“Svevo” a cura di Massimiliano Tortora e Claudio Gigante

Prof. Massimiliano Tortora, Lei ha curato con Claudio Gigante l’edizione del libro Svevo pubblicato da Carocci. Sullo scrittore triestino si sono stratificate le interpretazioni che lo hanno via via visto come il romanziere della psicoanalisi o della crisi della borghesia: cosa rivela un’analisi fondata sul confronto sia con gli altri suoi scritti che con la tradizione europea?
Svevo, Massimiliano Tortora, Claudio GiganteTrattandosi di un classico, Svevo ha naturalmente attraversato diverse fasi nel corso della sua ricezione. È da dire in primo luogo che le diverse letture che ne sono state offerte hanno tendenzialmente colpito nel segno. È indubbio che la psicanalisi agisca all’interno del romanzo, e, come ha mostrato con intelligenza Mario Lavagetto, Freud non è stato solo una fonte, ma ancor più un “materiale di costruzione”: ossia tutta La coscienza di Zeno è costruita ripercorrendo i processi che sono propri del setting psicanalitico. E al tempo stesso – faccio riferimento a Maxia, a Petroni e a Boussy (solo per citarne alcuni) – indubbiamente Svevo ha indagato la falsa coscienza della borghesia europea di tardo Ottocento e di primo Novecento. Anzi – mi riferisco ancora una volta a Petroni, e in fondo allo stesso Lavagetto – psicanalisi e indagine della coscienza borghese sono strettamente connesse.

Tuttavia negli ultimi anni si è tentato di offrire un panorama più ampio dell’enciclopedia sveviana e dunque – di pari passo – della sua opera. Del resto già l’inserimento di Svevo all’interno del modernismo italiano ed europeo ha imposto un ripensamento a maglie più larghe: tanto più per l’autore della Coscienza, che del modernismo è stato eletto a capofila. Un contribuito decisivo è stato offerto dal commento contenuto nell’edizione critica dei Meridiani (Lavagetto, con Clotilde Bertoni, Federico Bertoni, Nunzia Palmieri e Fabio Vittorini), che ha riportato in superficie un’enciclopedia variegata, che si nutre profondamente di classici e di Ottocento, e che rimette in circolo queste sollecitazioni. E un legame con l’Ottocento è stato sottolineato con energia anche da Claudio Gigante, che nel suo ultimo libro, Una coscienza europea, ha ricostruito con pazienza e intelligenza critica il rapporto che lega il romanzo di Svevo a quello della grande tradizione europea (dal romanzo francese a quello russo, fino alle più nuove sollecitazioni tedesche).

Nel nostro volume abbiamo cercato proprio questa impostazione: ossia di privilegiare una lettura a tutto tondo dell’enciclopedia sveviana. E dunque anziché rimuovere borghesia e psicanalisi (che sarebbe stato un suicidio critico), integrarle con quelle interpretazioni che mostrano come la carica innovativa dell’opera sveviana si concili con un forte ancoraggio alla tradizione. Del resto Svevo è un classico, e dunque – come tale – portato a farsi carico della propria storia letteraria e a declinarla in forme nuove. Svevo è il primo narratore – e in maniera ancora più incisiva di Pirandello – a percepirsi figlio di una cultura europea: per questo motivo nella sua opera Verga, Balzac e Joyce agiscono in maniera sinergica (e ognuno nella propria lingua d’origine peraltro).

Come si è articolato il percorso letterario di Svevo?
Il percorso letterario di Svevo è tendenzialmente unitario, sia pure con profondi cambiamenti da un’opera all’altra. Svevo è un autore che si muove all’insegna dell’evoluzione, anziché della rottura. Certamente non si può negare che La coscienza di Zeno segni uno scarto rispetto ai primi due romanzi, eppure alcune riflessioni di fondo rimangono inalterate. Non solo, ma la continuità emerge anche a livello di strutture narrative. Il volume che Gigante e io abbiamo curato credo illustri queste dinamiche. I saggi di Matteo Palumbo e di Daniela Brogi (su Una vita e su Senilità) evidenziano i tratti di modernità presenti nelle opere; e al tempo stesso Claudio Gigante non teme di riallacciare La coscienza anche a influssi ottocenteschi: sia quelli francesi, come già detto, sia quelli russi (con alcune proposte molto originali). E anche Il vegliardo, letto da Paolo Giovannetti, non è uno scartafaccio ingestibile: semmai un’opera incompiuta ma non disorganica, al pari dei precedenti romanzi. Ovviamente i venticinque anni di “silenzio” (in verità poco silenzioso) sono occupati dalla redazione di alcuni racconti (di cui si è occupato Valentino Baldi) e di commedie (Federico Bertoni).

La produzione sveviana è unitaria perché riflette sempre sulle contraddizioni del soggetto, sulla difficoltà di conciliare pensiero e azione, sulle pressioni sociali. Sin dalle prime prove narrative fino all’ultima pagina de Il vegliardo, passando per i pezzi teatrali, il focus sveviano è orientato sull’io, che deve essere indagato e scandagliato. Sia ben chiaro, questo non significa disinteresse per la realtà sociale: al contrario proprio analizzando le debolezze e le nevrosi del soggetto Svevo offre una rappresentazione del mondo circostante.

Al tempo stesso tutta la sua produzione rappresenta quell’inconciliabile rapporto tra aspirazione (sempre negata) all’unità e all’armonia e condanna (inevitabile) al caos e all’imprevedibile. Ciò nonostante l’io sveviano non può esimersi di esigere forme di ordine: e poiché non le trova in maniera naturale, le costruisce artificialmente, su base compromissoria. In alcuni casi fallisce (Una vita e Senilità), in altri invece trionfa (La coscienza di Zeno e Il vegliardo).

In che modo nella sua ultima stagione creativa i nuovi decisivi stimoli culturali si combinano con gli antichi senza rimpiazzarli?
Per ultima stagione dobbiamo intendere quella che si apre con la composizione de La coscienza di Zeno (iniziata presumibilmente nel 1919) e prosegue fino alla morte dell’autore. In quest’ultima fase – certamente la più proficua – Svevo ha due grandi influssi: quello di Freud e quello di Einstein. La Teoria della relatività consente a Svevo di mettere in crisi il concetto di tempo, l’ultimo baluardo dell’oggettività. È proprio grazie ad Einstein che nell’epistemologia sveviana (se si può usare questo termine) il soggetto diventa determinante e centrale. Nel momento in cui non esistono – o non si conoscono – parametri universali, è l’io che deve stabilire, sulla base di una contrattazione che è anche sociale oltre che psicologica, codici di comportamento e di interpretazione del reale da adottare. La forza dirompente di Einstein non manda in frantumi il cammino precedente svolto da Svevo, ma lo radicalizza. Già prima (Una vita e Senilità) infatti Svevo attraverso i suoi protagonisti aveva messo il soggetto al centro, facendolo entrare in rotta di collisione con il mondo circostante. Dopo Einstein l’impostazione di Svevo si avvale anche di una garanzia scientifica.

A questo passaggio partecipa anche Freud (e non occorre sottolineare come l’Interpretazione dei sogni – per citare solo l’opera di riferimento – ponga l’io al centro di tutto), aggiungendo però un tassello: il setting psicanalitico. Infatti La coscienza di Zeno, con le sue piste cieche, i suoi punti inesplorabili, i suoi errori, e le menzogne del narratore, è costruita con procedimenti tipicamente freudiani. In qualche modo Freud diventa anche mimesi dei comportamenti umani: per questo si può conciliare con l’enciclopedia romanzesca.

Quali elementi caratterizzano lingua e stile di Svevo romanziere?
Come ha mostrato Paolo Zublena nel saggio su Lingua e stile nel volume curato da Claudio Gigante e me, su Svevo ha pesato la tara della leggenda dello scriver male. Proprio questo giudizio ha imposto una lettura “in negativo”, ossia volta a notare cosa mancava nella lingua sveviana, e quale era lo scarto rispetto all’italiano standard, anziché un’indagine di tipo descrittivo, e dunque attenta (in positivo) ai tratti caratteristici, indipendentemente dalla loro correttezza grammaticale o meno.

Certamente in Svevo hanno agito il dialetto (ma meno di quanto abbiano sostenuti alcuni) e il tedesco. Non mi dilungo sui tratti fonetici (ad esempio la presenza o assenza del dittongo appare casuale), morfologici e morfosintattici (l’uso smodato di egli o ella), lessicali (una certa propensione per gli arcaismi) e sintattici (secondo Zublena la sintassi risulta quanto meno macchinosa). È più interessante sottolineare come lo stile di Svevo, proprio in virtù dei suoi tratti più barbari, diventi funzionale a rappresentare le incertezze e gli inceppamenti dei personaggi. E in fondo è questo l’obiettivo di uno stile.

Quali vicende hanno segnato la ricezione dell’opera sveviana?
La ricezione sveviana è segnata da almeno tre tappe fondamentali: la prima è quella riconducibile al caso Svevo (1925-1926), la seconda è caratterizzata dalla riscoperta degli anni Sessanta (sollecitata dai venti sperimentali della neoavanguardia e contorni, e rappresentata dell’Opera omnia di Dall’Oglio) che prosegue fino agli anni Novanta, e l’ultima dalla messa a punto filologica e relativa alle fonti degli anni Zero (non solo l’edizione critica di Lavagetto, ma anche quella nazionale, e molti interventi su romanzi e novelle). Alla luce di questo lungo cammino, e grazie a lunga sedimentazione, Svevo è diventato un classico; anche a scuola dove ormai è un punto di riferimento imprescindibile del programma dell’ultimo anno (La coscienza di Zeno può essere considerato il romanzo più conosciuto – e forse letto – del Novecento italiano, insieme a Il fu Mattia Pascal: quello in cui si riconosce un’intera comunità).

Un filone particolarmente interessante – seguito da Thea Rimini nel suo saggio nel volume – è quello degli adattamenti cinematografici dei romanzi sveviani (Bolognini, Bolchi, Comencini, per tacere della TV, che fa suo lo spettacolo di Squarzina a teatro). Anche questo aspetto della ricezione ha contribuito a inserire l’opera sveviana nell’immaginario collettivo. Proprio come accade con i classici. E Italo Svevo è a tutti gli effetti un classico della moderna letteratura italiana ed europea.

Massimiliano Tortora è Professore associato di Letteratura italiana contemporanea presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli studi di Torino

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