
Nel caso dell’insieme di attestazioni da me prese in considerazione, ho ritenuto fosse utile, dividerle in tre gruppi che ne sottolineassero natura e contenuto, anche per indagarne la funzione grazie all’incrocio con alcuni parametri prestabiliti. Il primo gruppo è quello delle ‘note di servizio’, postille che in qualche modo disegnano la vita della biblioteca nel tempo: spesso fornite di data e luogo ci permettono di seguire – seppure falcidiate dalle perdite nel corso dei secoli – come la biblioteca si accrebbe, dove e quando Petrarca acquistò i suoi libri, chi glieli donò, a chi li commissionò, a chi predispose di lasciarli dopo la morte.
Il secondo gruppo individuato è quello delle ‘note biografiche’, assai più estese delle precedenti, nelle quali Petrarca ferma per iscritto alcuni eventi emotivamente significativi della sua vicenda umana o che, comunque, almeno per un certo periodo abbiano rappresentato momenti per lui degni di interesse. Si spazia quindi dalla serie di note in ricordo della morte di suoi amici e del figlio Giovanni, avvenuta a Milano il 9 o 10 luglio 1361; a quella – famosissima – che narra dell’incontro e poi la morte di Laura, musa ispiratrice del Canzoniere; o quella in cui appunta le varie strategie adottate nella coltivazione dei suoi orti e giardini che sempre hanno ornato le sue abitazioni; o infine l’appunto giovanile nel quale traccia una mappa concettuale delle letture indispensabili per sé e per qualsiasi uomo colto trecentesco.
Il terzo gruppo infine è quello delle cosiddette ‘note esegetiche’, sette testi tanto in prosa quanto in versi che servono da introduzione o da commento, o semplicemente sono avvicinabili dal punto di vista del contenuto all’opera o all’autore che poi leggeremo all’interno di quel manoscritto. Solo per capire, troviamo in questo gruppo una nota di una quindicina di righe che spiega di cosa parli il testo di Ambrogio che essa precede, come una sorta di risguardo ante litteram; oppure i distici inseriti nella splendida miniatura allegorica eseguita da Simone Martini ad apertura del suo grande e amatissimo volume contenente l’opera di Virgilio; oppure, nello stesso volume, due riflessioni, una sua, una tratta da Seneca, relative alla Bucolica I.
Che relazione esiste tra i testi autografi e il libro stesso?
La relazione è molto variabile, in alcuni casi esplicita in altri assente o più difficile da determinare. È certamente esplicita una relazione con il testo nel caso delle ‘note esegetiche’, come si capisce facilmente dalla loro natura, ma anche, per esempio, dal fatto che si trovino sempre in posizione anteriore, e perciò introduttiva, esplicativa. Nel caso delle ‘note di servizio’ invece, la relazione con il testo è inesistente, mentre è molto forte con il libro in quanto oggetto materiale: esse possono essere collocate ad inizio di libro per esempio quando si tratti di un dono, più spesso alla fine se ricorda la data di acquisto. Infine nel caso delle note biografiche la situazione è più variegata anche perché i testi sono più lunghi e complessi. Apparentemente, infatti, nessuna sembra avere alcuna relazione con le opere contenute nei rispettivi libri ospitanti, tuttavia, se alcune di esse sicuramente non l’hanno (note in ricordo di morti, note giardiniere) altre invece, attraverso allusioni o riprese lessicali, creano una rete di sottili legami sotterranei con le opere con le quali vengono conservate, come è stato rilevato, per esempio, nel caso di alcune preghiere premesse a testi di sant’Agostino o al fatto che nell’appunto giovanile sopra ricordato, all’interno dell’elenco di autori e opere necessari alla sua formazione, Petrarca scriva iste, ‘questo’, riferendosi cioè al De vera religione contenuto nel libro sul quale sta scrivendo e che immediatamente precede la sua nota.
Quale importanza assume per Petrarca l’uso della scrittura nell’elaborazione dell’opera letteraria nonché nella rappresentazione del sé intellettuale?
Questa è certamente una domanda molto complessa alla quale non è facile rispondere sinteticamente. Come dicevo in principio, di Petrarca ci sono arrivati, a differenza di altri autori letterari, un gran numero di testimonianze autografe, di natura anche molto diversa tra loro. Questa fortuna nell’iter conservativo può pure essere dovuta alla grande autorevolezza culturale di Petrarca, ma certamente anche al fatto che lui stesso prese gli opportuni provvedimenti perché il suo patrimonio librario non andasse disperso, ben conscio del valore della sua collezione – tanto dal punto di vista materiale – conteneva, infatti, manoscritti anche di una certa antichità – quanto, soprattutto, dal punto di vista culturale, considerata la gran mole di lavoro filologico, linguistico, storico che vi aveva riversato lungo tutta la sua vita, nonché i rimandi da un libro all’altro che rendevano la sua biblioteca un vero e proprio ‘organismo’ finalizzato allo studio. D’altro lato – proprio attraverso la gran quantità di autografi superstiti così come le numerose occasioni nelle quali Petrarca parla dello scrivere, della funzione che esso deve assolvere, della qualità materiale che deve assicurare – possiamo per la prima volta cogliere in questo autore quello che è stato definito ‘rapporto di scrittura’, cioè le modalità secondo le quali l’autore partecipa alla stesura materiale, grafica, di un suo testo attraverso le sue varie fasi di elaborazione, dall’abbozzo iniziale alla redazione definitiva: si tratta quindi del punto di contatto tra il pensiero e la sua realizzazione autografa che caratterizza la scrittura d’autore sino ai nostri giorni. Nel caso di Petrarca il tasso di partecipazione è significativamente alto, il che vuol dire che non solo egli interviene in ciascuna fase dell’elaborazione dei suoi scritti, ma anche che pone attenzione a una serie di elementi che si potrebbero definire di natura solo estetica, ma che per Petrarca costituiscono la veste formale indispensabile alla completa e corretta comprensione dei suoi testi. Mi riferisco alle scelte grafiche, di impaginazione e di formato dei suoi autografi, nonché alla supervisione dell’autore a tutte le fasi di approntamento dei libri e alla necessaria correttezza del dettato.
Quali considerazioni di carattere paleografico è possibile trarre dall’analisi di questi testi?
Nella stesura dei 39 testi considerati è possibile seguire un forte interesse verso la forma grafica e valutare, soprattutto nelle testimonianze più alte cronologicamente, una vera e propria ricerca formale. In particolare si assiste a un avvicinamento verso forme grafiche più adatte all’uso librario attraverso l’eliminazione di tratti corsivi e, soprattutto negli esempi più maturi, l’introduzione di elementi connotanti quali ad esempio alcune maiuscole – A, M, N, R, S, T – derivate da modelli grafici librari più antichi. Al contrario di altri scriventi coevi, però, per i quali è possibile delineare una serie di cambiamenti grafici che costituiscono punti di non ritorno e che perciò forniscono degli utilissimi indizi di datazione, nel caso di Petrarca il processo non è mai lineare, ma soggetto a continui ritorni indietro e corse in avanti, sia pure all’interno di una griglia di riferimento che egli fissa intorno alla fine degli anni ’30 e che separa, questa volta sì in maniera definitiva, la sua scrittura usuale corsiva da tutte le applicazioni in campo librario. Ciò vuol dire che, se alcuni dei testi considerati – di natura libraria in quanto materialmente apposti su un supporto librario – sono ancora scritti nel 1337 in minuscola cancelleresca – scrittura corsiva e eminentemente documentaria da Petrarca appresa in gioventù –, nello stesso periodo tuttavia si conservano altre testimonianze che mostrano gradi diversi di sperimentazione che vanno nel segno, come si è detto, della scrittura allora in uso per i libri: la gotica. Ma se la minuscola cancelleresca dopo il 1338 non tornerà più ad essere utilizzata in ambito librario, ciò non toglie che elementi sovrastrutturali di quella tipologia grafica non restino, in misura diversa a seconda delle occasioni, a connotare la specifica e riconoscibile esecuzione grafica di Francesco Petrarca.
A quale progetto culturale petrarchesco si possono dunque ricondurre le sue tracce grafiche?
Questo studio ha costituito per me un’indagine sul significato, le finalità e le forme che l’uso della scrittura poteva assumere per Petrarca attraverso la scelta di un gruppo di testimonianze autografe che, pur nella loro diversità, presentavano una serie di caratteristiche comuni, tali da suggerire che vi fosse sotteso un progetto grafico e culturale per molti versi coerente. La loro posizione ‘esterna’ al libro nel quale sono conservate mi aveva anche suggerito di poterle confrontare e eventualmente inserire in un più vasto fenomeno di scritturazione di brevi testi sulle carte di guardia, individuato con il termine di ‘tracce’, fenomeno che abbraccia tutta la storia del libro, ma che assume particolare rilevanza per lo studio della prima messa per iscritto e conservazione di testi redatti nelle nuove lingue romanze.
Tuttavia le note di Petrarca sembrano inserirsi a fatica all’interno del fenomeno ‘tracce’ che così specificamente ha caratterizzato l’endemica penuria e dispendiosità dei supporti scrittori sino al XIII secolo. Viceversa sembrano disegnare, e contrario, un adattamento peculiare, personale, mirato, di quella pratica. Nel corso del loro esame ravvicinato, infatti, sono emerse preferenze, o, addirittura, decise scelte nel dotarle o meno di indicazioni di luogo e data; nel posizionamento delle note anteriormente o posteriormente, nonché in alcune zone privilegiate della pagina; nel trascriverle in quella posizione dopo accurata elaborazione formale e non in maniera estemporanea.
Insomma, se colleghiamo assieme quanto deducibile dall’insieme dei testi analizzati con quanto comunque conosciamo dei libri, della biblioteca e, più in generale, della biografia di Petrarca, vediamo comporsi un quadro di forte consapevolezza. La connessione tra la cura da lui dedicata alla realizzazione grafica delle note e alla loro ubicazione, i sottili fili che legano quelle note alla lettura dei manoscritti che le ospitano, la coscienza del valore intrinseco dei suoi libri – segno tangibile della complessità dei suoi interessi e del lavoro nuovo e titanico che si era svolto lungo i loro margini –, l’adoperarsi di Petrarca affinché la sua biblioteca – quale insieme ordinato e ragionato di libri – potesse offrirsi agli studiosi futuri, l’incrocio di questo insieme di fatti ci mostra il senso e la finalità dell’aggiunta di quei brevi testi nelle carte di guardia. Quelle note che a prima vista potrebbero sembrare monadi di una costellazione casuale e priva di senso, sono invece elementi che, seppure periferici, contribuiscono di necessità alla narrazione della sua biografia e a quella della sua biblioteca. Esse costituiscono, perciò, credo, una somma di elementi che rappresentano qui quello che nell’opera letteraria è la cornice, un espediente cioè che contiene e valorizza le sue letture, il suo lavoro filologico sui testi, la sua vita.
Maddalena Signorini insegna Paleografia latina e Codicologia presso l’Università di Roma Tor Vergata e dirige da molti anni il Mellon Summer Institute in Italian Paleography al Getty Research Institute, Los Angeles e alla Newberry Library, Chicago. I suoi principali interessi di ricerca l’alfabetismo, la diffusione e conservazione dei testi volgari, la scrittura e biblioteca di Petrarca. Pubblicazioni recenti sono: Boccaccio as Homer: a Recently discovered Self-Portrait and the ‘Modern’ Canon (2019); I libri che hanno fatto l’Europa, (2018).