“Sulle soglie dell’irrappresentabile. Eccesso e tabù tra letteratura, cinema e media” a cura di Giulia Depoli e Valentina Grisorio

Dott.sse Giulia Depoli e Valentina Grisorio, Voi avete curato l’edizione del libro Sulle soglie dell’irrappresentabile. Eccesso e tabù tra letteratura, cinema e media pubblicato da Mimesis: quale spazio occupano i tabù e l’osceno nell’immaginario artistico fra letteratura, teatro, cinema e nuovi media?
Sulle soglie dell’irrappresentabile. Eccesso e tabù tra letteratura, cinema e media, Giulia Depoli, Valentina Grisorio«Impossibili da interpretare, eppure presenti» ‒ con queste parole il regista pavese Filippo Ticozzi, uno degli interlocutori del nostro dibattito, ha definito i cosiddetti tabù che pervadono l’arte in tutte le sue declinazioni: contenuti scomodi, inaccettabili, improponibili che, tuttavia, nel corso dei secoli non solo hanno goduto di un posto d’onore nelle opere ma hanno anche giocato un ruolo fondamentale nella trasmissione del messaggio. Abbiamo voluto avviare il progetto di un’indagine sul tema, a partire da un convegno tenutosi presso il Collegio Ghislieri di Pavia nel maggio 2019 per approdare ora alla pubblicazione di questo volume, con l’intento di creare uno spazio in cui le tematiche dell’osceno e del tabù potessero essere affrontate da autori e studiosi di varie discipline, a partire anche da prospettive molto eterogenee ma sempre aperte ad un fruttuoso dialogo. Nell’impossibilità di affrontare esaustivamente l’argomento, gli studiosi e gli autori da noi riuniti hanno scelto alcuni “momenti esemplari”, che nella loro fulmineità riescono tuttavia a catturare molteplici specificità della questione nei vari ambiti.

L’osceno apre nell’opera, anzitutto, una finestra provocatoria (più o meno velata) nell’interazione con il pubblico. Si prenda ad esempio la serie cinematografica I peccati capitali, di cui è protagonista la diva del muto Francesca Bertini fra il 1918 e il 1919: Elena Mosconi nel suo contributo ripercorre la genesi di questa riattualizzazione del romanzo di Sue, «una materia incandescente, atta a suscitare curiosità e scandalo presso l’opinione pubblica», con prospettive di enormi guadagni per l’attrice. Ma il trend continua nel corso del secolo anche su scene ben diverse quali quella del teatro d’avanguardia e del rock estremo, che Luca Scarlini indaga nel suo intervento centrato proprio sul concetto di scandalo. Tale posizione dell’osceno è ben codificata all’interno del mondo dell’arte e lo choc che ne può derivare è sempre legato ad una messa in scena che presuppone una forma di evasione dalla vita quotidiana, o freudianamente diurna, del fruitore.

Ma l’osceno è anche molto altro: Massimo Bonafin e Sandra Gorla, ad esempio, analizzano le complesse implicazioni estetiche della presenza di tali contenuti in un Medioevo solo apparentemente lontanissimo dagli ideali cortesi. Ancora, Davide Sisto, riflettendo sull’onnipresenza della morte in un mondo come quello dei social media, delinea uno scenario in cui lo spettatore è piuttosto sempre più anestetizzato di fronte alla pervasività e all’iterazione martellante dei tabù di un tempo.

Non solo sterile volontà di sconvolgere, dunque, come spesso si pensa, magari da parte di artisti alle prime armi: l’analisi della rappresentazione di contenuti paradossalmente irrappresentabili suggerisce di volta in volta diversi ruoli e molteplici potenzialità ermeneutiche.

Come si è evoluta la messa in scena dei grandi contenuti paradossalmente “irrappresentabili” (il sesso, il sacro e la morte)?
Da parte di molti c’è la tendenza a recriminare un’eccessiva ingerenza di “oscenità” nella cultura di oggi ‒ per fare anche un solo esempio attuale, basti pensare alle polemiche di questo periodo sulla canzone WAP di Cardi B. Eppure, la messa in scena di questi temi, e con questa portata, non è affatto nuova: l’intervento di Massimo Bonafin e Sandra Gorla ci rivela che nei fabliaux del XII-XIII secolo, e in particolare in un’opera come il Roman de Renart, si trovano amplissime porzioni testuali dedicate, ad esempio, alla minuziosa descrizione dei genitali femminili.

Naturalmente, si tratta di affioramenti del tabù sempre vincolati al contesto del genere letterario, della prospettiva morale adottata (pur in tutte le sue ambivalenze e oscillazioni) e, per molti secoli della storia europea, dalle politiche censorie. Se a inizio Novecento la diva Francesca Bertini si limita a sollevare una veletta dal volto per suggerire la lussuria, nella seconda metà del secolo si arriva a trucidare animali sul palco e a spettacolarizzare il corpo nei limiti più estremi. Luca Scarlini, ad esempio, ricorda l’episodio di Sylvano Bussotti che nel 1965 porta in scena a Palermo la Passion selon Sade, in cui il racconto evangelico del calvario di Cristo viene riletto alla luce delle opere del libertino marchese De Sade ‒ secondo schemi che, come mette in luce nel suo contributo Ruggero Eugeni, sono intravedibili anche dietro alle più popolari trasmissioni televisive, quali Masterchef.

Il nostro volume vuole concentrarsi proprio su questi momenti, sulle violente emersioni dei contenuti repressi e sulla loro sconvolgente apparizione nell’arte, indagandone il senso, i modi e gli obiettivi. Con le forme di rappresentazione, infatti, si evolvono anche le finalità degli autori che in ogni tempo si sono confrontati con questa materia.

Quali diverse sfaccettature sono di volta in volta implicate nell’uso che ne fanno gli artisti e nella ricezione da parte del pubblico?
Dal momento che abbiamo avuto l’enorme privilegio di ospitare due autori di punta nel panorama della letteratura italiana contemporanea quali Patrizia Valduga e Walter Siti, quale modo migliore di rispondere a questa domanda se non attingere ai loro interventi, che chiudono il volume?

Le poesie di Valduga sono note per aver sconvolto generazioni di lettori con il loro linguaggio spericolato, che dai preziosismi più arcaici non esita a precipitare nel più crudo realismo. Ma la poetessa nega che ci sia alcunché di osceno nelle sue poesie, che definisce semplicemente «poesie erotiche»: la sua non vuole essere una programmatica caccia allo scandalo bensì, come notava Raboni, la costante ricerca di un «latino del desiderio», di una «lingua intraducibile che preserva e perpetua il suo mistero» che permea in ogni sua sfumatura il dialogo amoroso.

Siti invece, acclamato vincitore di importanti premi letterari quanto contestatissimo autore di romanzi dai temi più spinosi (si pensi al solo Bruciare tutto del 2017), propone un’idea di letteratura che si fa luogo del ritorno del rimosso. Dal suo punto di vista, andare contro il comune senso morale e distruggere ogni pilastro di certezza del lettore è un’operazione conoscitiva e, in senso lato, educativa: «Non riesco a credere a nessuna educazione positiva che non sia disvelamento della menzogna» ‒ ma, ammette anche, i tabù alla fin fine se li è andati un po’ a cercare, e si trova più a suo agio nei panni di chi distrugge senza prospettive chiare di ricostruzione, un rischio e una scommessa sempre aperta nella sua scrittura.

Mai, però, l’osceno per l’osceno: chi legge le opere di questi due autori nella prospettiva di fare audience si relega a una prospettiva quanto mai riduttiva e chiusa. Lo stesso vale per la filmografia di Filippo Ticozzi, intervistato da Federica Villa: nel suo cinema, l’osceno è tematizzato come «materia informe e in qualche modo indecifrabile» che «ammazza la metafora, il simbolo, a favore del segno, del geroglifico, dell’arcano che si rivela improvviso: senza possibilità di traduzione, ma testimone di un’altra dimensione». La contemplazione del tabù apre al disvelamento di un senso altro, di un altrove incombente ma inesplorato ‒ a tal proposito, ci piace concludere con una riflessione del regista sull’origine della parola “osceno”, adottando la prospettiva che ci auguriamo i lettori possano avere avventurandosi nella lettura di questo nostro volume:

«Parola interessante che rimanda al nauseante, al pesante, al triviale. Ob coenum, davanti al fango, a causa del fango. Ma tra le incerte etimologie vi sta anche la parola greca che è scena te­atrale ma è ancora prima tenda, limitatissimo luogo di riparo e di relazioni nel deserto, nell’orizzonte sconosciuto, nel nulla. Fuori dalla tenda vi è l’indefinito, gli dei e i demoni, l’abisso mai visitato, il ghiaccio mai penetrato, il volto mai svelato. Il fuori campo per eccellenza, che è ciò che alla vita manca e che nel contempo le è consustanziale.»

Giulia Depoli si è laureata in Lettere Moderne all’Università di Pavia. Attualmente è studentessa del corso in Italianistica all’Università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore.
Valentina Grisorio ha conseguito la Laurea Triennale in Filosofia all’Università di Pavia nel 2017; attualmente è iscritta al corso di Laurea Magistrale in Filosofia presso il medesimo ateneo.

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