
In una parola, nel tempo. Il tempo che le persone spendono per fare mille cose, e che viene catturato dalle piattaforme di rete. Perché tutto passa lì – lavoro, svago, informazione, formazione, socialità, perdita di tempo – e perché ogni settore dell’economia del Web è soggetto ad una condizione di monopolio di fatto, o almeno di oligopolio.
E a rileggere con attenzione il Capitale, guarda caso, emerge proprio questo: il tratto tipico, perfino demoniaco del capitale è l’appropriazione del tempo di vita delle persone, basato sulla separazione – la “scissione”, scrive Marx – tra il lavoro, ovvero l’attività dell’uomo, e i mezzi materiali necessari alla sua realizzazione. Tutto il resto, viene di conseguenza.
Di quale utilità è il pensiero di Marx nella comprensione dei meccanismi che regolano l’economia digitale?
Nell’individuare le tracce dello sfruttamento non nel rapporto economico, ma nel rapporto sociale che, alla radice, organizza i sistemi di produzione. Questo è il Marx che ho utilizzato: molto il sociologo, poco l’economista, per nulla l’ideologo.
Quali strumenti analitici tratti dalle pagine del Capitale contribuiscono a chiarire la filiera del valore sul web?
Direi alcuni concetti di base, come l’accumulazione originaria, che spiega la separazione tra lavoro e possesso dei mezzi di produzione, e quindi l’alienazione, che ne è una conseguenza. Naturalmente i concetti di plusvalore assoluto e relativo, e quello di rendita. E soprattutto, quella simultaneità tra diversi regimi di estrazione del valore, che prende corpo nel famoso capitolo sesto inedito del libro primo. In sintesi: a dispetto dei luoghi comuni, il capitale per Marx convive con altre forme di sfruttamento, storicamente precedenti al lavoro salariato (che è la forma tipica del capitale) se non arcaiche. Questo concetto consente di vedere l’economia del Web come un sistema integrato – o una filiera del valore, appunto – che congiunge il capitalismo post-industriale dei Big Data a quello moderno del lavoro nelle fabbriche, dove viene costruito l’hardware, fino a quello primitivo dell’estrazione in miniera, necessario a rifornire il mercato dei minerali che alimentano le batterie dei device. Ecco, il capitalismo digitale è una catena globale che congiunge questi diversi livelli, avrebbe detto presumibilmente Marx del mondo di oggi.
Il web e la sua economia rappresentano dunque l’ultima incarnazione della dialettica dello sfruttamento fissata nel Capitale un secolo e mezzo fa?
Per il momento. Se c’è una cosa che abbiamo imparato, è che il capitale si trasforma appropriandosi di tutti gli spazi, inclusi quelli che prima non erano sottoposti al suo dominio.
Andrea Miconi insegna Sociologia dei Media all’Università IULM di Milano. In precedenza è stato docente presso l’Università della Svizzera Italiana, l’Università degli Studi di Padova e Sapienza Università di Roma. Tra i suoi libri più recenti: Teorie e pratiche del web (2018) e Reti. Origini e struttura della network society (2011).