secolo.
Di fatto, si ritrova l’espressione in moltissimi autori sia della cosiddetta Riforma Imperiale che della successiva Riforma Gregoriana. Questi ultimi parlano inoltre di symoniaca heresis per investituras renovata, cioè di una nuova manifestazione dell’antico abuso stigmatizzato da Gregorio Magno che avveniva con la prassi delle investiture laicali. Tutto ciò potrebbe essere dovuto alla penetrazione capillare degli usi e delle norme tipici del mondo feudale nella vita della Chiesa, tanto da creare comportamenti che andavano a toccare, in pratica, la legittimità di quasi tutte le ordinazioni sacerdotali. I numerosi interventi dei papi in materia, se dal punto di vista dottrinale condannano l’abuso senza possibilità di appello, dal punto di vista pratico elaborano delle soluzioni normative che colpiscono i casi più gravi ma al tempo stesso rivelano la preoccupazione di non portare il sistema al collasso.
Quale rilievo assume, nel Decretum Gratiani, la symoniaca heresis?
La redazione del Decretum Gratiani, un’opera di notevoli dimensioni, ultimata nella prima metà del XII secolo, che è nata ed è stata utilizzata come testo base per l’insegnamento nella nascente Università di Bologna e che segna uno spartiacque nella storia del diritto canonico latino, avviene quando ormai la lotta per le investiture e le polemiche sollevate dai tentativi di riforma della Chiesa hanno raggiunto un accomodamento. Tuttavia, la simonia continuava ad essere ritenuto un abuso di particolare gravità, a cui l’autore del Decretum dedica la prima e più importante sezione della seconda parte della sua opera. È bene qui ricordare che il Decretum è una collezione canonica, cioè una raccolta di testi, o auctoritates, organizzati e spiegati secondo un metodo nuovo, sviluppato dallo stesso Graziano. In particolare, la prima parte dell’opera contiene le Distinctiones, mentre nella seconda ci sono le Causae, in cui l’autore propone un caso ipotetico, analizzato secondo il metodo scolastico della quaestio, dove si giunge alla soluzione del caso cercando di conciliare le affermazioni dei singoli autori. Si parla di symoniaca heresis, come già detto, nella Prima Causa, dove Graziano delinea il caso dell’ingresso in monastero di un giovane dietro pagamento di una somma di denaro, giovane che poi diventa vescovo e ordina dei sacerdoti. Da questo caso il maestro sviluppa sette questioni relative alle possibili implicazioni delle azioni simoniache di questa persona. La symoniaca heresis ritorna in altri luoghi dell’opera, ma io ho rivolto la mia attenzione in maniera specifica alla prima questione della prima Causa, dove si presenta in particolare l’idea stessa di simonia, ed ho cercato di ricostruirne l’iter redazionale.
Quali vicende segnano il processo redazionale del Decretum?
Il processo redazionale del Decretum Gratiani è stato da sempre oggetto di ricerche attente e capillari da parte degli studiosi. Con la rinascita degli studi sulla canonistica classica, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, grazie all’opera di studiosi come Stephan Kuttner e altri, è stato possibile accrescere ulteriormente le conoscenze sulle possibili tappe della redazione del Decretum e sulla persona stessa di Graziano. Gli studi hanno subito un’ulteriore accelerazione a partire dalla scoperta, avvenuta sul finire del XX secolo da parte di Anders Winroth, della cosiddetta prima recensione, un gruppo ristretto di manoscritti che riporta una versione del testo molto più corta rispetto alla redazione definitiva poi diffusasi in tutto l’Occidente medievale, il che ha portato ad ipotizzare che esistessero due versioni distinte dell’opere ed anche che dietro le due recensioni ci fossero due autori diversi. Sulla scia di queste scoperte, altri studiosi, in primis Carlos Larrainzar, hanno ipotizzato un processo redazionale più complesso, articolato in diversi stadi redazionali, a partire dall’attenta analisi di un ulteriore manoscritto, il cosiddetto Codice di San Gallo (Stiftsbibliothek 673), ritenuto ancora più antico di quelli analizzati dal Winroth e quindi l’unico testimone di una versione ancora precedente del Decretum. Le ricerche continuano ancora oggi e si assiste direi quasi quotidianamente a nuove scoperte ed alla pubblicazione di nuovi studi e contributi. Ritengo che ci sia certamente ancora molto da scoprire e che siamo ben lontani da conclusioni definitive, e che solo l’umile ed attento studio delle fonti può alimentare il progresso di questa disciplina complessa ma estremamente affascinante.
Per quanto riguarda il mio contributo, mi sono limitato a studiare l’utilizzo della formula symoniaca heresis in un preciso luogo dell’opera, la prima quaestio della Prima Causa, dove si analizzano il significato e le implicazioni del termine. Ho analizzato in particolare la trasmissione dei testi di Gregorio Magno e successivi, per concludere che la prima recensione del Decretum, in questa particolare sezione, attinge ad un numero ristretto di fonti, principalmente il Liber de Misericordia et iustitia di Algero di Liegi, mentre la seconda recensione ha accolto materiale proveniente da altre collezioni canoniche. Ho confrontato inoltre determinate citazioni delle opere di Gregorio Magno con quelle presenti nel Codice di San Gallo e, senza voler entrare nella querelle sull’esistenza di uno o di più autori, sono giunto a conclusioni che rafforzano le ipotesi già formulate da Winroth e da altri e non confermano la precedenza del Codice di San Gallo rispetto ai testi della prima recensione. Anche in questo caso, i risultati della ricerca non possono che essere provvisori e rimanere aperti a quanto emergerà dalle ricerche successive.
Alessandro Recchia (Isola del Liri, 1968) è un sacerdote della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, dottore in diritto canonico e avvocato rotale. Insegna Storia del Diritto Canonico presso la facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana a Roma. Nelle sue ricerche si è occupato della potestà del Papa, della simonia e della sua iconografia nelle miniature dei manoscritti del Decretum Gratiani.