“Svizzera italiana. Per la storia linguistica di un’espressione geografica” a cura di Ariele Morinini e Lorenzo Tomasin

Dott. Ariele Morinini, Lei ha curato con Lorenzo Tomasin l’edizione del libro Svizzera italiana. Per la storia linguistica di un’espressione geografica pubblicato da Edizioni ETS: quando e come nascono le espressioni Svizzera italiana e svizzeri italiani?
Svizzera italiana. Per la storia linguistica di un'espressione geografica, Ariele Morinini, Lorenzo TomasinLe denominazioni Svizzera italiana e svizzeri italiani, che indicano il territorio italofono della Svizzera, ovvero il Cantone Ticino e parte dei Grigioni, sono oggi impiegate univocamente nel linguaggio comune, quotidiano, così come in quello della politica e della geografia antropica. Questo assetto si è tuttavia stabilito solo dopo un lungo processo storico di costruzione, negoziazione e riconoscimento dell’identità culturale e linguistica delle aree interessate. Infatti, le prime testimonianze di questo sintagma risalgono solo al diciottesimo secolo e inizialmente non sono in lingua italiana, ma in tedesco e in latino. Nello specifico la prima attestazione del termine, riferita al solo Cantone Ticino, dunque non coincidente sul piano semantico alla denominazione attuale, si legge in un salvacondotto rogato in lingua latina per l’architetto luganese Giuseppe Quadri da un tale Ladislaum Egy, che impiega la denominazione «republica Helvetico Italica» (ne parlo in una monografia attualmente in corso di stampa per Francke); pochi anni più tardi il termine si ritrova più diffusamente, e si consolida verosimilmente nell’uso in lingua tedesca, nel volume Beyträge zur nähern Kenntniß des Schweizerlandes (1786) del pastore zurighese Hans Rudolf Schinz («Italienische Schweiz»); nello stesso giro d’anni delle varianti dello stesso nome tornano anche nel Tagebuch einer Reise durch die östliche, südliche und italienische Schweiz (1800) della scrittrice danese Friederike Brun («italienischer und piemontesischen Schweiz»), che testimoniano una percezione comune della complessa identità di queste terre.

La denominazione ha poi subito negli anni notevoli sviluppi semantici, in primo luogo impressi dal ticinese Stefano Franscini, che nella sua opera storico-statistica La Svizzera italiana (1837-40) ha proposto l’idea di una Svizzera italiana intercantonale, ovvero concepita come regione culturale, comprendente il Ticino e il Grigioni di lingua italiana. Tale significato, che resiste ancora oggi con minimi sviluppi, in particolare relativi all’ampliamento del termine all’italofonia dell’intera Svizzera, dunque non strettamente ancorato a una dimensione geografica, ha assunto negli anni un forte valore anche politico e ideologico. Dapprima, nella prospettiva fransciniana, il concetto di “Svizzera italiana” ha rappresentato uno strumento per inserire e legittimare l’italianità nel quadro confederale; d’altro canto, in particolare ai primi del Novecento, con l’intensificarsi dei nazionalismi, alla più consueta denominazione si è affiancata, non senza intenti polemici, l’idea di un’“Italia svizzera”, la quale, invertendo i rapporti logici e sintattici degli elementi, suggeriva un chiaro ripensamento dell’assetto politico-culturale del territorio.

Come si è articolato il processo storico di costruzione, negoziazione e riconoscimento dell’identità culturale e linguistica della Svizzera italiana?
La questione identitaria svizzero-italiana è molto complessa. Semplificando, i territori che compongono l’attuale territorio della Svizzera italiana furono fino al 1500 ca. parte del Ducato di Milano. Nei tre secoli successivi si è assestato un dominio politico svizzero, che osservava tuttavia un principio di territorialità e confessionalità, concedendo ampio margine di autonomia alla regione, dove rimasero in vigore degli statuti di origine medievale, legati alla dimensione comunale. Questo fa sì che gli abitanti dei Baliaggi italiani o della Svizzera lombarda (così sono stati riconosciuti in prospettiva storica questi territori) in questi tre secoli non abbiano sviluppato un’identità svizzera; anzi, anche dopo l’istituzione della moderna Confederazione (1803) sono stati necessari più decenni per formare e consolidare un’identità regionale. All’inizio del Novecento con il crescere dei nazionalismi la questione identitaria si è fatto via via più saliente, sviluppando sostanzialmente due correnti di pensiero politico-culturale o politico-identitario: un fronte elvetista, allineato cioè agli ideali promossi dagli intellettuali romandi del tempo, che incoraggiavano e ricercavano un’identità confederata anche in ambito culturale e artistico; e un fronte italofilo, che sosteneva l’importanza per la Svizzera italiana di privilegiare i contatti con la vicina Italia, diffidando e contrastando la presenza tedescofona nel cantone. Da questa dialettica, trovando l’equilibrio in una posizione equidistante dagli estremi, è derivata un’identità che ancora oggi ha un carattere quantomeno peculiare e che si forma in sostanza reattivamente, ovvero distanziandosi dal vicino italiano (in senso politico) e da quello svizzero di lingua tedesca (in senso culturale), in favore di un’illusoria e spesso nociva autarchia regionale.

Quali peculiarità presenta la lingua della Svizzera italiana?
La Svizzera italiana, sul piano linguistico, presenta molteplici particolarità, che in parte coincidono con le peculiarità dell’italiano regionale, comune all’intera italofonia; e in parte sono strettamente legate alla situazione geo-politica del territorio. Innanzitutto, rispetto alle vicine terre lombarde, l’area della Svizzera italiana è ancora fortemente dialettizzata: anche qui, tuttavia, la ricchezza e varietà dei dialetti testimoniata nell’Ottocento dagli studi di Franscini e di Ascoli, che riconoscevano oscillazioni e divergenze tra piccoli borghi situati anche a pochi chilometri di distanza, si va progressivamente riducendo in favore di una versione italianizzata o standardizzata del dialetto, che potremmo definire dialetto di koinè e che viene popolarmente riconosciuto nella regione con il nome di dialetto della ferrovia (poiché comprensibile dalle estreme terre alpine al confine settentrionale, collega cioè gli estremi come il principale asse ferroviario del territorio).

Tolto questo livellamento, la lingua parlata nella Svizzera italiana è una lingua di frontiera (e alludo al titolo di un importante saggio a questo proposito, quello di Sandro Banconi: Lingue di frontiera, Bellinzona 2001), per sua natura permeabile all’influenza delle aree linguistiche limitrofe. Sin dalle prime indagini ottocentesche, specie nelle alte valli del Ticino e nel Grigioni italiano, è stata rilevata la notevole ingerenza della lingua tedesca, che ha influito sui dialetti locali, segnatamente sul piano lessicale: ne sono ottima testimonianza i ricchissimi dialetti leventinesi, nei quali ad esempio si impiega snidar per ‘sarto’ (dal ted. Schneider) o lostig per ‘allegro, gioioso’ (dal ted. Lustig).

Tornando all’italiano, la particolare situazione della Svizzera italiana, che di fatto si inserisce in un assetto nazionale plurilinguistico, con il tedesco, il francese e il romancio, ha fatto sì che si sviluppassero, in ragione delle strutture statali, dell’autonomia della stampa e della politica rispetto all’Italia, un vasto ventaglio di svizzerismi o ticinesismi dell’italiano (ampiamente studiati dall’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana), quasi sempre prodotti sul piano lessicale o sintagmatico. Nel Ticino, ad esempio, al supermercato si è soliti parlare di azione (per ‘offerta’, dal francese action), è frequente l’uso del termine natel per ‘cellulare’, dal marchionimo National Auto-telefonnetz; o ancora, è parimenti diffuso, nelle scuole, l’uso del termine nota per ‘voto’ (dal tedesco Note; o dal francese note). Come naturale, su un altro piano si registrano poi anche alcune sottili divergenze semantiche e sintattiche nell’italiano della Svizzera: ad esempio, nel volume che si presenta, Lorenzo Filipponio ha individuato e classificato le variazioni di significato che riguardano l’avverbio ancora, al di qua e al di là del confine.

Nell’era dei social network, quale evoluzione sta caratterizzando l’area linguistica svizzero-italiana?
L’impulso della comunicazione digitale sulla lingua della Svizzera italiana non credo sia sostanzialmente diverso da quanto si verifica nel resto dell’italofonia. Al più, nel mondo connesso, senza confini, dei social network, le peculiarità linguistiche svizzero-italiane, e segnatamente l’uso del dialetto, possono assumere, come hanno proposto Bruno Moretti e Matteo Casoni nel loro contributo, un valore identitario, di differenziazione. Cioè l’impiego di una varietà linguistica fortemente connotata sul piano geografico può fungere in tale contesto comunicativo, e non solo, come agile spia o riferimento identitario.

Quale futuro per l’italiano nella Confederazione elvetica?
Oggi la Svizzera considera paritariamente l’italiano, il tedesco, il francese e il romancio. La situazione di plurilinguismo egualitario si concretizzò con la Costituzione federale del 1848, che sanciva come paritarie le tre lingue nazionali principali (l’italiano, il tedesco e il francese), cui si è aggiunto il romancio nel 1938. Se da un lato la situazione del plurilinguismo svizzero impone quasi naturalmente una particolare considerazione per il fatto linguistico, e di conseguenza pone i presupposti per la valorizzazione della specificità delle stesse, dall’altro la condizione di netta minoranza demografica dei parlanti italiano nella Confederazione può rendere la situazione concretamente più problematica. Tuttavia, nonostante una convivenza resa talvolta difficile dalle naturali gerarchie linguistiche, relative allo squilibrio numerico dei parlanti, i principali pericoli per l’italiano nella Confederazione sono costituiti dalla diffusione e dal prestigio di lingue non-nazionali, ovvero dallo spagnolo e soprattutto dall’inglese. Quest’ultime, infatti, si sostituiscono sempre più spesso all’italiano nei curricula scolastici degli svizzeri, che dopo la lingua materna e una seconda lingua nazionale cedono sovente alla tentazione dell’inglese e dello spagnolo, sempre più richieste e spendibili nel settore professionale. In conclusione, in Svizzera forse più che altrove, la prospettiva utilitaristica mette in crisi la dimensione più propriamente culturale delle lingue, penalizzando inevitabilmente l’italiano.

Ariele Morinini insegna Storia della lingua italiana presso la Sezione di italiano della Facoltà di Lettere dell’Università di Losanna

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